Trenta anni
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Chi voleva saperlo, lo sapeva. Perché si poteva leggere. Nel 1995 sul Corriere (Corriere della sera, 30 marzo 1995, Vacanze in bosnia , tiro all´uomo compreso). Tre anni dopo uscì un romanzo sull’argomento – “Sarajevo Safari”. Scritto dal reporter di guerra tedesco Otmar Jenner. Per esperienza personale – fa male leggere questo libro. A volte non si riesce a leggere più di dieci pagine di seguito. Si è lì, a pochi passi, quando uomini, donne e persino bambini vengono massacrati per divertimento. Dai ricchi di altri paesi. Che non avevano nulla a che fare con la guerra in Bosnia. Erano benestanti, viaggiati, abbastanza sofisticati da non scegliere la guerra per bisogno, ma per noia. Si compravano l’accesso a Sarajevo come un biglietto per il circo. Poi venivano portati in un grattacielo, molto in alto, con vista su Sarajevo. E da lì sparavano. Sugli innocenti. Chi lo leggeva, sapeva che i cacciatori del Sarajevo Safari non venivano dal vicinato bosniaco. Ma dall’estero. E questo estero si trova da noi. I cacciatori di uomini di allora vivevano nella stessa provincia, nella stessa città.
Sa di ipocrisia che oggi, dopo trent’anni, l’opinione pubblica si indigni per l’inferno di Sarajevo. Ma funziona così. Prima si rimuove, poi ci si sorprende. Come se nessuno avesse sospettato nulla. Dopo il tempo del fascismo è stato così, e dopo la guerra in Bosnia non è diverso.
Che l’indignazione arrivi così tardi è tragico. Ma che arrivi comunque, dà speranza. Ancora più speranza dà il fatto che oggi ci siano molte persone indignate per ciò che sta accadendo a Gaza, in Sudan o nel Congo. Hanno capito che non si può aspettare trent’anni per chiamare l’ovvio con il suo nome.
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