Guillermo Del Toro’s Pinocchio
È la milionesima rappresentazione cinematografica di Pinocchio, d’accordo, ma questa è di Guillermo del Toro e la classe non è acqua. Uscito al cinema il 4 dicembre e disponibile da ieri, 9 dicembre, su Netflix l’ultimo film del regista messicano basato sul capolavoro di Carlo Collodi è un’opera magna, e comunque di fronte a un Pinocchio anti-fascista giù il cappello e poche storie.
Cos’è
È il film in stop-motion diretto da Guillermo del Toro e Mark Gustafson, con le musiche di Alexandre Desplat. A differenza della maggior parte delle versioni di Pinocchio, che si svolgono nell’Italia del 1800, il filmmaker messicano ha deciso di collocare il suo adattamento nel periodo fascista. È la terza volta che del Toro ambienta un film durante un conflitto politico reale, dopo La spina del diavolo e Il labirinto del fauno (situati rispettivamente durante e dopo la Guerra civile spagnola). Il regista premio Oscar per La forma dell’acqua reinventa il classico racconto di Collodi sul burattino di legno che viene magicamente portato in vita per rammendare il cuore del falegname Geppetto, addolorato per la morte del figlio Carlo.
Per la trama del Toro guarda sia al film d’animazione Disney sia al romanzo del 1883 ma il tocco è inconfondibile: il suo è un fantasy horror cupo che parla di dolore, lutto, accettazione e di un personaggio incompreso perseguitato da forze autoritarie. Ci sono viaggi nell’aldilà, una chimera che rappresenta la Morte, un grillo parlante pomposo che finisce più volte schiacciato per terra, Pinocchio che non è un ragazzino imbranato in bretelle e papillon ma uno spauracchio scricchiolante e malandato, una fata turchina che è un folletto del bosco alato che assomiglia a un angelo biblico. Menzione per il magniloquente cast: da Tilda Swinton a Christoph Waltz, da Ron Perlman a Ewan McGregor, da David Bradley a Cate Blanchett.
Com’è
Il Pinocchio di del Toro è prima di tutto un film che non tratta il suo pubblico giovane come un idiota. È più maturo nei toni rispetto alle precedenti interpretazioni animate della favola ottocentesca di Collodi ed evita di incappare nei luoghi comuni fiabeschi basati su una rettitudine impeccabile, glorificando invece la saggezza che si trova nel perdonare se stessi per gli errori del passato. È una storia di padri e figli imperfetti. La maestria in ogni dettaglio dei personaggi è straordinaria.
I primi dieci minuti del film sono sbalorditivi, con un idillio che si spezza e la creazione di Pinocchio, da parte di un Geppetto ubriaco e in preda al dolore in una notte buia e tempestosa, che ha le vibrazioni di un film di Frankenstein. Intanto siamo negli anni ’30 e i muri della città sono tappezzati di manifesti di Mussolini. Il fascismo dilaga ed esige la sottomissione mentre deride l’unicità. In questo contesto tutte le figure paterne in Pinocchio cercano di insegnare al burattino che essere “buoni” significa obbedienza cieca, tutti i padri non riescono ad accettare i propri figli per quello che sono e partecipano a una perversa dinamica di controllo: il Podestà che cresce il figlio Lucignolo con una ferrea disciplina o il disonesto proprietario di un luna park Conte Volpe che maltratta il suo aiutante babbuino.
La storia è re-immaginata come una ribellione alle aspettative e un rifiuto del conformismo in un mondo senza ricompense, pieno di crudeltà e violenza. C’è orrore, è vero, ma anche calore, si parla della bellezza della vita che è fugace, è un film non su un mostro che vuole essere un bambino vero, ma su un mostro che vuole che il suo creatore lo ami così com’è. #lagrimoni assicurati.
Un bellissimo film Sarah,
Un bellissimo film Sarah, grazie!