Gesellschaft | Integrazione

Una scuola per soli migranti?

Secondo il Landeshauptmann il modo migliore per integrare nella nostra società i bambini provenienti da contesti migranti sarebbe quello di isolarli dal resto della popolazione scolastica. Il professor Siegfried Baur (LUB) non è di questo avviso.

“A Bolzano ci sono asili tedeschi nei quali ormai solo il personale parla tedesco. I bambini, invece, sono di madrelingua italiana, mistilingui [gemischsprachig] oppure provengono da famiglie di immigrati”. In un articolo pubblicato oggi, 3 giugno, sul quotidiano Dolomiten e su stol.it, Luis Durwalder torna ad affrontare il problema dell’integrazione. E lo fa proponendo un modello che pare andare esattamente in una direzione opposta: “Per i figli degli immigrati vedrei bene il modello scolastico ladino. La scuola paritetica prevede che si faccia lezione in entrambe [sic!] le lingue parlate in provincia, incluso l’inglese come lingua straniera”. La cosa curiosa è che da un lato il Landeshauptmann riconosce l’importanza di far apprendere ai ladini e agli immigrati (singolarmente accomunati) quelle che a suo avviso sono le “due” lingue della provincia, però ritiene che ciò possa avvenire meglio in scuole apposite, frequentate per così dire da persone dello stesso “tipo”. In questo modo – conclude Durnwalder – “alle scuole italiane e tedesche sarebbe tolta pressione” e l’integrazione potrebbe riuscire meglio, come avviene in periferia, dove “ci sono meno bambini di immigrati”.

Siegfried Baur, professore di Pedagogia presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Bolzano, è autore di diverse pubblicazioni riguardanti l’educazione interculturale, la pedagogia della relazione e dell’incontro e l’educazione plurilingue. Nell'intervista con salto.bz critica la proposta di Durnwalder

Professor Baur, come giudica la proposta di creare un’apposita scuola per bambini provenienti da contesti familiari migranti sul modello della scuola paritetica ladina?
Siegfried Baur: La giudico in modo totalmente negativo. Prima di tutto è assurdo chiamare un simile modello “scuola paritetica”. La scuola dei ladini ha tutt’altra funzione, fu scelta liberamente per consentire a chi la frequenta di apprendere meglio l’italiano e il tedesco, lingue non parlate dalla maggioranza delle popolazione che vive nelle valli ladine. Ma il ladino è presente nella vita quotidiana delle ragazze e dei ragazzi e, almeno formalmente, è considerata la terza lingua ufficiale della provincia (anche se Durnwalder ne riconosce solo due, ndr).

E allora come lo si potrebbe chiamare, un simile modello?
Lo chiamerei “segregazionista”. Se il fine volesse davvero essere quello dell’integrazione si otterrebbe esattamente l’effetto contrario. In classi del genere i bambini svilupperebbero la percezione di essere un gruppo marginale, tenuto distante dagli altri. Così il problema, da complesso, diventerebbe presto ingestibile.

Ma tecnicamente sarebbe possibile creare classi separate a quel modo?
Neanche per sogno. Una proposta del genere cade completamente fuori dallo spazio legislativo italiano, che non solo non prevede l’istituzione di simili percorsi formativi differenziali, ma suggerisce di fare esattamente l’opposto: dal punto di vista pedagogico non può darsi integrazione senza cooperazione.

Eppure le difficoltà sussistono, una presenza eccessiva di bambini provenienti da contesti migranti non mette anche a repentaglio la qualità dell’insegnamento nella madrelingua?
Beh, intanto cominciamo col dire che nessuno si preoccupa della madrelingua di quei bambini. Ed è una cosa piuttosto grave, volendo tematizzare l’integrazione in modo minimamente serio. Poi, in base alla mia esperienza sia teorica che pratica, ho notato spesso che – a parte alcuni casi afferenti per l’appunto a comunità molto distanti culturalmente da noi e comunque più strutturalmente “chiuse” all’incontro – i bambini di questo tipo non solo apprendono con grandissima facilità l’idioma prevalente parlato in classe, ma sono anche più veloci degli altri ad apprendere la cosiddetta “seconda lingua”. Mentre i “nostri” fanno molta più fatica, perché spesso manca completamente la motivazione.

Quindi non c’è alternativa alla via della pedagogia interculturale?
Non c’è altra via, no. A meno che non si voglia procedere verso la segregazione, come le dicevo, spacciandola assurdamente come una scorciatoia per l’integrazione.