"Tüti a Mondvì e a Berness" o del presunto bilinguismo in Piemonte

Trovo irritanti e inutili le insegne bilingui in un posto che bilingue non lo è più da un pezzo. E questa ricostruzione posticcia di identità mi fa pensare che sia l'ultima cosa di cui si abbia bisogno, e, soprattutto, l'ultima cosa utile per rendere viva e parlata una lingua. Bene, ora sparatemi pure a vista!
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Foto: © Oswald Stimpfl

Perchè questo post?
Perchè di recente - ma non l'ho scoperto solo allora, ci avevo pensato ben prima, e la cosa mi girava in testa da un po' - sono passata a Bernezzo (piccolo comune del circondario della città di Cuneo), diretta in Valle Maira, una delle valli cuneesi che salgono verso la Francia,  e mi sono imbattuta in diversa segnaletica stradale bilingue.

Detto da una che parla in piemontese a ogni piè sospinto, che infila un improperio in "argot" langhetto (tipico delle colline delle Langhe) al commerciante appiccicoso di Marrakesh così come alla commessa sussiegosa di Roreto di Cherasco, e che è stata allevata parlando un piemontese da inizio secolo scorso, confrontandosi con un bisnonno classe 1900, che aveva sentito per la prima volta l'italiano da militare e poi molti anni dopo in televisione, beh... direte voi, ma questa cosa sta a menare il torrone?

Il torrone lo meno eccome, invece. Perchè trovo irritanti e inutili le insegne bilingui in un posto che bilingue non lo è più da un pezzo.
E questa ricostruzione posticcia di identità mi fa pensare che sia l'ultima cosa di cui si abbia bisogno, e, soprattutto, l'ultima cosa utile per rendere viva e parlata una lingua.

Mi spiego. Cambia qualcosa, sia per il viandante locale che per il forestiero leggere un'insegna con su scritto "Mondovì - Mondvì"? O "Bernezzo - Berness"?
Aggiunge significato? Spiega un'origine? Dà maggior contenuto a un toponimo? Secondo me, per niente.
Soprattutto, poi, serve a dare maggiore pregnanza e senso ad un luogo?
Insomma, se io mi fermo per strada e chiedo ad un passante se mi sa dire dove si trova Berness, lo trovo prima?

Si tratta di una moda nata con l'avvento delle varie amministrazioni locali leghiste nella Provincia Granda - si chiama così, quella di Cuneo, perchè è tra le più estese della penisola - ....che poi noi di leghista abbiamo pure la presidente della Provincia, che prima di essere eletta era nota soprattutto per  essere la fidanzata di Calderoli, ma questa è un'altra storia...
So persino di un comune dove, quale musichetta di sottofondo per il centralino, avevano piazzato una canzone in dialetto piemontese.
Ora quest'ansia identitaria spinta, vuoi anche perchè la Lega sta mutando pelle e in provincia di Cuneo adesso si chiama 5 stelle, è un pochino scemata.
Un po' diverso, invece, è il discorso delle insegne in lingua occitana *. E ora, mi attirerò le ire di chi in quelle valli ci è nato o ci vive.
Anche le insegne in occitano o provenzale che dir si voglia, mi fanno un po' sorridere.
Avete tutte le ragioni del mondo nel dire che è la vostra lingua, che ve l'hanno tolta, che ora la volete riparlare.
Ebbene, parlatela, parlatela ai vostri figli, ma attenzione a non esagerare con i vostri cartelli di locali pseudo tipici. Ormai ci sono finti-occitani anche a Margarita, nella pianura cuneese dei capponi e dei maiali, ben distante dall'area alpina in cui la lingua occitana è originaria e viene parlata.

Certe insegne mi fanno ridere come mi fanno rabbrividire le italianizzazioni fasciste di toponimi dialettali (successe negli anni del Ventennio, successe eccome).
Ora, vi sentite meglio ad abitare a "la Rocio" invece che a Roccabruna?
La lingua vive se la si parla, se la si usa spontaneamente. Non se la si insegna come cosa morta, la si resuscita per brandire identità posticce, per dire "io sono diverso da te e me ne vanto".
Piuttosto spiegamelo quel toponimo, mettimi un pannello che mi dice che lì vivevano venti famiglie che si chiamavano Giacchello e quindi la frazione si chiama Giacchelli. O che lì c'era un forno o una fonte. O si chiama bricco del Saraceno perchè la leggenda dice che...

A me leggere le scritte di Mondvì e Berness fa ridere, anzi, fa arrabbiare. Perchè sono gusci vuoti, sono etichette demagogiche appiccicate con lo sputo.
Bene, ora potete anche spararmi a vista!


* Sull'occitano (che deriva dalla lingua d'oc) esiste una corposa letteratura e non sarò io qui a sintetizzarla. Ricordo soltanto che è una lingua romanza, con origini medioevali, parlata storicamente a partire dalle valli alpine piemontesi, quindi nel sud della Francia fino ad alcune aree della Catalogna, e che in Italia è una minoranza linguistica riconosciuta.
La rinascita culturale e identitaria occitana è iniziata dal lato francese delle Alpi, e ha visto negli ultimi anni anche sul lato italiano un grande sviluppo della musica popolare locale, il recupero di danze e feste di tradizione così come dell'artigianato e della gastronomia.
Il cantore e iniziatore della rinascita dell'occitano è stato il provenzale Frédéric Mistral.

 

Nicht so pessimistisch lieber Rupert. Assimilierung findet in einem multiethnischen Gebiet unter anderem immer auch in die andere Richtung statt; da brauche ich nur an die ganzen deutschen Unterlandler mit italienischen Nachnamen denken; oder auch manch deutschen Südtiroler mit ladinischem Namen. Und so etwas wie die Assimilierung der deutsch- und ladinischsprachigen Südtiroler geben auch die Zahlen nicht her zumal die absoluten Zahlen und der Anteil der deutschen und Ladiner eher ansteigen; auch wenn die Unabhängigkeitsbefürworter Statistik so lange gegen den Strich bürsten bis sie in den Kram passen geben die Zahlen eine schleichende Assimilierung nicht her. Das ist nur politisches Zweckinteresse; nichts braucht der Sezessionist so sehr wie das 'Todesmarschargument'; das wird dann auch 'statistisch' mit allen Krallen, Haken und Ösen verteidigt.
Das was ich denke was die Autorin kritisiert ist das 'Schaffen' oder das 'aus der Geschichte holen' einer Identität um sie dann wirtschaftlich und politisch zu vermarkten. Das ist aber auch der gegenläufige Prozess zur Globalisierung. Der globale Einheitsbrei schmeckt zurecht nicht; auf der ganzen Welt besinnen sich Regionen und 'Bundesländer' auf ihre Kultur, Sprache und kulturelle Heimat. Das ist ein lobenswerter Prozess und schärft auch lokale und heimatliche Identitäten; aber natürlich kann das auch seltsame Blüten treiben.

Sa., 11.05.2013 - 22:36 Permalink

Sehr geehrte Frau Abbona,

da Sie auf einer Webplattform in Deutscher Sprache (Großschreibung aus Respekt) Ihre Postings veröffentlichen, erlaube ich mir eine Antwort auf Ihren Beitrag auf „gut Deutsch“.

Ausgerechnet in den deutschsprachigen Ländern sind die sogenannten „Dialekte“ als Volkskultur angesehen und nicht zur „minderwertigen Sprache für Bauer“ degradiert.

Dies ist auf den Respekt der Vielfalt und der regionalen Kulturen im Rahmen eines kulturellen Föderalismus zurückzuführen, Basis des politischen und Wirtschafts- und Finanzföderalismus im gesamten D-A-CH Bereich.

Speziell im Kanton Graubünden befindet sich sogar eine Hinweisbeschilderung in vier Sprachen: Deutsch, Italienisch, Französisch und Rumantsch (Romanisch), obwohl Rumantsch nicht den Status der Amtsprache genießt und somit behördlich nicht relevant ist. Ähnliches Phänomen finden Sie auch in Friaul wieder.

Seltsamerweise haben ausgerechnet die Länder Südeuropas (neulich als „PIGS“ bekannt) eine gewisse Abneigung gegenüber den eigenen Lokalkulturen.

Warum? Weil die zentralistische Struktur dieser Länder eben auf die kulturelle Gleichschaltung zurückzuführen ist, die – beispielsweise in Italien – seit 150 Jahren systematisch betrieben wird und nun auch Südtirol erreicht hat.

Während der Bildungsprozess des modernen Deutschen Staates auf dem Willen der Völker in der Deutschen Nationalversammlung basiert (= auf Volksebene), wurden die Vereinigungen der jeweiligen Südländern nur einseitig von einer Fraktion bzw. eines Binnenstaates (Königreich von Piemont und Sardinien) angestrebt und mit fremder Hilfe (aus Frankreich) auf die Völker Italiens aufgezwungen.

Ende des ersten Weltkrieges verfasste Olinto Marinelli einen Bericht (auf Englisch) über die Sprachenlandschaft im Oberitalien. Dieser Bericht widerlegt die propagierte These einer „verallgemeinerten, angeborenen Italianität“ dieser Völker.

http://www.linkiesta.it/blogs/lombardia-next-state-europe/la-prima-ques…

Dies ist wiederum Grund genug dafür, die „Dialekte“ wieder anzuerkennen als das, was sie tatsächlich sind: natürliche SPRACHEN, die von Italien aus reinem, politischen Willen zur Gleichschaltung für eine künstliche Kultureinheit Italiens systematisch schikaniert, verunglimpf und unterdrückt wurden.

Des Weiteren möchte ich Sie hiermit darauf hinweisen, dass die UNESCO die lombardische Sprache (in allen Variationen) als SPRACHE anerkennt, und zwar als bedrohte Sprache. Nur der italienische Staat verweigert ihr den Status der Sprache.

Mit freundlichen Grüßen

Diego Tagliabue
(Monza / Unterschleißheim)

Fr., 17.05.2013 - 12:21 Permalink

gentile Diego,
mi perdonerà se le rispondo in italiano. Posso leggere e faticosamente comprendere il tedesco, ma non scrivere decentemente una risposta.
Capisco il suo punto di vista, tra l'altro molto ben documentato. Da parte mia non c'era (e si capisce anche dal tono leggero e scanzonato del mio post), alcuna intenzione di entrare troppo a fondo nel dibattito linguistico e politico.
Quello che mi premeva dire era - da parlante piemontese, che è la mia lingua madre (direi lingua "nonna" se mi passa l'esagerazione, visto che l'ho imparata dai miei nonni e bisnonni) - l'uso strumentale che viene fatto del dialetto e di altre lingue locali.
Posso assicurarle che dietro alla pannellistica bilingue, dalle mie parti, non ci sono fini linguisti o studiosi del territorio, ma spesso amministratori locali ansiosi di certi consensi.
Questo, peraltro, mi pare sia un po' una costante anche da altre parti.
La mia lingua piemontese è bellissima, ricca di parole, metafore, modi di dire poetici e unici, oltrechè inesistenti in italiano.
E' una lingua divertente, piena di sense of humor, di sagacia.
E' anche una lingua che sa essere tenera, commovente, dolce.
Un vero peccato vederla usata per scopi politici di bassa "lega", da gente che il più delle volte non ne percepisce la pregnanza culturale.

Sa., 18.05.2013 - 17:17 Permalink

Signor Tagliabue, la bellezza e la ricchezza di salto.bz è proprio quella di dar voce alle tante facce della nostra amatissima provincia. Non si tratta di un portale di informazione in lingua tedesca, ma bilingue. Si cerca di dar voce a tutti i gruppi linguistici per creare un punto di incontro, di dialogo.
La questione dei dialetti è complessa, sicuramente rappresentano una ricchezza dal punto di vista storico-culturale, per questo dovrebbero essere salvaguardati attraverso istituti e ricerche varie. Ma è anche evidente che la lingua si evolve e i dialetti sono la parte più mobile del linguaggio, quindi è difficile stabilire quale siano le regole esatte di un idioma di questo tipo. Sicuramente è fattibile, anche se laborioso, ma ci dovrebbero essere delle motivazioni un po' più forti del semplice senso di appartenenza per sentirsi diversi dallo Stato centrale.

Mo., 20.05.2013 - 16:34 Permalink
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pérvasion

Erfundene italienische Ortsnamen für Ortschaften, in denen kein Italienisch gesprochen wird, stören nicht. Historische okzitanische Ortsnamen, die eine Geschichte zu erzählen haben, an Orten, wo kein okzitanisch mehr gesprochen wird, stören jedoch.

Mo., 20.05.2013 - 10:32 Permalink

pérvasion, non credo che Alessandra abbia voluto scrivere un manifesto programmatico per unificare la normativa sulla toponomastica delle zone mistilingui. Penso si sia limitata a esprimere delle impressioni a caldo avute durante una visita alla provincia dove è cresciuta, impressioni che comunque possono essere confermate empiricamente da chiunque sia stato là con la mente sgombra da pregiudizì. Sia nella parte occitana del Piemonte sia in quella dove si parla piemontese la pratica della "madrelingua" è inversamente proporzionale alla fioritura di cartelli bilingui o, meglio ancora, con la dicitura in italiano cancellata oppure con la sola vocale finale cancellata in modo da dare al tutto un'aria "gallo-romanza". Il patois occitano non si parla più, nemmeno nelle valli valdesi dove il francese come lingua di cultura si è mantenuto più a lungo che altrove per l'isolamento dovuto alla discriminazione religiosa, quanto al piemontese lasciamo perdere. Ma mentre per la parte occitana si deve dare atto dell'onestà delle intenzioni, anche per la situazione molto simile che c'è sul versante francese, altrettanto non si può dire di quella "piemonteisa". Lì tutte le retoriche sulla riscoperta delle "radici", della "piccola patria", dell'"identità locale contro la globalizzazione", dei "Celti nostri antenati" si possono tradurre molto più prosaicamente e brevemente in: Lega Nord a caccia di voti. Riassumendo, nulla a che vedere con la situazione in Sudtirolo. Lo dimostra in pieno l'intervento di Diego Tagliabue, a cui Gabriele ha risposto giustamente che questa non è una piattaforma in tedesco, ma plurilingue. A questa risposta si potrebbe anche aggiungere l'osservazione che le sue valutazioni sul diverso processo di unificazione rispettivamente in Germania e in Italia hanno uno sgradevole retrogusto di diatribe ottocentesche sulla "Kultur" germanica contrapposta alla "Zivilisation" latina. In particolare quell'accenno all'assemblea nazionale tedesca (quella del 1848 a Francoforte, immagino) che avrebbe dato inizio all'unificazione tedesca come "Willensgemeinschaft". Ma quando mai?!?!

Mo., 20.05.2013 - 14:41 Permalink