Words, words, words
Si chiama “rumore bianco”. E i social network ne alzano quasi ogni giorno l’asticella, il limite in alto per farsi ascoltare. Senza volerlo, anzi brutalmente segnati da “non so” e “che sarà mai…”, gli odiatori del web praticano questa nefasta disciplina dell’asticella. Con il risultato che ogni giorno devono gridare più forte, più violentemente, più volgarmente.
Per quanto non pensino granchè, questa è infatti la loro convinzione. “Se grido più forte mi ascolteranno di sicuro”. E magari “crederanno a quello che dico”.
Questo portale si sta liberando velocemente dei (pochissimi) rancorosi, degli invidiosi competitivi, degli odiatori del web. Ma Salto.bz è una comunità evoluta, ragionevole e pensante. Quando può, persino allegra e ottimista.
Il linguaggio delle volgarità, sessuofobo soprattutto, è invece un modulo vocale e linguistico di una aggressività che nasconde problemi anche seri da parte di chi lo pratica. Ciò non di meno, va individuato, approfondito e punito. Ci sono le leggi, c’è lo Stato di diritto.
La Rete, pochissimo regolamentata, è invece il contrario. Una prateria assolata, piena di cacca di animali e senz’acqua. Dove preferiamo vivere? In questa prateria oppure nella vita reale affollata di problemi e di fatiche ma, appunto, reale e concreta?
Proviamo a parlare di parole e di linguaggi anche in questa rubrichina.
Nel giro di poche settimane sono comparse scritte come “Ammazza el neger” nell’hinterland milanese e due donne – l’assessora verde Lorenzini e una dj – sono state investite da parole volgari, vergognose e piene di boria maschilista.
Naturalmente, anche ebrei, musulmani, a tratti persino i “comunisti” restano tra i bersagli preferiti.
Se i magistrati – e il nostro sentire comune – hanno già messo al bando questi “bravi” che di manzoniano non hanno però proprio nulla e che il regista Quentin Tarantino prenderebbe a calci non necessariamente solo sul di dietro, ebbene dobbiamo porci anche il problema delle parole. Del loro peso, del loro colore (appunto), della loro carica putrida.
Un andrologo – prima ancora dello psichiatra e ovviamente del giudice - ricondurrebbe tutto a problemi non solo mentali ma, appunto, sessuali. Persone con problemi seri da pronto soccorso ma che preferiscono imbracciare parole e scritte volgari e minacciose come se fossero armi automatiche.
E dobbiamo ringraziare sia Maria Laura che la musicista per le modalità delle loro reazioni. Molti uomini non avranno mai le spalle altrettanto forti e solide. Molte donne, con loro due, faranno del Sudtirolo una terra meno compressa e meno tradizionale.
Certo, servirebbero un vocabolario aggiornato e un apparato di condanne e punizioni esemplari. Ma basta anche applicare la legge. Punto.
Se i magistrati – e il nostro sentire comune – hanno già messo al bando questi “bravi” che di manzoniano non hanno però proprio nulla e che il regista Quentin Tarantino prenderebbe a calci non necessariamente solo sul di dietro, ebbene dobbiamo porci anche il problema delle parole. Del loro peso, del loro colore (appunto), della loro carica putrida.
Proviamo allora tutte e tutti a pesarle le parole, nell’agone politico e in quel porcile sintonizzato con una parte purtroppo non risicata del Paese che si spaccia per “terreno di confronto di idee”.
Ma andiamo. Ribadito che i magistrati non potranno più permettersi di condannare con una “lavata di capo” ma dovranno esercitare il loro diritto-dovere di emettere una sentenza, pensiamo a come alcuni linguisti avrebbero definito questi episodi sconcertanti, allarmanti e gravissimi.
Ce ne vengono in mente due, che richiameremno volentieri tra di noi: Tullio De Mauro e Umberto Eco.
Anzi, tre: vorremmo ascoltare e riascoltare ancora il parere di Enzo Jannacci. Uno che ha scritto di scarpe da tennis e di banda dell’Ortica, potrebbe definire con efficacia la marmaglia razzista, xenofoba e che attacca, soprattutto, le donne.
Seppellendola con una canzone, salvo poi accompagnarla davanti al giudice. Subito.