Mai più senza Mau
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La stabilità che si è disgregata in provincia di Bolzano, con il crollo della Svp, è garantita in Trentino fino al 2028. In un voto bipolarizzato, Fugatti aumenta i suoi consensi di 5 anni fa (aveva preso il 47%), sfondando quota 50 e resta ringalluzzitissimo in sella al Trentino (dove c’è l’elezione diretta del presidente della Provincia), un Trentino che evidentemente apprezza il “volar basso”, il pragmatismo dell’uomo di Avio. L’aurea mediocritas di Fugatti è piaciuta ai trentini, perlomeno alla metà che è andata a votare. Di questi, la metà gli ha rinnovato la fiducia. Promosso e premiato, nonostante l’insidia interna dei postleghisti melonizzati e la freddezza di Meloni in persona (che nell’appello finale al voto manco l’ha nominato). La scadente gestione di Covid e sanità è dimenticata, la cattiveria contro i migranti e i circenses di Vasco Rossi e i muscoli mostrati sull’orso sono piaciuti al trentino medio. Un sacco.
Scrivo mentre sono stati scrutinati i quattro quinti delle sezioni ma il trend è inequivocabile. Un trionfo costruito soprattutto nelle valli, mentre a Trento città ha vinto netto Valduga.
Certo, la sfiducia del centrosinistra si è tradotta in maggiore astensionismo. 42 trentini su 100 sono rimasti a casa, il crollo dell’affluenza è stato del 6% in 5 anni.
Quanto aveva torto Marilyn Monroe, che nel 1957 (“Il principe e la ballerina”) diceva: “il bello delle elezioni è che non sai mai chi vince”. Magari. Sarebbe anche più divertente. In realtà, sondaggi a parte, lo sapevi, lo sentivi: in Trentino, il vento fugattiano non ha smesso di soffiargli alle spalle in questi cinque anni, e lui, da furbo demagogo, l’ha sempre saputo cavalcare. Batterlo, per un centrosinistra a entusiasmo piatto e grinta scarsa, sarebbe stato fantascienza.
Ma il candidato del centrosinistra Valduga, con le sue sette liste, porta a casa un dignitoso 37%, 12 punti in più di Tonini (che aveva solo tre liste a sostegno), nonostante il flop dei centristi divisi tra calendiani e renziani. Chissà se saprà fare il leader dell’opposizione con qualche chilo di collegialità e qualche grammo di grinta in più rispetto al Tonini del 2018-2023.
Avevo pensato che il post-leghista Sergio Divina e le sue tre liste fossero un bluff (checché ne dicessero gli ottimisti di centrosinistra) e così è stato: l’ex senatore resta malinconicamente sotto il 3%, il leghista trentino medio non ha perdonato il transfuga.
Interessante il derby tra i due partiti di destra: Fugatti si porta a casa il 13% con la Lega (battendo di un puntoFdi) ma se si tiene conto anche del successo della lista del presidente, capeggiata dall’ex assessore tecnico Spinelli (sopra il 10%), il derby di destra l’ha vinto lui, doppiando i melonisti, anche considerando che i Fratelli coltelli, alle politiche di un anno fa, avevano più che doppiato i salvinisti (25% a 11).
Se poi si considerano i voti al solo presidente, Mau Fu Gat fa un altro exploit, con un quarto di voti personali.
Valduga ha avuto un bel dire che la sua non era tristezza ma “calma”. La sua campagna è stata troppo in sordina, troppo “educata”, per segnalare un effettivo contrasto con le posizioni di Fugatti, a sua volta in modalità basso profilo, per non risvegliare i bollenti spiriti dell’alleato scomodo Fratelli d’Italia. Il Salvini, affezionato a Pinzolo, è venuto su a pompare voti, e il risultato si è visto.
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Concretezza e affidabilità, lo slogan della Lega: e i trentini ci hanno creduto.
Gli autonomisti seguono la svolta a destra della segreteria con l’8% mentre il bollo giallo di Casa autonomia, dissidenti pro Valduga, prende il 4. I due dati autonomisti messi insieme fanno suppergiù il 12% del candidato presidente Rossi cinque anni fa. Ma l’autonomismo resta inconsistente, come visione politica.
Il 16% del Pd, primo partito in Consiglio provinciale grazie alla spaccatura dei voti di destra tra Lega e Fratelli d’Italia, non è certo un successo se si tiene conto che nel 2018 Futura (che si è disciolta nel partito di Elly) aveva preso il 7% mentre il Pd aveva fatto il 14. E alle politiche del 22 i democratici avevano preso il 23%.
Campobase, ultima invenzione del centrismo dellaiano, con l’8% raddoppia l’Upt del 2018. Non brillante il minipolo populista di Degasperi, che con tre liste si ferma sotto il 4% ma così tiene fuori dal Consiglio il detestato ex compagno di grillismo Alex Marini, superato perfino dal sovranista Rizzo.
Così cadono le stelle gialle, in un cielo dominato solo dallo stellone destrorso di Mau: il trentino medio amato dalla metà (un po’ più della metà) dei trentini. Tra cinque anni ci sarà uno sfidante davvero concorrenziale, quello che è mancato nel 2018 e anche quest’anno? Mica è detto, mica è detto. Il Fugatti bis potrebbe aprire perfino a un tris, come quello che riuscì a un certo Dellai, partendo alla fine del secolo scorso. Un’altra èra, per l’autonomia.
Dal Principe al mauismo, di stretti orizzonti e di larga demagogia.