Kultur | Ricorrenze

Azzurro e fango del 25 aprile

Nata come festa di “tutti”, la ricorrenza della “Liberazione” è degenerata presto in scontro ideologico. Ecco un metodo per discernere la ragione dal torto.

Ci fu un tempo in cui l’unica libertà che potei procurarmi la trovai in un brandello di cielo azzurro. Afferrato da quella polla di luce, venivo magicamente sollevato fino a che il mio capo s’incorniciava in quel mare di nebbie; intensamente godetti di questa libertà inattesa, ma il mio cielo era così parco d’azzurro che ben presto ricadetti nel fango come un angelo punito”. Sono parole tratte dal diario di Angelo Del Boca, lo storico “famoso” per i suoi libri sui crimini del colonialismo italiano. Si leggono ora opportunamente in un volume appena uscito da Rizzoli (Nella notte ci guidano le stelle. La mia Storia partigiana), dunque in concomitanza con il settantesimo anniversario del 25 aprile 1945.

Il “fango” e l’“azzurro” – nel testo di Del Boca intesi in senso letterale – rappresentano termini che si prestano fin troppo bene ad essere usati non solo come metafore, ma come un vero e proprio metodo dialettico per discernere la ragione dal torto. Fango era il fascismo, il ventennio della dittatura, della repressione di ogni istanza politica alternativa, quindi la persecuzione degli oppositori, l’emarginazione degli omosessuali, il tentativo di cancellare le minoranze linguistiche, la vergogna delle leggi razziali e la guerra condotta al fianco della Germania di Hitler, che precipitò il paese nella distruzione e nel lutto. Azzurro, per contrasto, tutto ciò che ha contribuito a debellare il fascismo e il nazismo. Anche se si è trattato di un azzurro striato di sangue – giacché non era possibile estirpare il cancro mussoliniano con metodi pacifici – è proprio quello il colore che deve prevalere nel nostro ricordo: l’azzurro grazie al quale potemmo riacquistare un senso praticabile della parola “libertà”.

Purtroppo fu un azzurro quasi subito offuscato da polemiche inconciliabili. Se ne coglie il rammarico nelle considerazioni di don Primo Mazzolari, stese in un articolo del 15 luglio 1950 e citate da Emilio Gentile sull’ultimo numero del supplemento culturale del Sole 24 Ore: “Non abbiamo più un popolo, una patria, un bene comune, un comune ideale. Il ricordo della Resistenza non solo è lontano, ma serve di pretesto retorico per gli uni e gli altri”. Una lacerazione mai sanata del tutto, come ha mostrato in modo esauriente Filippo Focardi (La guerra della memoria. La resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza, 2005).

Eppure, se i festeggiamenti del 25 aprile hanno un senso, e senza dubbio ce l’hanno, esso non potrà che consistere nella riaffermazione delle ragioni dell’azzurro su quelle del fango (fango adesso da intendere come il tentativo di leggere la “conciliazione” alla stregua di un’equiparazione che tutto confonde e tutto cancella). L’ha detto benissimo l’anglista Dario Calimani in un breve intervento del quale raccomando quindi la lettura integrale: “Se devo scegliere fra Resistenza difettosa e fascismo riuscito, non ho dubbi da che parte stare. Alla Resistenza penso che non si possa che dedicare un grato ricordo, e a tutti i suoi morti, pochi o tanti, quell’onore che il fascismo ha sempre dedicato retoricamente alla neritudine dei repubblichini. Penso che, nei suoi limiti riconoscibili, la Resistenza abbia salvato in extremis l’onore di un paese che era stato acquiescente alla dittatura, alla soppressione delle libertà politiche e civili e all’antisemitismo razzista. Troppi non l’hanno fatto”.

Troppi non l’hanno fatto e – bisogna aggiungere – troppi continuano a non farlo. Solo per questo non possiamo cessare di liberare l’azzurro dal fango.

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Massimo Mollica Fr., 24.04.2015 - 23:08

L'articolo lo condivido, soprattutto nella parte finale, a tal punto che mi pareva ovvio. Sottolineo pareva perché riflettendoci un attimo mi accorgo di vivere in una nazione sempre più cattiva! E l'esempio di Gianni Morandi ne è l'esempio. Qual'è il motivo di tutto ciò? Una situazione più o meno difficile in ambito economico mista a una ricchezza ereditata, gente poco acculturata e per niente incline ad analizzare i fatti ma piuttosto a sparare sentenze e infine una la totale ignoranza sulla nostra storia. Di tutto ciò è artefice il ventennio berlusconiano abbinato a una pochezza nella sua opposizione. Qual'è la soluzione? Cultura, cultura e ancora cultura (ma ci vuole tempo)

Fr., 24.04.2015 - 23:08 Permalink