Ci sono sempre! Tutti! A prescindere! In televisione all'ora del tigì, alla radio all'ora del gierre, sul giornale tutto il dì. Oggi, tra un anno, dieci anni fa... non cambia nulla. Loro ci sono ogni giorno, ci sono tutti, ci sono a prescindere dai problemi, dalle urgenze, da ciò che è successo nel mondo.
Loro sono i politici italiani, la cui disponibilità a farsi intervistare è superata solo dalla disponibilità dei giornalisti a intervistarli. Presidenti del consiglio, ministri, sottosegretari, segretari dei partiti di maggioranza, segretari dei partiti di opposizione, parlamentari in disaccordo con la direzione del loro partito, portavoce, portaborse: l'intera sfilata, ognuno con la sua citazione, i suoi secondi in viva voce, la sua posa. Il pubblico li stima poco, eppure si nutre delle loro dichiarazioni, polemiche, prese di posizione, tweet, post; delle loro chiacchiere e battute. Chiaro sintomo di schizofrenia collettiva.
È evidente che politici e giornalisti sono figure a contatto. È così in tutti i paesi, ma solo in Italia si ha l'impressione che entrambi giochino nella stessa squadra (e contro il pubblico). Lo confermano l'interscambiabilità e la confusione tra i due ruoli, che c'è sempre stata, su tutti i piani. Mussolini da giornalista divenne deputato e poi dittatore; Berlusconi da editore divenne Presidente del consiglio. Non ricordo più chi ha scritto che in Italia i giornali sono “voci passive di bilanci ben altrimenti attivi”, ovvero sono al servizio di altri poteri, organizzazioni o ideologie. Si pensi alla (peraltro grande) tradizione dei giornali di partito come Il Popolo, l'Unità, l'Avanti, mentre fino ad oggi i maggiori quotidiani italiani sono di fatto controllati da gruppi bancari e finanziari, che hanno appunto i loro interessi. L'idea stessa di giornale-partito è comunemente accettata come cosa naturale e ovvia, così come tra molti giornalisti è comunemente accettata l'idea che non esistono fatti, ma solo interpretazioni: e dunque via libera a ogni “narrazione”.
Il pubblico li stima poco, eppure si nutre delle loro dichiarazioni, polemiche, prese di posizione, tweet, post; delle loro chiacchiere e battute. Chiaro sintomo di schizofrenia collettiva
Alla critica di parlare troppo di politica, noi giornalisti rispondiamo che è nostro compito controllare il potere. Argomento stantio. Nelle democrazie funzionanti si dà il dovuto spazio al dibattito e al confronto (non alle liti invece), ma la cronaca politica non è così invasiva e martellante come da noi. Anche quando ci sono scadenze importanti, tipo elezioni, dopo due giorni è finita; e se le trattative sono lunghe, non vengono seguite giorno dopo giorno con collegamenti davanti ai palazzi a ogni entrata o uscita delle delegazioni. Di Frau Merkel, come sa chi segue i tigì del servizio pubblico tedesco, non si parla ogni giorno. Se non ha deciso nulla di importante, semplicemente non si parla della cancelliera. Mancato controllo da parte dei colleghi tedeschi? A me sembra che loro informano il pubblico sui fatti, noi sulle parole. Qui l'annuncio è tutto, e il gioco riesce facile in una cultura che prova fastidio per la realtà.
I politici sono la nomenclatura più appariscente, ma non l'unica omaggiata dal sistema dell'informazione in Italia. Come loro, trovano spazio quotidiano su giornali, radio e tivù le alte cariche istituzionali coi loro appelli e moniti, il clero con le sue cerimonie, le magistrature con le loro indagini e sentenze, le associazioni di categoria e i sindacati, le forze dell'ordine con i loro gradi e stendardi e molte altre autorità o organizzazioni che si ritengono tali. Anche questo si è osservato: siamo ossequiosi, al punto da fare annunciare le previsioni del tempo a un colonnello dell'areonautica militare e da disturbare a ogni ondata di caldo un primario per fargli dire che bisogna bere molto, stare all'ombra e muoversi poco.
Siamo ossequiosi, al punto da fare annunciare le previsioni del tempo a un colonnello dell'areonautica militare e da disturbare a ogni ondata di caldo un primario per fargli dire che bisogna bere molto, stare all'ombra e muoversi poco
Si può infine accennare a un'altra caratteristica del modello di informazione pubblica in Italia, ossia la considerazione di cui gode la cronaca nera e giudiziaria. A delitti, incidenti, funerali, arresti, processi e quant'altro viene spesso dedicata la prima pagina e l'”apertura”, come si dice in gergo per indicare i servizi più importanti. Altri paesi hanno tivù e giornali apertamente scandalistici (esempio la Bild, il quotidiano più venduto in Germania, 1,2 milioni di tiratura media), mentre i quotidiani che si rivolgono a un pubblico colto e i telegiornali di punta del servizio pubblico non danno spazio a quelle notizie. In Italia invece sono i media ritenuti seri a servirle, spesso con dovizia di particolari e con la stessa irrimediabilità con cui ci verrà presentata anche stasera la sfilata dei partiti e delle nomenclature. Forse è plausibile la conclusione che questa morbosità per la “nera” non è che l'altra faccia dell'ossequio all'autorità.