non c'e speranza.
non c'e speranza.
La proposta del senatore Francesco Palermo sull'istituzione di una scuola bilingue in Alto Adige ha suscitato, come prevedibile, una serie di reazioni di tono assai diverso. A parte il fuoco di sbarramento della destra nazionalista sudtirolese che ormai, Trump docet, ha organizzato militarmente la propria capacità di intervento nei forum e nei social media, Palermo ha incassato l'approvazione delle forze politiche che lo hanno portato in Parlamento, Verdi PD e SEL, le critiche più o meno arzigogolate della destra italiana e infine l'acida indifferenza del principale interlocutore in questa partita. Per la Suedtiroler Volkspartei quella del senatore non è altro che una fuga in avanti decisa a livello puramente personale. Come a dire che l'idea non ha un futuro.
La questione, invece, è di enorme importanza e l'iniziativa di Palermo rappresenta una cartina di tornasole che dovrebbe obbligare a prendere una posizione chiara non solo gli esponenti politici, ma anche molte altre persone e forze che da troppo tempo, in provincia di Bolzano, paiono svanite nel nulla.
Ancora una volta, però, guardare al passato significa poter avere una migliore comprensione del presente e forse anche qualche elemento per costruire il futuro.
Quello della scuola, non bisogna mai dimenticarlo, è il terreno sul quale, negli ultimi centocinquant'anni, i due opposti nazionalismi, italiano e tedesco, hanno giocato la partita più dura nelle terre bagnate dal fiume Adige. Ancora a metà dell'ottocento sono le scuole a diventare gli avamposti di conquista o di difesa nazionale nel confronto che si gioca sui confini linguistici. Lo scontro diviene frontale dopo l'annessione dell'Alto Adige all'Italia. In molte località della Bassa Atesina l'apertura delle scuole italiane è osteggiata in ogni possibile maniera. Nel 1922 i fascisti fanno la prova generale della Marcia su Roma occupando con la violenza, Bolzano, la scuola intitolata ad Elisabetta d'Austria e dedicandola alla Regina Elena. Durante il ventennio sono le scuole clandestine, Katakombenschulen, a rappresentare la punta di diamante della resistenza sudtirolese nei confronti del Regime. Nel secondo dopoguerra lo sforzo disperato della società sudtirolese per ridare vita alla scuola di madrelingua tedesca è il segno più evidente della volontà del gruppo linguistico di continuare a lottare per la propria esistenza. Nasce e si afferma in questo modo il sistema della separazione totale tra i sistemi educativi in lingua italiana e in lingua tedesca. È un frutto necessario della storia, sul quale i giornalisti italiani che arrivano a Bolzano in cerca di facili sensazioni, ricameranno per anni, giocando con spregiudicatezza su termini come "apartheid", o sull'immagine delle due scuole medie di Oltrisarco divise da una recinzione.
Verso la fine degli anni 70, tuttavia, due nuovi elementi vengono a turbare un quadro che pareva essersi ormai consolidato. Il gruppo linguistico italiano, cresciuto attorno al concetto-base "qui siamo in Italia e qui si parla italiano", scopre con sgomento che le norme della nuova autonomia lo obbligano ad imparare il tedesco se vuole continuare ad accedere a quel pubblico impiego che è stato per decenni una sua riserva di caccia illimitata. Inizia in quegli anni, non prima sia chiaro, una lunga riflessione collettiva sui modi per rendere più agevole ai giovani italiani l'apprendimento di una lingua "così difficile" come quella tedesca. Il primo sbocco di questo processo è quello dell'insegnamento precoce, ovverossia nelle scuole materne, vero toccasana, si dice, per favorire la conoscenza della seconda lingua. L'esperimento varato a metà degli anni 70 dagli asili comunali bolzanini viene però bruscamente stoppato dalla Suedtiroler Volkspartei, che ne fa una questione di rigida applicazione dell'articolo 19 dello Statuto. È l'inizio di una guerriglia politica che conosce momenti di grande tensione e che trova nuovo alimento, una decina d'anni dopo, per far comparire sulla scena di un'altra proposta didattica, quella della cosiddetta "immersione", ovverossia dell'insegnamento, nella seconda lingua, di normali materie come la matematica o la geografia. Anche in questo caso la SVP si oppone in ogni maniera alla novità, alimentando tutta una serie di illazioni sul fatto che i politici sudtirolesi non desiderino per nulla che gli italiani possano, imparando il tedesco, radicarsi realmente nella realtà altoatesina. Accuse nelle quali le rivalità politiche del tempo hanno la loro importanza, ma certo è che l'interpretazione rigida del famoso articolo 19 dello statuto mostra tutta la sua fragilità negli anni successivi, quando invece, grazie alla costante pressione dei partiti italiani di governo in Provincia, molte delle cose che fino a qualche anno prima erano vietate, l'insegnamento del tedesco negli asili, l'utilizzo della seconda lingua per l'insegnamento di diverse materie, vengono, ad un tratto, quantomeno tollerate se non ufficialmente consacrate.
Nello stesso momento in cui si sviluppa questo aspro confronto sulle difficoltà di apprendimento della seconda lingua, soprattutto, va detto, per il gruppo italiano, un altro tema di ancor maggiore delicatezza si affaccia sul proscenio della politica altoatesina. Alla fine degli anni 70 il gruppo che si raccoglie nella Nuova Sinistra - Neue Linke di Alexander Langer pone con forza il problema dell'esistenza di una realtà che non si vuole riconoscere necessariamente in uno dei tre gruppi ufficiali consacrati dal dettato autonomistico. È l'Alto Adige dei mistilingui che rifiutano di farsi ingabbiare in una struttura sociopolitica che non ammette scelte differenti da quelle tese al mantenimento perenne di una divisione senza punti di contatto. Una delle rivendicazioni fondamentali che partono da questa affermazione è quella di superare la rigida tripartizione anche nel mondo della scuola. Occorre, affermano gli alternativi, creare una scuola bilingue che possa accogliere non solo gli alunni provenienti da famiglia mistilingui, ma anche tutti coloro che non si sentono a loro agio nel sistema della separazione a tutti i costi.
Sarà per il fatto che, come detto, le due questioni vengono poste a livello politico più o meno negli stessi anni, ma da allora, e sino ad oggi, c'è una certa confusione tra il tema politico della scuola bilingue e quello degli strumenti per assicurare una miglior conoscenza della seconda lingua. Non che le due cose non possano essere in qualche modo collegate. È più che probabile che gli studenti di una futuribile scuola bilingue avrebbero garantiti livelli di conoscenza che oggi, per essere conseguiti, esigono scelte radicali come quella di scrivere gli alunni agli istituti dell'altro gruppo linguistico, ma le questioni, per una fondamentale esigenza di chiarezza, devono rimanere assolutamente distinte.
Se si chiede l'istituzione di una scuola bilingue, come ha fatto Francesco Palermo con la sua proposta di legge, non lo si fa per dare un nuovo strumento agli italiani per imparare meglio il tedesco. Lo si fa perché si ritiene giunto il momento di riconoscere, anche attraverso uno strumento fondamentale come quello dell'educazione scolastica, che l'Alto Adige-Sudtirolo non è più quello degli anni Cinquanta. Il processo di cambiamento sociale e culturale ha favorito la nascita di una realtà sociale che non può più essere inscatolata a forza nella tripartizione storica immaginata nel 1948 e pietrificata nel 1972. La realtà sta cambiando a ritmi incalzanti e il mondo, con le sue migrazioni umane e le sue felici contaminazioni culturali, non si ferma davanti ai confini provinciali. L'idea di un quarto tipo di scuola che possa accogliere i frutti di questi cambiamenti non è solo benefica, ma, a parere di chi scrive, assolutamente necessaria.
Proprio per questo vien da chiedersi, senza voler far polemica ma con grande rammarico, perché nel dibattito che la proposta di Francesco Palermo ha avuto il merito di suscitare, sia completamente mancata, sino ad oggi, la voce dei soggetti che hanno sostenuto, nel corso dei decenni, il peso di portare avanti queste tematiche. Non parliamo, è ovvio, dei politici militanti che, come abbiamo visto, con maggiore o minore intensità, qualcosa hanno detto. Ci riferiamo al mondo della cultura, della scuola in particolare, a quel mito ricorrente della cosiddetta "società civile" che pure su queste tematiche molte cose ha detto nei decenni passati.
Esiste ancora l'altro Sudtirolo?
Se c'è, per cortesia, batta un colpo.
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Ottima ricostruzione! Oggi è così: La paura di non cogliere le emozioni della piazza e di perdere consenso blocca persino il dialogo. L'alimentazione sistematica della contrapposizione etnica ed il fomento tanto artificioso quanto scientifico di una situazione di emergenza rende difficile qualsiasi discorso costruttivo e rilassato. Anche questo è vero. Sembra che l'inerzia spinga ancora di più verso il conflitto. Ma io credo fortemente nella ragionevolezza della popolazione. L'inerzia spinge soprattutto verso la sconfitta, se da parte degli elettori verrà interpretata come mancanza di polso.
La ricostruzione storica è necessaria per capire la complessità della questione della lingua di insegnamento nella scuola. Grazie, Maurizio Ferrandi
Di fatto a Bolzano le scuole trilingui hanno sostituite le scuole italiane (e una scuola tedesca). Chi vuole che suo filgio italiano non faccia nessuna materia in CLIL tedesco o inglese deve essere disposto a cambiare quartiere!
Bin soeben auf einen zum Thema passenden Artikel gestoßen (http://www.spiegel.de/spiegel/print/d-13532081.html). Es erstaunt, dass er vor ca. 30 Jahren geschrieben wurde. In Sachen gemischtsprachigen/r Kindergarten/Schule müssen wir und unsere Kinder wohl nochmals 30 Jahre warten!
Quando mi trovo a parlare dell'improrogabile esigenza di una scuola bilingue (intendendo le due lingue principali in provincia, più la solita terza lingua straniera) vengo ascoltata non di rado con annoiato disinteresse. Questo soprattutto xché c'è rassegnazione, visto lo strapotere del partito che non la vuole. Dovremmo invece riunirci e richiederla a gran voce, senza smettere. La mancanza di bilinguismo e l'impossibilità attuale di renderlo realmente, nel vissuto quotidiano - non solo burocraticamente -possibile a chi lo vuole, crea intollerabili discriminazioni.
Il signor Ferrandi ha esposto altri interessanti aspetti sulla questione in altri articoli.
... sollte anstelle von Sprachenzugehörigkeit - SPRACHFERTIGKEIT zur Stellenvergabe zählen, dann würden öffentliche Posten zumeist an Ladinisch-sprachige gehen, - Dank ihres Schulsystems ...
Interessante rileggere questo articolo. Peccato non affronti la questione del dialetto, ostacolo nell'apprendimento del tedesco e muro di esclusione (fortuito?), di separazione nel sociale e perfino nella vita politica.
Sottolineo questa parte dell'articolo: "Se si chiede l'istituzione di una scuola bilingue...Lo si fa perché si ritiene giunto il momento di riconoscere, anche attraverso uno strumento fondamentale come quello dell'educazione scolastica, che l'Alto Adige-Sudtirolo non è più quello degli anni Cinquanta. Il processo di cambiamento sociale e culturale ha favorito la nascita di una realtà sociale che non può più essere inscatolata a forza nella tripartizione storica immaginata nel 1948 e pietrificata nel 1972. La realtà sta cambiando a ritmi incalzanti e il mondo, con le sue migrazioni umane e le sue felici contaminazioni culturali, non si ferma davanti ai confini provinciali. L'idea di un quarto tipo di scuola che possa accogliere i frutti di questi cambiamenti non è solo benefica, ma, a parere di chi scrive, assolutamente necessaria.
Zitat: “Peccato non affronti la questione del dialetto, ostacolo nell'apprendimento del tedesco e muro di esclusione (fortuito?), di separazione nel sociale e perfino nella vita politica”:
Sie bringen diesen Aspekt, den Südtirolern ihren Dialekt “zu nehmen”, immer wieder, ohne dies irgendwie sachlich-wissenschaftlich zu belegen.
Wir lieben doch auch die Dialekte im Trentino, in Bergamo, auf Sardinien, Sizilien, in Rom... warum diese Abneige, wenn es sich um den Dialekt einer Minderheit handelt.
Der Dialekt ist unsere eigentliche Sprache, so wie eben auch im Trentino, in Bergamo, auf Sardinien, in München, in Berlin, in Rom, in der Schweiz.
Bitte höflich, von diesem Ansatz Abstand zu nehmen, der doch diskriminierend erscheint: ich darf die Mundart meiner Mutter nicht mehr sprechen, weil das z.B. Sie stört? Da wünsche ich mir doch etwas mehr Aufgeschlossenheit und Respekt, und bin mir sicher, dass Sie dafür Verständnis zeigen können: “das schaffen wir”.
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dazu:
https://www.salto.bz/de/article/06052013/eine-datenbank-fur-unseren-dia…
https://sms-project.eurac.edu/?lang=de
https://www.eurac.edu/de/dossiers/dossier-mehrsprachigkeit-suedtirol
Anscheinend haben nur die Italiener Probleme mit den verschiedenen deutsche Dialekten, die in Südtirol gesprochen werden. Dass umgekehrt auch die Südtiroler Probleme mit den Dialekten der aus allen Gegenden der Apenninenhalbinsel zugewanderten Italiener haben, wird einfach übersehen.
Il dialetto può diventare un muro di esclusione un po' dappertutto... mi ricordo i miei anni a Padova, quando in collegio il gruppo di (serenissimi) veneti doc parlava tra di loro in modo che nessuno potesse capire niente, soprattutto quando prendevano in giro i colleghi... per me, che grazie ai miei amici veneti un po' il dialetto lo mastico, era uno spasso, ma mi ricordo di certi emiliani o marchigiani che si arrabbiavano e non poco... :-) e mia sorella che l'inglese lo parla perfettamente mi raccontava dei suoi anni all'università di Saint Andrews in Scozia, quando i locali parlavano nel loro dialetto locale (o meglio, lingua locale) per escludere chi non doveva capire... i dialetti (come le lingue come il ladino, rumantsch, sardo, ...) sono una ricchezza culturale immensa e vanno preservati con tutta la forza! Poi come le si usano (per includere o escludere) questo è un altro discorso e come al solito dipende dalla sensibilità e dal rispetto di ognuno di noi.
Da bin ich ganz bei Ihnen. Was ich aber nicht verstehen kann, wieso versteht ein Südtiroler bald mal den Dialekt eines padovano, aber ein altoatesino nach Jahren und Jahrzehnten hier in Südtirol keinen Südtiroler Dialekt? Wo liegt hier das Problem, und wie könnte man es lösen? Mit einer mehrsprachigen Schule wahrscheinlich nicht.
Bei mir persönlich geht es um Neugierde. Ich bin extrem neugierig und mich interessieren andere Kulturen. Ich war viel unterwegs und lernte in alle Länder ein paar (machmal sogar viele) Wörter der Einheimischen. Für mich gehört es einfach zum Respekt andere Menschen/Kulturen in ihrer Sprache zu begegnen, sei es auch nur ein paar Basiswörter. Kroatisch kann ich mittlerweile gut, ganz interessant war es in Kenya und Namibia. Unmöglich war es hingegen in Island: ein Buchstabensalat, für mich ein wahrer Zungenbrecher!
Wieso nicht mit mehrsprachige Schulen? Ich selbst bin in einem sehr mehrsprachigen Kontext aufgewachsen, vielleicht liebe ich deshalb die Sprachen/Dialekte? Meine damals 3jährige (deutschsprachig aufgewachsen) kam vom ersten Kindergarten Tag zurück und grüsste mit "buongiorno" (DEUTSCHES Kindergarten mit vielen italienischen Kindern). Ein paar Tage danach hies es schon "smettila" wenn wir etwas machten was sie nicht wollte... Ich denke Kinder sind sehr neugierig und lernen gerne andere Sprachen, sie nehmen alles auf, wie ein Scwamm, überhaupt wenn das "freiwillig" geschieht (spielerisch, Fernseher, Freunde, Freizeit). Ich sehe wie die Kinder englisch beim Fernsehen lernen. Das ist ja super. Politik und Schule sollten dieses Lernen unterstützen und nicht bremsen! Im der ersten Grundschulklasse nur eine Stunde Italienisch? Englisch erst in der vierten Klasse?? Das ist ja lächerlich!!!
... mittlerweile gibt es die EU und auch das zarte Pflänzchen EUROPA DER REGIONEN!
Ein Gewinn aber auch ein Aufruf zu mehr Respekt für Sprachen, Dialekte und Idiome!
Welch ein Gewinn es für mehrsprachig Mit-lebende darstellt, erkennen eben nur Letztere indem sie anderssprachige Medien zu Gemüte führen, durch Mehrsprachigkeit jeweils verschiedene Denkweisen aufnehmen usw.!
Deshalb brauchen wir Bewohner.innen im südlichen Tirol keinerlei Mindergefühle gegenüber weiteren Europäer.innen.n zu haben, welche zwar Englisch sprechen, aber nicht die SPRACHE DER NACHBAR.INNEN.N ...
Zitat: “Bitte Standarddeutsch, siamo in Europa”.
Ja, aber es ist nicht ein “Standard-Europa”, sondern das Europa der Regionen, der Vielfalt, der Eigenheiten, welche es auch schützt.
Ein Europa, das die Regionen schützt vor dem “Standard-Nationalismus”, das es uns erlaubt zu sprechen, wie wir es von den Lippen der Mütter gelernt haben, wie “uns der Schnabel gewachsen ist”.
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Man wird uns unsere Sprache nicht nehmen, so wie man den Trentinern, den Bergamaschi, den Sarden, den Römern, aber auch den Münchnern, den Berlinern, den Schweizern ihre Mundart nicht nehmen wird.
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auch:
https://www.salto.bz/de/comment/118522#comment-118522
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und:
“wir schaffen das”, gemeinsam.
Ja das Europa der Vielfalt, Eigenheiten und der Mütter, leider nicht überall: https://uacrisis.org/de/71737-will-new-language-law-change
Das hatten wir schon mal: auch Italien hat seine Staatssprache.
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Sie hauen gern und bei jeder Gelegenheit auf die bedrängte und gebeutelte Ukraine, das Opfer eines imperialen Eroberungs- und Ausbeutungskrieges drauf - als Leser fragt man sich, worin diese Leidenschaft begründet sein wird...
Ja genau, das hatten wir schon mal. Und immer noch ist es so, dass Sie der Kellner nicht auf italienisch begrüßt, wenn Sie das Lokal betreten (außer eben Muttersprachler u/o Ausländer).