Gesellschaft | Veglioni

Il Capodanno di noi poveri stronzi

Oggi è il giorno in cui tutti festeggiano senza alcun motivo per farlo. Una mia personale irritazione al riguardo.

Tra Natale e Capodanno viene consumato il periodo più brutto, squallido e privo di senso che a noi umani è dato in sorte di trascorrere nel vano, e persino volgare, tentativo di considerarci una specie animale al di sopra delle altre (se anche per assurdo lo fossimo, solo il fatto di avere inventato due feste del genere vanificherebbe e incenerirebbe l'intento). Col Natale – ne ho già parlato qui – celebriamo la nascita di colui il quale avrebbe avuto l'inverosimile potere di dischiuderci l'accesso alla vita dopo la morte (il Cristianesimo nega questa possibilità alle altre creature viventi); il Capodanno segnalerebbe invece la rigenerazione del tempo ritmata sul sentimento della speranza: ci si augura che l'anno successivo sia migliore del precedente.

La probabilità, dimostrata in larghissima scala, dovrebbe averci convinto da tempo che non è così: che un essere umano sopravviva per l'eternità, e il suo canarino – poniamo – o il suo cane no, è una superstizione meschina, e per quanto riguarda l'auspicio di migliorare la propria condizione di anno in anno basterebbe la visita occasionale a un ospedale o a una qualsiasi “casa di riposo” (eufemismo grottesco) per dissuaderci dal coltivare qualsivoglia pensiero positivo al riguardo.

Appurato ciò, anche nel caso del Capodanno (come lo è stato per il Natale) rimane da fissare un codice di comportamento in grado di farci trascorrere questo giorno infausto (in realtà si tratta della sera e della notte che lo precedono, i momenti della vera e propria “festa”) nel modo meno doloroso possibile. La cosa migliore sarebbe ovviamente quella di ritirarsi in un casale isolato (al di fuori di ogni prevedibile rotta turistica, per evitare di incontrare imbecilli festanti), spegnere tutti i mezzi d'informazione che già dal tardo pomeriggio, qualche volta persino dalla mattina, ci rigurgitano addosso auguri e notizie in relazione all'evento maledetto, e dedicarsi a un'attività qualsiasi.

Particolarmente apprezzabili, a mio avviso, quelli che riescono ad andare a letto verso le undici, fregandosene di rivolgere anche solo uno sdegnato pensiero al motivo dell'altrui festeggiare. Se l'opportunità consigliata (e l'eroismo) facesse difetto – non tutti abbiamo a disposizione un casale isolato e, soprattutto, non sempre è possibile stare da soli quando lo si desidera, specialmente in occasioni come il Capodanno –, bisogna quindi cercare di passare una serata nel modo più tranquillo possibile, una serata “qualsiasi” diciamo, consentendo con lieta indifferenza agli altri (ché ce ne saranno sicuramente, purtroppo, anche nelle comunità più illuminate) lo stupido rito del conto alla rovescia, dei brindisi, dei baci o, autentico orrore, dei botti sparati dai balconi, questo costume plebeo non a caso particolarmente amato nei paesi meno evoluti del Sud (e giustamente odiatissimo dagli animali), dove non pochi idioti finiscono poi anche al pronto soccorso con gli arti ustionati, i capelli incendiati e gli occhi cavati dalle orbite.

Per concludere: il mio personale augurio di Capodanno è quello di veder un giorno completamente estinta l'usanza di festeggiarlo e finanche quella di prenderne formale nota. Conoscendo la pochezza degli esseri umani, il loro strenuo attaccamento ad ogni tipo di illusione, soprattutto se si tratta di quelle più risibili, mi rendo anche conto che si tratta di un auspicio inutile, come del resto lo sono quelli pronunciati quando scocca la più aberrante e fastidiosa mezzanotte dell'anno.