Politik | razzismo a bolzano

Colpevole fino a prova contraria

Alabama 1950? No, Bolzano 2022. Un altro giorno di ordinario razzismo nella città più ricca d’Italia, dove chi ha la pelle nera non può nemmeno salire su un autobus.
Polizia
Foto: Salto.bz

Ci sono cose che programmiamo minuziosamente, ma che non vanno come ci aspettiamo.
Ci sono quegli imprevisti, a cui non riusciamo a far fronte.
C’è l’ennesimo colloquio di lavoro che si conclude, di nuovo, con quel gelido “le faremo sapere”.
“Mi hanno sbattuto le porte in faccia” è la metafora che usiamo, in genere, per queste occasioni.
Quando vieni da un continente che non è quello che stai calpestando in quel momento, quando la barriera linguistica e l’ostilità di chi ti riconosce come estraneo ti allontanano sempre di più da quello che fisicamente appare così vicino, quando la precarietà economica si trascina come un macigno, ecco che allora di “porte in faccia”  te ne arrivano molte, tante a tal punto da non limitarsi più ad essere solo metafore. 

Wisdom questo lo sa bene. 

Vive in Italia da nove anni, Wisdom che in inglese significa saggezza. È partito dalla Nigeria da solo, e sempre da solo vive oggi a Merano. 
C’è una cosa peggiore della solitudine, ovvero quando le persone che hai attorno fanno di tutto per farti sentire ancora più ai margini, racconta. Un po’ come quando ti avvicini per chiedere indicazioni per una strada che non conosci e invece di risponderti ti allontanano o addirittura non ti rispondono proprio, fingendo che tu non esista.

Sabato sera (12 marzo) Wisdom si trovava a Bolzano. È solito a muoversi in treno, ma quella sera decide di prendere l’autobus. Raggiunge la fermata più vicina, quella di Via Longon, e attende pazientemente quello delle 23.25, stretto tra le spalle per sfuggire al freddo.
L’autobus arriva, Wisdom sistema la mascherina e si mette in fila, attendendo per ultimo il momento di salire. Una volta davanti alle porti anteriori, le uniche aperte, improvvisamente queste si chiudono.

Wisdom non capisce. Anzi, in realtà capisce benissimo ma spera di sbagliarsi

“Aprimi, aprimi - urla al conducente -. Questo è l’ultimo autobus che mi può portare a casa”.
Wisdom non capisce. Anzi, in realtà capisce benissimo ma spera di sbagliarsi. Questa volta, però, non si possono aggrappare ad alcun pretesto. Tenta di farlo capire, separato dall’ennesima barriera, quella di vetro del finestrino: “Fammi salire, ho tutto: il Südtirol Pass (l’abbonamento provinciale di libera circolazione), il Green Pass, la mascherina Fpp2. Apri le porte, voglio andare a casa”. 
Wisdom mostra persino i documenti, come se a quell’autista dovesse giustificare su un marciapiede, al freddo, la propria legittimità ad esistere. 
Non dovrebbe. Lo sa. Eppure si fa, si è costretti a farlo. Perché quando sei nero, povero, migrante e ricattabile l’onere della prova si inverte: non sei più innocente fino a prova contraria, ma sarai colpevole fino a quando non sarai in grado, se sarai in grado, di dimostrare che non lo sei.
Niente da fare. Il conducente, sprezzante, ingrana la marcia per partire. Wisdom allora si mette davanti al mezzo: “Non puoi lasciarmi giù, apri. Devo tornare a casa”, continua a urlare per diversi minuti.
La scena attira sempre più persone, soprattutto giovani, ragazzi e ragazze, che rendendosi conto di quanto stava accadendo cominciano a riprendere la scena con il loro telefonino

Wisdom  allora alza la voce, come se le urla potessero abbattere quella barriera di indifferenza che lo separa dal mondo ostile che lo circonda


In mezzo a quei flash accesi, c’è anche Robel, che meno di tre mesi prima aveva denunciato pubblicamente la sua di porta in faccia, quando con un amico gli è stato impedito di entrare in una discoteca di Merano per via del solo colore della pelle.
Ad arrivare, tuttavia, sono anche le Forze dell’ordine, con un dispiegamento del tutto sproporzionato rispetto all’entità della minaccia, se così si può definire: un’unità dell’Esercito e almeno tre pattuglie di Polizia. Vanno a colpo sicuro. Non dall’autista ma da Wisdom, a cui non chiedono niente, se non quei documenti che ha sempre avuto in mano. Wisdom capisce benissimo anche questa volta, ma di nuovo, puntualmente, spera di sbagliarsi. “Perchè venite da me? Andate dall’autista, è lui che mi impedisce di tornare a casa”.


 

Sono lì, accanto a Wisdom, eppure è come fosse solo, di nuovo. Sembrano non sentire nulla, gli parlano sopra o parlano tra loro sul da farsi, come non fosse lì. Wisdom  allora alza la voce, come se le urla potessero abbattere quella barriera di indifferenza che lo separa dal mondo ostile che lo circonda. I militari invece lo accerchiano, un nuovo muro lo trascina via dalla strada, tra le proteste di chi assiste: “Ma che fate? Perchè non li chiedete anche all’autista i documenti?  Lasciatelo andare a casa”, protestano  i presenti. 


Un poliziotto allora sale, sbircia i documenti del conducente, restituendoli immediatamente al proprietario, autorizzandolo a partire. Ma è Robel, questa volta, a mettersi davanti al mezzo affinché non se ne andasse senza Wisdom

“È stato allora che un poliziotto ha cominciato a strattonarmi – spiega il giovane -. Continuava a spingermi con veemenza, sostenendo che gli stessi sbarrando la strada. Avevo le mani alzate e lo invitavo a passare ovunque volesse andare. Così mi ha preso con forza, ordinando ad altri due colleghi di portarmi via, minacciandomi di condurmi in questura. Sono arrivati e mi hanno trascinato davanti a tutti, come fossi un criminale, spostandomi dalla strada così che l’autobus potesse partire”. 

Una volta lasciato andare Robel decide di avvicinarsi nuovamente a Wisdom, accerchiato dai militari a loro volta circondati da una decina di giovani che continuavano a protestare e riprendere la scena con i cellulari: “Quando mi sono avvicinato di nuovo si sono innervositi, mi hanno detto di andarmene perché secondo loro ero troppo vicino. Volevano identificarmi, ho fatto presente che mi trovavo esattamente alla stessa distanza di tutti gli altri presenti e allora hanno chiesto i documenti a tutti, questa volta sì controllati in maniera approfondita dai loro computer”.

Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se tutte quelle persone non fossero state lì a difendermi

Wisdom nel frattempo non smette di far valere le proprie ragioni. Dopo minuti di urla e proteste gli agenti sembrano finalmente accorgersi di lui. Tentano ora di rassicurarlo dicendo che può andare in questura a fare denuncia. Ma Wisdom non vuole fare denuncia, non vuole seguirli da solo in questura. Wisdom vuole solo andare a casa, voleva prendere l’autobus che hanno fatto ripartire senza fare domande.  


 

Fortuna vuole che quella, in realtà, non fosse l’ultima corsa. Sarebbe passato poco dopo un nuovo autobus, l’ultimo che poteva davvero condurlo fino a Merano. I militari se ne vanno, Wisdom sale, questa volta senza incidenti.

“Non è di certo il primo episodio di razzismo e di sicuro non sarà l’ultimo che vivrò in questa città – racconta rammaricato Wisdom -. Non è un caso che tra tutti i presenti, oltre a me, il maggior accanimento sia stato contro l’altro ragazzo africano (Robel ndr).  Ho deciso che farò denuncia ma non voglio farla da solo: quelli come noi non li ascolta nessuno, neanche quando urlano. Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se tutte quelle persone non fossero state lì a difendermi”.