C'è una storia, abbastanza lunga e complessa, dietro alla vicenda del progetto per prolungare sino al ponte Talvera la funivia di San Genesio, del quale, molto opportunamente, si discute in questi giorni sulle pagine di Salto. L'impianto a fune, come molti tra quelli realizzati in provincia di Bolzano risale alla seconda metà degli anni trenta e servì a togliere da un isolamento secolare i paesini sull'altopiano che si stende sopra la valle dell'Adige tra Bolzano e Merano. Non c'era, infatti, allora, e non ci fu per molto tempo una vera e propria strada rotabile. Il trasporto delle merci che non potevano essere caricate sui vagoni della funivia veniva effettuato lungo sentieri e mulattiere abbastanza poco praticabili e comunque del tutto inadatte a sopportare il traffico delle automobili e degli autobus turistici. Verso la metà degli anni settanta, tuttavia, la Provincia Autonoma, ormai in possesso di tutte le sue nuove competenze, decise di affrontare questo problema, come già si era fatto con successo costruendo la strada di collegamento con l'altopiano del Renon. Se in quest'ultimo caso la scelta del tracciato era venuta quasi naturale, seguendo per alcuni tratti l'antica strada romana che per secoli aveva collegato la conca bolzanina con la valle d'Isarco, nel caso di San Genesio il problema si presentava più complesso, soprattutto per quel che riguardava lo sbocco finale della nuova arteria verso l'abitato di Bolzano. La soluzione viabilisticamente più logica era quella di una lunga discesa lungo il costone della montagna sino a raggiungere il fondo valle nella zona dei Bagni di Zolfo, molto vicino, tra l'altro, al nuovo ospedale con l'immissione diretta sulla viabilità extra cittadina. Immediata, scoppiò la rivolta degli abitanti dei paesi interessati poco disposti a rinunciare ad un accesso più diretto al cuore della città capoluogo. Fu così elaborato un secondo progetto, molto più complesso e costoso, che prevedeva una serie di gallerie a spirale e un viadotto sostenuto da altissimi piloni di cemento a tagliare brutalmente la piccola valle formata nei millenni dal torrente Rivellone, che si getta a valle con una bellissima cascata e che poi scorre accanto alle rovine medievali di un castello di cui è rimasta solo una torre, da sempre erroneamente indicata come "Torre di Druso". Uno sfregio orrendo e permanente ad uno dei luoghi più belli e suggestivi dell'immediata periferia cittadina. Per impedirlo ci fu una mobilitazione, con un comitato, formato, val la pena di ricordarlo, soprattutto da persone di madrelingua tedesca che cercarono inutilmente di proporre scelte valide al diktat provinciale. Tutto inutile. La strada fu realizzata secondo il nuovo progetto e da allora anche tutto il traffico proveniente dall'altopiano del Salto viene a sommarsi a quello in arrivo dalla Val Sarentina per andare direttamente ad intasare la già esausta viabilità bolzanina. Pullman e mezzi pesanti che attraversano direttamente zone scolastiche e densamente abitate. La realizzazione di un tunnel sotto il Monte Tondo per deviare almeno i mezzi pesanti verso gli svincoli di Bolzano-Nord resta sempre in fondo alla lista delle priorità.
La storia ormai semidimenticata della strada per San Genesio riveste dunque un certo interesse, se non altro perché ci dimostra come le cose, in questi decenni, non siano affatto migliorate. Tutte le questioni riguardanti la viabilità che si scarica sull'abitato bolzanino vengono prese, vedi caso Metrobus, nell'esclusivo interesse delle zone periferiche e passando allegramente sopra la testa (nel caso della nuova funivia la metafora sarebbe quanto mai azzeccata) dei bolzanini di lingua italiana e tedesca. D'altronde l'utilizzo dello strumento che permette all'amministrazione provinciale di inserirsi in maniera autoritativa nella pianificazione urbanistica bolzanina. quello dell'interesse sovraccomunale, ha di fatto stravolto, in questo come in molti altri casi, l'intero assetto della città senza che i suoi rappresentanti politici potessero in alcun modo intervenire.
È chiaro che il progetto di prolungamento della funivia sino al ponte Talvera presenta delle enormi criticità assolutamente non compensate dai modestissimi vantaggi che la nuova collocazione della stazione a valle potrebbe portare alle casse di qualche albergo e di qualche ristorante. Il paragone con l'impianto del Renon e assolutamente improponibile. Quest'ultimo serve un comprensorio turistico vasto e di pregio ed è raccordato con la piccola ferrovia che collega tutte le principali località dell'altopiano. A San Genesio l'impianto si ferma addirittura ad una certa distanza dal paesino, risultando utile, alla fin fine, solo a qualche pendolare e a chi, nei mesi estivi, può trascorrere qualche ora al fresco ai bordi della piscina comunale o nel bosco adiacente. Il rischio è però che, come avvenne per la strada, tutte le obiezioni di buon senso vengano scaraventate nel cestino e prevalgano interessi dei soliti noti.