Bücher | Il commento

Chi ha paura di un libro?

Durante la scorsa edizione della Frankfurter Buchmesse, è stata annullata l’assegnazione del premio a Adania Shibli: quando un romanzo è troppo scomodo.
Un dettaglio minore
Foto: La nave di Teseo
  • Lo scorso 20 ottobre, alla Frankfurter Buchmesse, la scrittrice palestinese Adania Shibli avrebbe dovuto ricevere il LiBeraturpreis, un riconoscimento che ogni anno viene assegnato ad autrici provenienti dall’Africa, dall’Asia, dal Sudamerica e dal mondo arabo. Il libro che le ha permesso di ottenere il premio è Un dettaglio minore, edito in Italia nel 2021 da La nave di Teseo, dopo esser stato finalista al National Book Award 2020 e all’International Booker Prize 2021. La decisione della giuria del LiBeraturpreis è ricaduta su Shibli perché l’autrice è stata in grado di creare «un’opera d’arte precisa dal punto di vista formale e linguistico che racconta il potere dei confini e cosa comportano le guerre per le persone. Con grande lucidità, Shibli dirige lo sguardo verso i piccoli dettagli, le banalità che ci permettono di intravedere le vecchie ferite e cicatrici che si trovano dietro la superficie». Questa motivazione ha, però, perso la sua legittimità con l’inasprimento del conflitto in Palestina. È, infatti, a pochi giorni dalla prevista cerimonia che Litprom, l’associazione culturale che assegna il LiBeraturpreis, dichiara il rinvio della premiazione. Ad avallare la scelta di Litprom c’è Juergen Boos, direttore della Frankfurter Buchmesse, che afferma la volontà di «rendere le voci ebraiche e israeliane particolarmente visibili». Un dettaglio minore era già stato al centro delle polemiche quest’estate, quando Ulrich Noller, membro della giuria del LiBeraturpreis, si dimette a seguito della scelta di consegnare il riconoscimento a Shibli, accaduto che anticipa l’articolo pubblicato il 10 ottobre su Die Tageszeitung, in cui il giornalista Carsten Otte critica fortemente l’assegnazione del premio perché il romanzo presenterebbe Israele come «una macchina di morte» e farebbe di «tutti gli israeliani anonimi stupratori e assassini, mentre i palestinesi vittime di invasori con il grilletto facile».

  • Un dettaglio minore si sviluppa su due piani narrativi: il primo è calato nel 1949, un anno dopo la guerra che i palestinesi chiamano Nakba – la catastrofe che portò all’espulsione di oltre 700.000 persone – e che gli israeliani celebrano come la Guerra d’indipendenza; il secondo si sviluppa ai giorni nostri. Durante una missione che ha come ossessionante scopo la ricerca di arabi, alcuni soldati israeliani trovano nel deserto del Negev un gruppo di beduini. Li uccidono tutti tranne un’adolescente che viene catturata, stuprata e, infine, assassinata. A distanza di molti anni, una donna di Ramallah decide di indagare su questa storia, sconvolta non solo dall’efferatezza del crimine, ma anche dal fatto che l’omicidio fu commesso venticinque anni prima il giorno in cui è nata. Il tentativo di decifrare alcuni dettagli su ciò che realmente accadde nel ’49, porta la giovane donna a intraprendere un viaggio attraverso una terra che era la Palestina ma che ora è Israele. Dal finestrino dell’auto presa a noleggio, la donna di Ramallah vede i luoghi cambiati dalla violenza degli espropri e delle colonie, un’appropriazione territoriale che si traduce in continui checkpoint, divieti, controlli, cartelli stradali con parole sbagliate. Il destino delle due donne si rivelerà fin troppo simile, poiché segnato in entrambi i casi dalla brutalità dei soldati israeliani, una violenza che troppe persone – tra cui il direttore della Fiera del Libro di Francoforte e molti giornalisti – continuano a non riconoscere.

  • Se si legge Un dettaglio minore oggi quando nella Striscia di Gaza dallo scorso 7 ottobre sono state uccise oltre 10.000 persone di cui la metà bambini, dopo che l’esercito israeliano ha bombardato l’Università di Gaza e attaccato gli ospedali, dopo che il governo israeliano ha tolto l’acqua, la luce e il gas a Gaza, le accuse rivolte alla scrittrice palestinese Adania Shibli appaiono ancora più assurde, fuorvianti e tendenziose. Senza attribuire ai premi letterali un valore che non hanno e senza pensare che una fiera come quella di Francoforte possa davvero celebrare una cultura libera e critica, prendere le distanze da un libro che mette in scena le barbarie dell’esercito israeliano significa essere complici del genocidio che sta avvenendo a Gaza oltre che della repressione e del dominio che i palestinesi subiscono da settantacinque anni. La spiegazione della giuria di Litprom sul perché era stata scelta Shibli come vincitrice del LiBeraturpreis è condivisibile: attraverso una serie di particolari Un dettaglio minore trasmette la paura e il senso d’ingiustizia che si provano nel vivere in un Paese occupato. Non c’è però da stupirsi davanti all’annullamento della premiazione: credere che i grandi eventi culturali siano immuni da quella retorica disumanizzante che giustifica la pulizia etnica del popolo palestinese è un’ingenuità che non si può commettere.

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