L'intelligenza artificiale è realtà?
HutteBot è il nome di uno dei team premiati lo scorso ottobre alla Open Data Hackathon 2016 di Bolzano. Si tratta di un servizio che usa dati sul trasporto pubblico e le baite di montagna combinandoli con quelli di Open Street Map e GoogleMaps Huttebot per consentire agli utenti una serie di operazioni:
- trovare le baite in una data zona;
- scegliere quali raggiungere;
- filtrare e ordinare le diverse baite in base ad alcuni parametri stabiliti;
- visualizzare schede con informazioni, mappe e itinerari per ognuna di esse;
A dirla così non sembra nulla di particolarmente innovativo. Esistono moltissimi servizi che fanno più o meno la stessa cosa in moltissimi ambiti diversi. Perciò cosa rende l’applicazione sviluppata da Francesco Bonadiman, Luca Galasso, Massimiliano Bolognesi e Silvio Biasiol meritevole di un premio?
È il modo in cui interagiamo con essa e l’ambiente in cui essa opera. HutteBot infatti è un chatbot per Telegram. Questo significa che interagiamo con esso all’interno di una delle più popolari app di messaggistica istantanea e lo facciamo rivolgendoci al servizio come se ci stessimo rivolgendo a un operatore in carne e ossa: facendo domande e ricevendo risposte.
Quello dei chatbot è un mercato in forte espansione. Talmente popolare che esistono già diversi servizi che permettono di costruire dei bot attraverso interfacce WYSIWYG e l’uso di queste soluzioni si è diffuso in moltissimi campi. Dal marketing alle news, dalla finanza ai viaggi sembra esserci almeno un bot per tutte le esigenze.
Dalle chat alle nostre case
App di messaggistica e chat non sono gli unici ambienti in cui possiamo interagire con un bot. Se avete visto la seconda stagione di Mr. Robot probabilmente vi ricorderete di Alexa, l’assistente vocale con cui l’agente Dom DiPierro si intrattiene tutte le volte che torna a casa dopo una dura giornata a caccia della fsociety.
Alexa è tutt’altro che fantascienza. Si tratta infatti del software sviluppato da Amazon per interagire con Echo, un dispositivo di controllo vocale pensato per integrarsi con un universo di oggetti connessi in rete e accedere all’ecosistema di servizi creato dall’economia digitale.
Mano a mano che gli oggetti della nostra vita quotidiana vengono connessi a internet chiacchierare con dei software chiedendo loro di abbassare la musica, alzare il riscaldamento, ordinare una pizza o chiamare un taxi non sarà più una bizzarria da telefilm, ma la realtà per milioni di persone.
Se fino a ieri la connettività mobile rendeva centrale l’esperienza di internet in mobilità, oggi si sente parlare sempre più spesso di AI First. L’intelligenza artificiale sarà sempre più l’orizzonte verso cui evolverà il nostro rapporto con la tecnologia. Per alcuni è l’alba di una nuova era, quella delle macchine.
Le interfacce sono conversazioni
In questa nuova era di macchine intelligenti la conversazione sarà sempre più spesso la forma con cui interagiremo con la tecnologia che ci circonda. Per renderla significativa e coerente sarà necessario studiarne l’architettura dell’informazione e progettare con attenzione gli schemi con cui gli utenti interagiranno con le intelligenze artificiale.
In questo processo il fattore umano avrà un ruolo cruciale. Nessun robot, per quanto intelligente possa essere, è ancora capace di creare da solo gli schemi e le parole necessarie per interagire con un essere umano. Tanto è vero che molte aziende attive nel settore stanno assumendo scrittori e poeti per dare alle loro intelligenze artificiale quel calore umano necessario per renderle piacevoli e significative per i loro utenti.
Sapere che nel cuore di ogni bot si nasconde sempre un elemento umano che governa la sua intelligenza artificiale non deve però farci credere di essere al riparo dai rischi. Evitare che le macchine intelligenti si trasformino in gelidi Terminator programmati per eliminarci dalla faccia della terra è una nostra responsabilità. A giudicare dai primi risultati sembra che dovremmo impegnarci molto più di così.