La fiera delle identità
“Durante il mio primo incontro con Enrico Letta, allora presidente del Consiglio dei ministri, in occasione dell’Accordo di Bolzano, ci siamo ritrovati a discutere fino a tarda notte e ad un certo punto, in un momento che oserei definire intimo, lui mi ha detto: ‘avete l’enorme vantaggio, qui, di avere una forte identità territoriale, è il vostro valore aggiunto che avete saputo sfruttare al meglio, anche nel vostro identificarvi con la cosa pubblica’. Quando la scorsa estate abbiamo organizzato l’incontro a Castel Presule, mentre aspettavamo l’arrivo del premier Renzi, il sottosegretario Graziano Delrio mi ha detto la stessa cosa, e così il primo ministro quando ci ha raggiunti”.
È l'aneddoto esemplificativo con cui Arno Kompatscher ha provato a “sbucciare” in chiave positiva e propositiva il tema dell’identità, leitmotiv della serata di ieri al Teatro Cristallo, in un duello dialettico con l’interlocutore-“antagonista”, l’avvocato dello Stato Guido De Nicolò e con la moderazione del giornalista Massimiliano Boschi. “Identità di carta” è infatti il primo di una serie di incontri sull’argomento, ideati dal Teatro Cristallo, da Teatro La Ribalta e dalla Libera Università di Bolzano con appuntamenti che includono incontri con i politici, spettacoli teatrali e approfondimenti culturali.
Aneddoto esemplificativo, si diceva, perché paradigma della visione edulcorata dell’ingegneria territoriale dell’Alto Adige in quanto massimo esempio di solido impalco identitario e di quella governabilità e autosufficienza economica auspicata da Mazzini prima dell’Unità. Un moto d’ammirazione autentico quello dei "forestieri" che scoperchia, tuttavia, una sottostrato di invidia cronica – più facile da alimentare in un paese che va in retromarcia – che intende (e biasima) le autonomie speciali come logiche dei fortini.
Il punto è che le peculiarità elogiate dai tre attori politici citati dal Landeshauptmann non sono, secondo De Nicolò, necessariamente classificabili nella sfera multiforme dell’identità: “sostengo che chi possiede un forte senso di appartenenza non ne debba parlare, chi lo fa è un malato di identità vero o immaginario, è un ipocondriaco che andrebbe curato perché è in dissociazione con se stesso. È una forma di patologia parlare sempre di identità. Accetto volentieri quella individuale come forma di incoraggiamento verso se stessi supportata da interrogativi quali ‘in che cosa credo’ o ‘come voglio affrontare il mondo’ al fine di trovare un equilibrio che ammetta un benessere soggettivo e collettivo, ma rifiuto il discorso identitario che è per definizione e per esperienza storica e attuale per forza esclusivo e violento e che si definisce solo attraverso la contrapposizione”.
Solo in un contesto in cui si sommano tutte le libertà individuali, dice l’avvocato dello Stato, è possibile ammettere quella tolleranza necessaria perseguibile attraverso il concetto di indifferenza, di “Gleichgültigkeit” (nell'accezione di dare alle cose un uguale valore) come presupposto positivo, uno strumento per scoraggiare un certo tipo di violenza e discriminazione spesso frutto di un eccessivo interessamento all’altro. Critico sull’effettiva efficacia della pratica dell’indifferenza Kompatscher che ha precisato: “L’identità non è un concetto superato, e non è per fortuna nemmeno più così statico, non ci si identifica solo nella propria madrelingua, ma in una condivisione di valori, che arricchisce la propria identità in un mondo in continua trasformazione. Questa è l’identità positiva che non va negata. Che la libertà individuale sia essenziale non c’è dubbio, ma l’indifferenza è l’approccio sbagliato perché certe idee vanno anche difese, come va difeso il diritto dell’altro ad essere diverso, e appartenere a qualcosa non esclude il rispetto assoluto di quella libertà individuale”.
L’impegno all’inclusione, la perfetta misura secondo il presidente della provincia, varrebbe forse anche per l’ipotesi di considerare un candidato di madrelingua italiana nella corazzata SVP? Pungolato dalle domande del pubblico Kompatscher risponde infine: “La consapevolezza della nostra identità, che per continuare ad esistere non deve essere esclusiva, ci permetterebbe di fare finalmente il salto di qualità. Se ci sarà mai un candidato del gruppo linguistico italiano nelle file del partito? Condivido quello che ha detto Luis Durnwalder prima di me, ‘questione di tempo e ci sarà, e speriamo che sia eletto’”.
Miracolo a Bolzano?