Gesellschaft | Potere e narrazione

Il "disagio" della discriminazione

Quando la manomissione dell’uso delle parole diventa funzionale alla manipolazione del linguaggio per la creazione d'una falsa rappresentazione della realtà
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Foto: Adnkronos

Del termine "disagio" il dizionario Treccani online dà le prime due seguenti definizioni:

«Mancanza di agi, di comodità e simili; condizione o situazione incomoda
Senso di pena e di molestia provato per l’incapacità di adattarsi a un ambiente, a una situazione, anche per motivi morali, o più genericamente senso d’imbarazzo».

Non è noto a chi scrive come questa parola sia entrata nell'uso comune per rappresentare la rispettiva situazione dei gruppi etnolinguistici presenti in Alto Adige/Südtirol in specifici periodi storici. Da un articolo del sociologo Luca Fazzi pubblicato su "Politika 2013 (edition Raetia, a cura di Günther Pallaver)" e intitolato «Il disagio degli italiani tra retorica e realtà», si legge quanto segue:

«Fino a quarant'anni fa parlare di disagio in provincia di Bolzano significava fare riferimento alla condizione di insofferenza e insicurezza che dominava tra la minoranza di lingua tedesca che aveva vissuto prima lo shock dell'annessione all'Italia e di seguito il doppio dramma del fascismo e delle opzioni. Dagli anni '80, il disagio dei tedeschi è stato sostituito anche nel dibattito pubblico da un nuovo disagio: quello degli italiani che si sono dovuti confrontare con la fase dello sviluppo dell'autonomia e con la dominanza del partito etnico di raccolta dei cittadini di lingua tedesca».

Un nuovo disagio: quello degli italiani che si sono dovuti confrontare con la fase dello sviluppo dell'autonomia e con la dominanza del partito etnico di raccolta dei cittadini di lingua tedesca

Allo steso modo, non è comprensibile come la situazione di una minoranza territoriale di gruppo etnolinguistico tedesco incorporata nello stato italiano attraverso l'annessione della provincia originaria corrispondente al Südtirol, privata, da un regime totalitario insediatosi di lì a breve, del diritto di parlare la propria lingua e di manifestarsi nella propria cultura identitaria, fino alla scelta tra il rinunciarvi definitivamente e l'essere di fatto espulsi dalla propria terra, possa essere stata e sia definita semplicemente di «disagio».
Sul sito del consiglio provinciale di Bolzano è disponibile un opuscolo intitolato «Breve storia dell'Alto Adige dal 1918». Il termine «disagio» vi compare una volta sola ed è riferito al gruppo etnolinguistico italiano:

«Alcuni ambienti del gruppo linguistico italiano cominciarono a sentirsi relegati in secondo piano non essendo preparati al bilinguismo, privati del proprio posto di lavoro a causa della proporzionale e della crisi nell’industria pesante, e solo in parte coinvolti nella crescita del settore turistico e artigianale per mancanza dei presupposti economici; in altre parole si diffuse la convinzione che gli italiani fossero i perdenti dell’autonomia. A partire dal 1985 tale disagio [Unbehagen, nella versione in tedesco dell'opuscolo - NdA] si è manifestato con un forte spostamento dell’elettorato italiano verso destra nell’ambito di un orientamento che perdura tuttora».

ma anche in questo caso l'utilizzo del termine mostra tutta la sua inadeguatezza ai fini dell'interpretazione del fenomeno. La prima domanda è: dato quanto evidenziato sopra, perché viene usata la parola «disagio»?
Per capirlo bisogna prima determinare quale sia il significato che dovrebbe essere attribuito al termine. Se, come riportato nell'articolo di Luca Fazzi citato, «disagio» richiama «una condizione di insofferenza e insicurezza», si sta parlando di “sintomi”. Ma se il «disagio» è un “sintomo” come lo è la febbre per la “malattia”, qual è la natura della “malattia” che il «disagio» rivela in quanto “sintomo”?

Ma se il «disagio» è un “sintomo” come lo è la febbre per la “malattia”, qual è la natura della “malattia” che il «disagio» rivela in quanto “sintomo”?

Il problema delle minoranze non è una caratteristica esclusiva dell'Alto Adige/Südtirol. Le scienze sociali si occupano da sempre di questo fenomeno e lo sviscerano in ogni suo aspetto possibile: da quello sociologico a quello politico passando sempre e comunque attraverso il giuridico, ovvero la previsione e l’applicazione – in tempi più recenti - dei meccanismi di tutela dei loro diritti. Ciò che però accomuna tutti questi aspetti, il cosiddetto fil rouge che li collega, è il concetto di «discriminazione». Sono la teoria e la pratica della «discriminazione» che riducono in condizioni di «minorità» un gruppo sociale rispetto ad un altro.
Se Luca Fazzi scrive – citato sopra - che parlare di «disagio» «in provincia di Bolzano significava fare riferimento alla condizione di insofferenza e insicurezza che dominava tra la minoranza di lingua tedesca che aveva vissuto prima lo shock dell'annessione all'Italia e di seguito il doppio dramma del fascismo e delle opzioni», qual è la “malattia” della quale il «disagio» è il “sintomo” se non la «discriminazione» a cui la minoranza di lingua tedesca fu sottoposta durante il regime fascista e della quale subiva ancora gli effetti negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale?
È noto che oggi in Alto Adige/Südtirol nel dibattito pubblico il termine «disagio» è utilizzato unicamente per descrivere specificatamente la condizione in cui verrebbe a trovarsi il gruppo etnolinguistico italiano. Se si chiama la “malattia” (discriminazione) con il nome del “sintomo” (disagio) si raggiungono primariamente due obbiettivi:

  • Lo spostamento del fenomeno dal piano dell’oggettività a quello della soggettività riducendolo ad una mera questione di percezione o meno da parte del destinatario.
  • La sparizione dalla scena primaria della causa del fenomeno, ovvero la «discriminazione».

Nella narrazione istituzionale locale, l’autonomia speciale giuridico/politica (Statuto di autonomia) che regola la vita degli abitanti dell’Alto Adige/Südtirol è propagandata come portatrice di speciali benefici socioeconomici a vantaggio di tutti i gruppi etnolinguistici. Nel momento in cui uno dei tre gruppi manifesta una situazione di «disagio», quindi accusa un “sintomo”, la risposta del sistema è che non solo detto «disagio» non è un “sintomo” ma è uno stato soggettivo – non scaturente cioè da nessuna specifica causa esterna – dipendente da una errata percezione svalutativa degli speciali benefici dell’autonomia.
Se invece si valuta il «disagio» nella sua qualità di “sintomo” di una “malattia”, la verifica da fare è su natura e cause della “malattia”. E dato che la dinamica si manifesta in un contesto caratterizzato da interazioni di gruppi sociali omogenei, la ricerca deve essere finalizzata alla verifica o meno della sussistenza di stati o azioni di «discriminazione» specifici versus il gruppo che manifesta il «disagio».
Chi scrive ha pubblicato su salto.bz un articolo intitolato Il falso mito della proporzionale nel quale rileva «Come un principio redatto a salvaguardia del gruppo etnolinguistico tedesco si è rivelato un sistema di compressione occupazionale a sfavore del gruppo etnolinguistico italiano».

Come un principio redatto a salvaguardia del gruppo etnolinguistico tedesco si è rivelato un sistema di compressione occupazionale a sfavore del gruppo etnolinguistico italiano

Rimandando alla sua lettura per gli approfondimenti, si riporta di seguito la sintesi conclusiva. In Alto Adige/Südtirol:

  • il gruppo etnolinguistico tedesco ha a disposizione un’offerta occupazionale cosiddetta esclusiva – ovvero della quale si fruisce già solo per appartenenza etnolinguistica - comprendente tutti gli ambiti tranne il pubblico impiego (dove si entra per concorso) e il settore industriale a Bolzano;
  • il gruppo etnolinguistico italiano ha a disposizione un’offerta occupazionale cosiddetta escludente – ovvero della quale si può fruire del tutto marginalmente se non si ha la stessa appartenenza etnolinguistica - tranne il pubblico impiego (dove si entra per concorso) e il settore industriale a Bolzano;
  • lo statuto di autonomia ha, tramite la proporzionale, prima bloccato e poi compresso l’offerta occupazionale nel pubblico impiego per il gruppo etnolinguistico italiano senza però applicare per quest’ultimo alcun altro correttivo speculare per gli altri settori occupazionali;
  • la leadership del gruppo etnolinguistico tedesco ha applicato una politica di “contenimento” al settore industriale a Bolzano – e conseguentemente, alla sua capacità occupazionale -, storicamente appannaggio del gruppo etnolinguistico italiano.

L’occupazione e il lavoro sono la prima fonte di procacciamento delle risorse per il sostentamento. La limitazione dell’accesso a questa fonte primaria per un solo gruppo etnolinguistico come nel caso descritto sopra configura uno stato di «discriminazione». Se questa limitazione dell'accesso all'occupazione e al lavoro è conseguenza dell’applicazione dell’autonomia, si ha di fatto una «discriminazione» su base istituzionale.

Se questa limitazione dell'accesso all'occupazione e al lavoro è conseguenza dell’applicazione dell’autonomia, si ha di fatto una «discriminazione» su base istituzionale.

Per far sì che questo fatto sia celato all'osservatore e non emerga alla luce, viene operata una manomissione delle parole: ridenominando la “malattia” (discriminazione) con il nome del “sintomo” (disagio) la si riduce ad una mera percezione soggettiva da parte del destinatario permettendo così la continuazione della narrazione istituzionale di una realtà corrispondente ad un’autonomia speciale giuridico/politica (Statuto di autonomia) portatrice di benefici socioeconomici con identico vantaggio per tutti i gruppi etnolinguistici che di fatto è falsa.
Quali sono le conseguenze sottese a questa specifica interpretazione del tipo di narrazione analizzata?
La prima, che il «disagio» espresso dal gruppo etnolinguistico italiano può non essere il frutto di una percezione soggettiva ma la conseguenza di una o più azioni oggettive di «discriminazione».
La seconda, che se questa specifica parte della narrazione è confutata, può divenire confutabile l'intera narrazione che va quindi esaminata con gli stessi criteri empirici.
La terza, che l'attuale autonomia speciale giuridico/politica (Statuto di autonomia) può essere stata specificatamente formulata per portare più benefici socioeconomici ad un gruppo etnolinguistico specifico attuando contestualmente stati o azioni di «discriminazione» al fine di impedire all'altro una pari competizione per l'accesso alle risorse da cui dipende la sua sopravvivenza come gruppo etnolinguistico autonomo.
La quarta, che l'attuale autonomia speciale giuridico/politica (Statuto di autonomia) potrebbe dover essere modificata in modo tale da implementare - anche con l'introduzione di provvedimenti cosiddetti di Affirmative action - pari condizioni di accesso alle risorse per tutti i gruppi etnolinguistici.

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Aggiornamento del 18 febbraio 2023

Sul quotidiano Alto Adige di oggi è stata pubblicata una mia lettera che riprende in sintesi i temi di cui a questo articolo. C'è un richiamo dalla prima pagina, quindi abbiamo due titoli. Riporto tutto di seguito con la risposta del direttore del giornale.

(dalla prima pagina del quotidiano)
Che cosa nasconde il disagio

(nella rubrica delle lettere a pag. 14)
Dalla storia al presente
Se la discriminazione si chiama disagio

 

Nel 1948 George Orwell scrisse “1984”, forse il più straordinario romanzo politico di tutti i tempi, nel quale il filo rosso che lega tutto il racconto è la sistematica distorsione del linguaggio: il tiranno di Oceania domina mediante la “neolingua”, un linguaggio dove la “schiavitù” è chiamata “libertà”, la “guerra” “pace”, l’ “ignoranza” “forza” e via dicendo.
Passando dalla letteratura alla saggistica, in sociologia i tipi delle diseguaglianze si possono anche dividere in due famiglie: verticali e orizzontali. Accantonate per un momento le prime, tra le seconde rientra la discriminazione su base etnolinguistica di un gruppo rispetto ad un altro. Perché essa si concreti sono necessari almeno tre presupposti: primo, che i rispettivi gruppi siano univocamente riconoscibili e differenziabili; secondo, che i due gruppi rimangano sempre integri e separati; terzo, che uno dei due gruppi sia numericamente superiore all’altro in modo significativo.
In Alto Adige/Südtirol ai primi due presupposti provvede da più di cinquant’anni il secondo Statuto di Autonomia. Riguardo al terzo, ci ha pensato la storia: in attesa dei risultati del nuovo censimento, ad oggi i sudtirolesi dovrebbero essere circa il quadruplo degli altoatesini.
Una caratteristica delle famiglie delle diseguaglianze citate è che una diseguaglianza orizzontale per contrapposizione di gruppi è destinata ad evolversi anche in verticale.
Nel caso in questione, le risorse economiche, politiche ed intellettuali divengono, a poco a poco, appannaggio di uno solo dei due soggetti: fenomeno che rende proprio in quel momento riconoscibile negli effetti la discriminazione originale - si vedano ad esempio i dati sulla contrazione demografica del gruppo etnolinguistico italiano - quale causa primigenia.
Ora la domanda: perché in Alto Adige/Südtirol il termine discriminazione è stato sostituito con disagio?
Per rispondere si deve ritornare alla letteratura: in particolare, a quanto citato in apertura sullo stratagemma della neolingua. Se si chiama la malattia ("discriminazione") con il nome del sintomo ("disagio") si raggiungono due obbiettivi: il primo, lo spostamento del fenomeno dal piano dell’oggettività a quello della soggettività con contestuale sua riduzione ad una mera questione di percezione o meno da parte del destinatario; il secondo, la sparizione dalla scena primaria della causa del fenomeno, ovvero la discriminazione.
Nella narrazione istituzionale locale lo Statuto di autonomia che regola la vita degli abitanti dell’Alto Adige/Südtirol è propagandato come portatore di speciali benefici socioeconomici a vantaggio di tutti i gruppi etnolinguistici. Nel momento in cui uno dei gruppi manifesta una situazione di disagio, quindi accusa un sintomo, la risposta istituzionale è che non solo detto disagio non è un sintomo ma è uno stato soggettivo, non scaturente cioè da nessuna specifica causa esterna, dipendente unicamente da una errata percezione svalutativa degli speciali benefici dell’autonomia.
Come si è visto, i fatti, che a differenza delle opinioni non hanno uno specifico colore politico, provano tutt'altro.
[Ma è stata assolutamente politica la decisione di adottare lo Statuto di autonomia: nel perimetro amministrativo della provincia autonoma di Bolzano, tra una minoranza nazionale sudtirolese, qui maggioranza, e una maggioranza nazionale italiana, qui minoranza, s'è salvata la prima a scapito della seconda. Può darsi sia stata una scelta sofferta. Da come venne assemblato allora lo Statuto, fu però una scelta consapevole. Ci potevano avvertire.]

Ma grazie a queste scelte s'è arrivati alla pacifica convivenza.

Nota.
Quella che avete letto sopra è la versione pubblicata sul quotidiano. Qui di seguito, la stessa parte - tra parentesi quadre - nella versione inviata originariamente.
[Ma è stata assolutamente politica la decisione di adottare lo Statuto di autonomia: nel perimetro amministrativo della provincia autonoma di Bolzano, tra una minoranza nazionale sudtirolese, ma qui maggioranza, e una maggioranza nazionale italiana, ma qui minoranza, si è scelto di salvare la prima a scapito della seconda. Può darsi sia stata una scelta sofferta. Da come venne assemblato allora lo Statuto, fu sicuramente una scelta consapevole. Ecco: da altoatesini diciamo che ci potevano anche avvertire.]

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