“Rispettare la volontà del malato”
La scelta delle cure ai pazienti inguaribili solleva dubbi etici e religiosi.
Al riguardo, abbiamo chiesto di prendere posizione a Martin Maria Lintner, professore di teologia morale presso lo studio teologico accademico di Bressanone, membro del comitato etico della provincia di Bolzano e sacerdote dell’ordine dei Servi di Maria della provincia austriaca, stesso ordine religioso dei Frati di Pietralba.
Salto.bz: Professor Lintner, la vita deve essere tutelata sino all’ultimo istante?
Professor Lintner: L’esistenza di ogni persona, in ogni momento, ha un senso profondo e una dignità inviolabile, ma non si tratta di difendere la vita biologica a tutti i costi. Bisogna chiedersi piuttosto come poter tutelare la dignità e aiutare una persona in un frangente molto delicato, fragile e difficile a riconciliarsi con le sue condizioni di vita.
Il teologo don Paul Renner sostiene che la vita non sia sacra in sé, ma che le persone e le sue tante relazioni siano sacre. E’ d’accordo?
No, non possiamo distinguere la vita dalla persona.
Il rifiuto e l’interruzione di determinate cure sono legittimi per tutelare la dignità di una persona, quando i trattamenti medici non portano a miglioramenti della salute. Questo non significa non tutelare la vita né che la vita non valga più, ma che una terapia non abbia più senso in riguardo a questa vita in queste condizioni: non è un rifiuto del paziente e della sua vita ma espressione del rispetto che si deve a una persona
La scelta di un malato a non farsi nutrire o alimentare a forza nella fase terminale della propria esistenza è giusta sotto i profili religioso e etico?
Sì. Giovanni Paolo II ha detto che sia il rifiuto sia l’interruzione di determinate cure sia legittimo per tutelare la dignità di una persona, quando i trattamenti medici non portano a miglioramenti della salute. Questo non significa non tutelare la vita né che la vita non valga più, ma che una terapia non abbia più senso in riguardo a questa vita in queste condizioni: non è un rifiuto del paziente e della sua vita ma espressione del rispetto che si deve a una persona. In tale ottica, papa Wojtyla ha dato un esempio: egli non ha nascosto la sua malattia al mondo e non si è ritirato dalla vita pubblica proprio per sottolineare che anche tale fase della vita fosse degna di essere vissuta; tuttavia, l’allora pontefice non ha voluto proseguire la vita con trattamenti forzati. Il paziente ha diritto di rifiutare determinate cure, poter lasciarsi morire e accettare la morte quale parte della vita e destino inevitabile di ogni vita umana.
Lasciar morire una persona sofferente è un atto di carità cristiana?
Sì, significa accettare che la vita abbia una fine. Se una terapia non raggiunge l’obiettivo, rinunciare a tale trattamento sanitario è legittimo eticamente e si deve accettare la decisione del malato. Peraltro, anche se il paziente chiedesse una determinata terapia e quest’ultima non avesse senso dal punto di vista clinico, è giusto che il medico possa rifiutarsi di proseguire tali cure, ormai inutili e inefficaci. La carità e la compassione richiedono comunque sempre che il paziente riceva ogni cura palliativa per alleggerire le sue sofferenze e ogni sostegno umano per rispondere alle sue esigenze psicologiche, esistenziali e religiose.
Anche se Gesù sulla croce umanamente si è fatto la domanda, perché Dio lo abbia abbandonato, nella sua fede era convinto profondamente che Dio non si fosse dimenticato di lui. La fede di essere avvolti da Dio proprio in questa fase difficile e delicata può essere una vera fonte di speranza e di forza per una persona morente
Vi è chi afferma che i malati terminali debbano seguire il modello di Gesù che ha portato la sua croce fino all’estremo.
Non si può instaurare un parallelismo. Gesù non si è cercato la morte ma ha accettato la sofferenza e la morte violenta, da altri procurata, quale espressione della donazione di sé e della propria vita al prossimo. Tuttavia, anche se Gesù sulla croce umanamente si è fatto la domanda, perché Dio lo abbia abbandonato, nella sua fede era convinto profondamente che Dio non si fosse dimenticato di lui. La fede di essere avvolti da Dio proprio in questa fase difficile e delicata può essere una vera fonte di speranza e di forza per una persona morente.
Non nutrire o non idratare una persona, il cui cervello sia danneggiato in modo grave e irreversibile, la conduce alla morte. Per la Chiesa si tratta di un atto di eutanasia.
L’interruzione di idratazione e nutrizione si deve consentire anche quando i pazienti sono in stato vegetativo permanente?
No, non nutrire o non idratare una persona, il cui cervello sia danneggiato in modo grave e irreversibile, la conduce alla morte. Per la Chiesa si tratta di un atto di eutanasia: in questa situazione la causa principale della morte non è la malattia, cioè la lesione grave e irreversibile del cervello ma la mancanza di nutrizione e idratazione.
E se in una persona in coma irreversibile interviene una seconda malattia o la complicazione di una patologia già esistente?
Una malattia come per esempio la polmonite può far morire un paziente. Allora si può lasciar morire la persona, se lo ha richiesto, non trattando in modo curativo una complicazione o una seconda malattia. La differenza tra uccidere e lasciar morire (permettere la morte) è fondamentale. Si deve sempre distinguere, infatti, se l’azione o omissione sia o no la causa diretta e primaria della morte della persona: se no, ha senso dar seguito alla volontà della persona di non proseguire a vivere; nell’altra ipotesi, è invece una voluta uccisione di un individuo e non è accettabile.
E’ favorevole al testamento biologico?
Sì, è uno strumento valido e legittimo con cui la persona in autonomia decide e comunica la propria volontà: un forte aiuto nel processo difficile di trovare soluzioni in fin di vita, quando la persona stessa non è più capace di farsi un giudizio o di comunicarlo. La dichiarazione è importante non solo per i familiari e parenti, perché crea una discussione sull’ultima parte della vita e su come reagire alle malattie, ma anche per i medici, che vengono sollevati dal peso di decidere da soli su un’altra persona.
Nella Chiesa vi è chi esprime contrarietà al testamento biologico. Perché?
In Austria e Germania le Conferenze Episcopali e Chiese evangeliche hanno elaborato insieme un formulario per la dichiarazione anticipata di trattamento sanitario per il momento della fine della vita. In Italia i vescovi sono invece scettici, poiché temono che il testamento biologico apra le porte all’eutanasia. Secondo me tale paura non è fondata.
Quali caratteristiche deve avere un buon testamento biologico?
A livello legislativo è indispensabile offrire la possibilità al cittadino di rivedere sempre la propria scelta, affinché la presunta volontà del paziente sia sempre attuale. Si deve poi stabilire che si indichino quali terapie rifiutare e a quali condizioni. E’ inoltre necessario prevedere che il paziente specifichi i motivi della propria decisione e i fini che intenda raggiungere: in tal modo il rifiuto di una cura da parte dell’ammalato non costituirà un vincolo assoluto per il medico, che nel rispetto della volontà e degli obiettivi del malato potrà individuare una soluzione migliore con un metodo alternativo.
Eutanasia e suicidio assistito sono attacchi alla vita, causa diretta della morte di una persona. L’uccisione di una persona nega il senso di vita di una persona in situazioni precarie e difficili
Se il paziente dichiara di non voler essere in futuro idratato e nutrito, può a suo avviso il medico opporre l’obiezione di coscienza?
No, perché altrimenti violerebbe la libertà di coscienza altrui: se una persona non desidera più proseguire la vita, il medico non si può rifiutare di dare corso alla volontà del paziente. D’altro canto, al medico non si può chiedere di operare contro la propria coscienza, come avviene nei diversi casi di eutanasia e suicidio assistito.
La sedazione palliativa è corretta dal punto di vista etico, perchè accelera il processo di morte ma non causa la morte: essa non è fatta per uccidere una persona. Si cerca invece di togliere al malato le difficoltà respiratorie, le sofferenze e le paure
Eutanasia e suicidio assistito sono pratiche per lei ammissibili?
No, sono attacchi alla vita, causa diretta della morte di una persona. L’uccisione di una persona nega il senso di vita di una persona in situazioni precarie e difficili.
La sedazione palliativa crea anche problemi etici?
No, la sedazione palliativa accelera il processo di morte ma non causa la morte: essa non è fatta per uccidere una persona. Si cerca invece di togliere al malato le difficoltà respiratorie, le sofferenze e le paure.