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C’è vita dopo il carcere?

Il presidente della cooperativa sociale “La Fenice” di Bolzano che si occupa del reinserimento degli ex detenuti: “Le Istituzioni sono invisibili”.

Il pregiudizio verso chi è seduto sui gradini più bassi della scala sociale è vecchio come le rapine al treno: quasi impossibile da scardinare, molto facile da alimentare. Per chi ha commesso reati, pur avendo pagato il proprio debito alla giustizia, tornare ad essere un “everyman” confuso tra la folla è un’impresa spesso soverchiante e mortificante per via di una sorta di “lettera scarlatta” (in)visibile irrimediabilmente appuntata sul petto. Come può un ex detenuto entrare nel mondo del lavoro legale se mancano le reali opportunità di reinserimento nel tessuto sociale? Un solido aiuto arriva dalle cooperative sociali, appunto, - come La Fenice, coop edilizia di Bolzano che lavora con gli ex reclusi ma anche con tossicodipendenti e alcolisti - che seguono alla lettera il concetto del “perdono socialmente utile”, nel tentativo di ristabilire un equilibrio di umanità altrimenti latente.

Come può un ex-detentuto entrare nel mondo del lavoro legale?

 “Queste persone arrivano per lo più dalla casa circondariale di Bolzano, segnalate anche dalla Questura o dall’Ufficio esecuzione penale esterna, con l’unico vincolo di essere cittadini residenti a Bolzano e di avere i permessi di soggiorno in regola se sono stranieri. Il problema è che alla maggior parte di loro manca un percorso lavorativo, soprattutto fra i più giovani, perché sul tema della formazione professionale e sociale nelle carceri c’è una forte insensibilità degli organi competenti”, denuncia il presidente de La Fenice Michele Gangemi che poi precisa: “la legge ci impone di impiegare il 30% dei cosiddetti “381”, le categorie di persone svantaggiate, noi superiamo il 60%. Io credo che la cultura e la formazione siano gli elementi necessari per vivere e sopravvivere in una realtà come la nostra ma la Provincia e i Comuni che avrebbero tutte le potenzialità per costringere le imprese ad assumere una o due persone con queste problematiche non lo fanno”.

Alcuni non possono avere la patente, altri devono pagare le spese processuali, more sulle multe prese anni prima...

Oltre al problema lavorativo, c’è da tener conto anche dell’aspetto sociale e sentimentale, queste persone non hanno nessuno – continua Gangemi - noi cerchiamo di dar loro supporto, quello che dico loro sempre è che all’inizio sono guardati con sospetto, è vero, ma dopo un anno se non hanno commesso altri crimini nessuno si ricorda di quello che hanno fatto, è più una questione psicologica la loro”.

Quali sono le difficoltà che incontra chi ha scontato la propria pena una volta tornato in libertà?Alcuni non possono avere la patente perché ritenuti ancora socialmente pericolosi – spiega Sebastiano Palmieri, geometra e socio fondatore della coop bolzanina - devono pagare le spese processuali, more sulle multe prese magari dieci anni prima; le istituzioni parlano di reinserimento ma se non si forniscono gli strumenti adatti non è che la cooperativa può fare miracoli, in più il nostro lavoro deve essere migliore di quello degli altri perché siamo controllati a vista. È chiaro che noi facciamo tutti i controlli del caso, con diverse fasi di colloquio, ma non c’è un programma davvero efficace per queste persone, la verità è che non si consente loro di ricominciare e a quel punto la tentazione di tornare a delinquere è forte.

Senza contare lo spaesamento di chi, di fatto, deve riscattare il proprio ruolo all’interno di una società ostile. “Tutto quello che per noi è scontato per loro non lo è - afferma Palmieric’era questo ragazzo di Bolzano, ad esempio, che dopo aver trascorso diversi anni in carcere una volta uscito non riusciva più ad orientarsi, a riconoscere le vie della città. E poi ci sono quelli che non vogliono vivere in grandi appartamenti, conosco alcune persone che dormono tutte insieme in una stanza per loro stessa volontà perché non sono abituati ad avere più di una cella a disposizione. Un altro ragazzo ancora si dimenticava di chiudere casa perché, diceva, c’era sempre qualcuno che chiudeva la porta dietro di me”.