The Lost Daughter
Mettetevi scomodi: a marzo arriverà nelle sale italiane il film di Maggie Gyllenhaal, al suo debutto alla regia, The Lost Daughter, tratto dal romanzo di Elena Ferrante La figlia oscura. La pellicola, che ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura all’ultima Mostra del cinema di Venezia, è un’ispezione sulle ambivalenze e le complessità della maternità, scardinata dalle asfissianti convenzioni sociali, dalla sovrapposizione forzata e stantia di ruolo genitoriale e identità femminile, e dalle trite aspettative di lorsignori.
Cos’è
Leda Caruso (la sempre scintillante Olivia Colman, qui nel suo ruolo più irritante per esigenze di trama), la protagonista del film, è una professoressa universitaria di mezza età, divorziata, che decide di prendersi una breve “vacanza di lavoro” al mare, in Grecia. Le sue due figlie, con le quali ha un rapporto complesso, per motivi di studio sono partite per il Canada, dove raggiungeranno il padre.
Trascorsi alcuni giorni di solitario relax sulla spiaggia Leda si imbatte in una famiglia numerosa, chiassosa, folkloristica (un gruppetto di cafoni in perfetta versione stereotipata) e pure un po’ losca. In particolare la sua attenzione - che presto si trasforma in una sorta di ossessione - viene catturata da Nina (Dakota Johnson), una giovane, tormentata donna in cui Leda rivede se stessa, e da sua figlia. Come Nina, anche Leda si è ritrovata accanto un marito che non è stato di alcun aiuto, eppure la responsabilità di quella che definisce la sua “maternità innaturale” riguarda solo lei.
La temporanea scomparsa della bambina di Nina e il furto apparentemente innocuo di una bambola (uno dei tanti rebus psicologici sparsi nel film) sarà il pretesto per riportare a galla ricordi e circostanze del passato di Leda: in sostanza quando da ragazza cercava di nutrire le sue ambizioni accademiche, la presenza petulante delle due figlie non le ha reso vita facile, tanto da decidere di abbandonare la famiglia per tre anni e fuggire con un carismatico professore (Peter Sarsgaard).
Com’è
“Children are a crushing responsibility”, “I bambini sono una responsabilità schiacciante”, dice Leda a Callie (Dagmara Dominczyk), la cognata di Nina. Per spiegare e contestualizzare quest’affermazione, tagline della storia, Gyllenhaal si affida - con qualche primo piano di troppo - ai flashback di Leda, che, giovane accademica (interpretata da un’ottima Jessie Buckley), a un certo punto si è vista accerchiata dalle pressioni del matrimonio, della maternità, del lavoro, dalle lusinghe delle tentazioni.
Ad avere la meglio sarà la carriera e la breve avventura clandestina con il collega, a seguire il pacchetto completo di senso di colpa e inadeguatezza materna, auto-recriminazione e rimorsi che Leda “sconta” ancora nel presente, proiettando sull’altro le proprie questioni irrisolte. L’aura di mistero e suspense che la regista le costruisce attorno è un generatore di tensione che lavora a pieno ritmo. Il “non detto” dietro le interazioni sociali viene sistematicamente male interpretato da Leda, come l’atteggiamento disponibile del bagnino Will (Paul Mescal) o la gentilezza del custode (Ed Harris), finché per lei trattenere dentro il proprio caos emotivo non sarà più possibile.
Non tutti i personaggi vengono scoperti ed esposti, non tutte le risposte ci vengono date, troppe sono le sottotrame e il modo in cui gli elementi enigmatici vengono svelati manca dell’impatto necessario per giustificare un racconto in fondo contorto.
Due sono i messaggi inequivocabili, cardinali e paralleli: una madre può amare profondamente i suoi figli e, pensa tu, avere anche bisogno di qualcosa di più dalla vita. E se il matrimonio o la società non le offrono un adeguato sostegno potrebbe financo rispondere con il dito medio. Anche se sa che i “cocci” sono i suoi, e per il resto della vita.
Tutte tematiche, queste, che forse pesano un’anticchia troppo sulle spalle di un’esordiente dietro la macchina da presa, ma qui - più di altre volte - conta l’intenzione, e allora chissenefrega se il film non è perfetto.
Bella recensione! O è un’
Bella recensione! O è un’ autobiografia?