Gesellschaft | In arrivo la 36esima settimana?

Scuola senza pace

La Giunta provinciale sta tentando di allungare ancora la durata dell’anno scolastico. La ragione risiede ufficialmente nel miglioramento dell’offerta didattica. Ma i dubbi al riguardo non sono pochi.
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Foto: © Oswald Stimpfl

Ricordate le discussioni che accompagnarono l’introduzione della “settimana scolastica corta”? La Giunta provinciale motivò quella scelta parlando di risparmio dei costi, soprattutto quelli relativi al trasporto, al riscaldamento e alla gestione generale. Con la delibera n. 75 del 2012 il calendario venne poi effettivamente modificato, confermando però non solo la compressione dell’orario in cinque giorni settimanali, bensì introducendo una settimana in più. In questo modo, si pensava, sarebbe stato possibile alleggerire o spalmare un po’ il carico di ore stipato durante l’anno.

Ma a quanto pare una settimana in più non basta. Il carico rimane alto (due rientri pomeridiani sono troppi). Ecco allora spuntare dal cilindro un’ulteriore settimana. Secondo le intenzioni della Giunta, da settembre l’anno scolastico dovrebbe insomma già comporsi di trentasei settimane. E molte delle attività in precedenza pensate per poter essere svolte nei rientri (per esempio quelle definite “materie opzionali obbligatorie”) dovrebbero tornare ad essere praticate al di fuori della scuola.

Qui è interessante notare due aspetti. Primo: la nuova modifica del calendario scolastico è pensata per correggere storture originate dalle precedenti modifiche (senza dare la garanzia che ciò porti alla creazione di nuove storture). Secondo: le modifiche sono sempre introdotte senza consultare direttamente gli insegnanti (e i loro sindacati), salvo poi accusare gli stessi sindacati di comportarsi in modo dittatoriale (vedi quanto affermato da Arno Kompatscher al margine della “Giornata dei Comuni”) allorché essi reclamano un coinvolgimento nel processo decisionale. Alla fine la strategia da parte della Giunta si potrebbe anche sintetizzare così: ridurre i costi (anche sacrificando qualche posto di lavoro aggiuntivo) facendo lavorare due settimane in più, e ovviamente senza aumento di stipendio, gli insegnanti che il posto già ce l’hanno.

Resta il dubbio che la ricaduta di tutte queste operazioni abbia un effetto positivo sulla qualità della didattica. Per non parlare della tempistica. Tematizzare una nuova configurazione della durata scolastica proprio alle soglie dell’estate può dar adito al sospetto che con ciò si vogliano depotenziare le inevitabili reazioni negative.  

Se anche questa modifica dovesse comunque passare, gli unici ad essere probabilmente contenti saranno quelli che coltivano il pregiudizio riguardo agli insegnanti: notoriamente tutti scansafatiche e comunque già beneficiati da tre mesi di vacanze all’anno. A dispetto di ogni evidenza, c’è chi la pensa davvero così.