La colpa di Olfa
Dopo un evento tragico, un grande evento tragico come può essere l'esito di un attentato terroristico o una sciagura naturale, per esempio il terremoto accaduto nell'Italia centrale qualche giorno fa, la popolazione si spacca in svariati pezzi. Ci sono quelli che si mettono subito in azione per portare aiuti di qualsiasi tipo, nell'ambito delle proprie attività consuete, i vigili del fuoco o chi si occupa di protezione civile, per esempio, ma anche chi, mosso da un sentimento di spontanea ed eccezionale solidarietà, si adopera per essere utile, anche solo inviando un sms per fare una donazione; poi ci sono quelli che trovano il modo per approfittarsi di ciò che è accaduto, gli sciacalli che fanno affari con i disastri, calpestando la memoria dei morti e i sentimenti dei sopravvissuti; infine gli altri, tutti gli altri, ovviamente la stragrande maggioranza, ai quali è affidato (si fa per dire) il compito (si fa sempre per dire) di commentare l'accaduto. Dei primi è inutile parlare: vanno solo sostenuti, ringraziandoli di esserci e di compiere il necessario affinché il ritorno alla “normalità”, o quantomeno a una situazione sopportabile, avvenga il più rapidamente possibile; sui secondi è meglio stendere un velo pietoso, sperando che i loro laidi guadagni se ne vadano presto in malora; mentre per i terzi, invece, tocca spendere qualche amara parola, soprattutto quando si tratta di persone che colgono subito l'occasione per esprimere con rinnovato vigore le scemenze delle quali, peraltro, sono maestri anche in tempi più tranquilli.
A Bolzano (mi concentro su questo terzo gruppo) “ha destato scalpore” (come si suol dire, adoperando cioè il linguaggio come fosse una zappa) un post pubblicato su facebook da Olfa Sassi (chi si occupa di politica locale sa chi è, in caso contrario legga questo ritratto). Bene, cosa avrebbe detto di tanto orribile la Sassi? Il testo del suo messaggio, redatto la stessa notte del terremoto, quando evidentemente la donna non sapeva ancora delle proporzioni dell'accaduto, è questo: “Era fin troppo bella la serata finita col terremoto”. Seguono un po' di faccine che ridono e la chiusa: “Per un po' faccio bene a stare a casa”. La Sassi ha scritto successivamente di aver avvertito lei stessa la terra vibrare, dunque “la serata finita col terremoto” era semplicemente la serata in cui lei “ha sentito” il terremoto, e non la mattinata o la giornata di chi, come la Sassi stessa più tardi, peraltro, ha avuto modo di “vedere” il terremoto, e di valutarlo per ciò che era realmente stato. Il testo del messaggio su facebook, insomma, traduce solo la percezione lieve del terremoto, quella incapace di rovinare il recente ricordo di una serata “fin troppo bella”. A qualcuno pare che una cosa del genere possa “destare scalpore”?
Ma vediamola, dunque, la ragione dello “scalpore”. Secondo alcuni, la Sassi, scrivendo quello che ha scritto, avrebbe manifestato una inaccettabile superficialità e un atteggiamento incongruo rispetto all'accaduto, anche se lei, ripetiamolo fino alla noia, di ciò che era accaduto non poteva sapere ancora nulla. Diciamo che si tratta, questa l'accusa, di una mancanza di sensibilità preventiva rinfacciatale da chi giudica tutto col senno di poi. Ma allora perché non prendersela anche con tutti coloro i quali, quella notte, hanno magari scritto che stavano festeggiando il compleanno o consumando orge, seppur distratti per un attimo da un “lieve tremore” della terra? Evidentemente la Sassi, la colpa della Sassi, non riguarda solo la superficialità della sua mancata esatta diagnosi di quanto stava accadendo. In una versione classica dell'accusa, alla Sassi viene rimproverato di non essere una degna rappresentante degli italiani altoatesini attivi nella cosiddetta Convenzione per la riforma dell'autonomia, e la superficialità con la quale lei ha commentato quasi in diretta il terremoto (pur trattandosi di un terremoto ancora non registrato come drammatico) sarebbe indice della sua inadeguatezza complessiva ad entrare in sintonia con l'animo del popolo al quale sempre lei – ecco come l'accusa di prima si perfeziona, si approfondisce – dice di appartenere ma in realtà non può (e non sa) appartenere, perché nata in Tunisia, quindi usurpatrice a priori di un titolo e di una sensibilità appropriati, cioè quella concessa solo agli autoctoni di sangue puro. Ovviamente nessuno rinfaccia alla Sassi in modo esplicito un tale fatto (o meglio: non tutti, perché qualcuno glielo rinfaccia pure), ma è esattamente tale fatto quello che ha fatto calare sulla Sassi la lente d'ingrandimento dei “veri italiani”, quelli che, beati loro, capiscono immediatamente quando un leggero tremore della terra significa che altrove si sta verificando un grave terremoto, e quindi non scrivono su facebook che si sono divertiti tanto la sera, figuriamoci un po', ma si preoccupano, cercano immediatamente di capire cosa possono fare e magari si danno già da fare, scendono dal letto in fretta e furia, e a piedi scalzi (non c'è neppure il tempo di infilarsi le ciabatte) corrono ad organizzare gli aiuti. Non scordandosi, inoltre, di mandare pur in tutto quel trambusto un responsabile pensiero ai lavori della Convenzione per la riforma dell'autonomia.
Messa sotto pressione da tali insinuazioni, la Sassi è stata spinta a giustificarsi, a fornire spiegazioni, quelle spiegazioni che qualsiasi altra persona “italiana” e non caricata dell'ingrato compito di “rappresentare gli italiani” nella cosiddetta Convenzione per la riforma dell'autonomia si sarebbe rifiutata di dare, dicendo semplicemente: beh, ragazzi, io non ho mica commentato il terremoto che ha sterminato paesi e fatto i morti, ma solo quello che ho sentito tornando a casa quella sera. A voi non capita mai di passare una bella serata e accorgervi, il giorno dopo, che la serata non era stata bella per tutti? Di più: alla Sassi è stato quasi imposto (perché dall'accusa subdola di superficialità e inadeguatezza è ovviamente sbocciata una subdola richiesta di giustificarsi in modo conforme a certe aspettative) di dichiarare tutta la solidarietà per il popolo italiano, per i suoi “connazionali”, costringendola insomma ad esibire sul suo animo contrito la bandiera nazionale listata a lutto, in un gesto di ipocrita inclusione patriottica che poi è il rovescio del razzismo implicito (ma spesso esplicito, tipo quando si impone a un sudtirolese di madrelingua tedesca, per esempio ad un atleta, di dimostrare che conosce un paio di strofe dell'inno di Mameli). Del resto la Sassi deve fare i conti tutti i giorni con un certo strisciante razzismo, non essendo nata qui, e quindi non essendo mai abbastanza integrata, mai abbastanza integrabile, mai abbastanza grata di essere stata accolta fra noi e di essere addirittura stata incaricata di rappresentarci, seppur nel modesto conclave della cosiddetta Convenzione per la riforma della nostra (e quindi anche della sua, seppur condizionata all'obbligo di saperselo guadagnare, la prossima volta, cercando mi raccomando di non essere così superficiale) autonomia.