Gesellschaft | BURQA

“Come il grembiulino blu”

Burqa, la voce della mediatrice culturale Fatima Azil: “Le donne straniere devono trovare spazi di integrazione, essere aiutate e sostenute con la formazione”.
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Foto: upi

Si sa, attraverso l’abbigliamento ogni individuo esprime se stesso. Poi, come gli abiti siano percepiti dalla collettività varia non solo in ragione della sensibilità e delle esperienze delle singole persone, ma anche in ragione del tempo storico nonché della cultura e delle tradizioni proprie di ciascun territorio e popolo.

Quale mondo di valori si schiuda dietro al burqa abbiamo chiesto a Fatima Azil, una donna musulmana, nata in Marocco, dove è vissuta per 24 anni, residente da altrettanti 24 anni in Italia.

Fatima Azil, laureata in biologia animale, è una mediatrice interculturale, formatrice e docente di materie scientifiche, è stata docente nel master postuniversitario di intercultura e ricercatrice in ambito antropologico sulla “Mediazione culturale per l’impiego delle donne immigrate nel mondo del lavoro” all’università Cà Foscari di Venezia, conosce cinque lingue, ossia l’arabo, l’italiano, il tedesco, il francese, l’inglese. 

La mediatrice interculturale sopra menzionata è direttrice didattica di Babel, la cooperativa sociale in via Galilei a Bolzano, sorta nel 2009, composta da insegnanti, educatori, mediatori culturali e familiari, assistenti sociali, psicologi, sociologi, avvocati.

Dal 2015 la cooperativa offre in collaborazione con l’Azienda Servizi Sociali di Bolzano un servizio gratuito di assistenza e consulenza: lo sportello di accoglienza e orientamento per le donne straniere.

Salto.bz. Direttrice Azil, quale significato riveste il burqa per le donne musulmane?

Fatima Azil: Come in Alto Adige i contadini mettono il grembiulino blu per ragioni culturali e territoriali, in Afghanistan o in Pakistan le donne portano il burqa, semplicemente perché sono nate, cresciute e vissute in un ambiente, dove si indossa il burqa.

Il burqa ha radici religiose?

No. Nella religione islamica si chiede alle donne di essere coperte nonché di non vestirsi in modo volgare e tale da attirare l’attenzione degli uomini, ma non è prescritto il burqa. Se una donna in un altro Paese indossava il burqa, laddove era un valore, e porta tale capo di abbigliamento in un territorio, dove nessuno lo fa, diventa più osservata di altre donne.

Per quali motivi talune donne islamiche indossano il burqa in Italia?

Alcune donne sono state obbligate dalla famiglia. Altre, una volta immigrate, non si sono sentite a proprio agio nella società, ne hanno sofferto, così hanno cominciato a marcare la loro diversità con vestiti integralisti e si sono rinchiuse in un abito, mai indossato prima.

A lei piace il burqa?

No. Gli estremismi non vanno bene, ma capisco e rispetto le altre culture. Le donne immigrate devono trovare un equilibrio tra i valori occidentali e quelli della terra di origine.

E’ giusto secondo lei vietare alle donne di indossare il burqa?

Ogni donna dovrebbe vestirsi come vuole e come si sente, sempre nel rispetto della legge. Però, se una madre va a ritirare tutta coperta un bambino a scuola, lì non sanno se sia lei o no. E dal medico bisogna farsi vedere.

La recente sentenza della Corte di Giustizia Europea del 14 marzo scorso ritiene non discriminatorio vietare il velo in una impresa privata. E’ d’accordo?

Quanto al burqa, esso impedisce i movimenti sul lavoro, laddove bisogna invece garantire la sicurezza. Poi rileva anche l’immagine dell’azienda. Nel privato ciascuna ditta imposta il lavoro come vuole.

E nell’ambito di lavoro pubblico?

Su questo non mi esprimo.

Il burqa non crea integrazione, ma allontana gli altri da sé. E’ una forma di autoisolamento, un segno di chiusura. Chi indossa il burqa vive in un mondo tutto suo, non fa vedere gli occhi, l’espressione e la mimica facciali, le proprie emozioni, non entra in comunicazione con gli altri attraverso il linguaggio non verbale. E’ una forma di insicurezza, un passo sbagliato

C’è allarme terrorismo. Consentire alle donne di portare il burqa può costituire una fonte di pericolo per la collettività?

Le donne musulmane hanno paura più degli altri per gli attentati. Gli attentatori fanno male agli islamici, che sono i primi danneggiati. E’ sbagliato parlare di terrorismo islamico: non ci si può far esplodere a nome dell’Islam che è una bella religione di pace, convivenza e condivisione. “Dio è grande”, poi lo pensano e dicono tutte le religioni monoteiste.

Quale ruolo ha il burqa nell’integrazione tra stranieri e italiani?

Il burqa non crea integrazione, ma allontana gli altri da sé. Io stessa, originaria del Marocco, Paese molto aperto, in cui convivono musulmani, cristiani, ebrei, non credenti e dove il burqa non si usa, se vedo una signora coperta, potrei pensare che dentro l’abito ci sia un uomo.

Che cosa rappresenta il burqa dal suo punto di vista?

E’ una forma di autoisolamento, un segno di chiusura. Chi indossa il burqa vive in un mondo tutto suo, non fa vedere gli occhi, l’espressione e la mimica facciali, le proprie emozioni, non entra in comunicazione con gli altri attraverso il linguaggio non verbale. E’ una forma di insicurezza, un passo sbagliato.

Dobbiamo abbattere i muri, anche quelli fatti di stoffa. Si devono aumentare gli spazi di integrazione, favorire la conoscenza delle lingue, il lavoro e la vita sociale di tali donne, che sono fragili a causa della migrazione e per le quali è difficile vivere in una realtà tutta nuova. Tali donne, che devono poter svolgere una vita dignitosa e il cui potenziale culturale è da sfruttare, non devono essere trascurate, ma sostenute con la formazione e con progetti specifici.

Quali sono le possibili conseguenze di tale chiusura a lungo termine?

Se queste donne si chiudono in se stesse, come educheranno i propri figli? Molte straniere hanno la cittadinanza italiana e sono le mamme delle nuove generazioni. Le madri non devono far assorbire, tutti i giorni, le loro sofferenze e paure per le discriminazioni subite ai figli che poi rischiano di esprimere se stessi in modo sbagliato.

Cosa si può fare a suo avviso per scongiurare tale rischio?

Dobbiamo abbattere i muri, anche quelli fatti di stoffa. Si devono aumentare gli spazi di integrazione, favorire la conoscenza delle lingue, il lavoro e la vita sociale di tali donne, che sono fragili a causa della migrazione e per le quali è difficile vivere in una realtà tutta nuova. Tali donne, che devono poter svolgere una vita dignitosa e il cui potenziale culturale è da sfruttare, non devono essere trascurate, ma sostenute con la formazione e con progetti specifici.

Si deve andare oltre l’abito. Siamo tutti umani. 

Qual è in particolare il suo invito alle donne immigrate?

Prima si devono osservare i doveri della società, poi battersi per i propri diritti. Lavorate, non bisogna essere un peso. Altrimenti si rischia il rifiuto. Amate la terra, dove vivete e non mandate i soldi sempre nella terra di origine.

E agli italiani?

Non voglio sentirmi straniera, perché lavoro qui, peraltro con tanti italiani e contribuisco al territorio. L’Italia è un Paese accogliente, ma ci sono ancora forti pregiudizi contro gli stranieri: si deve andare oltre l’abito. Siamo tutti umani. 

Sono d' accordo che il burqa é forma di autoisolamento. Non sono d' accordo sul fatto che l' islam sia una bella religione di pace. Mi disturba essere considerato un non credente ed un nemico. Mi disturba sentire dire che "la sharia é al di sopra delle leggi dello stato", mi disturba sentir parlare politici esteri di guerre di religione. Fino a quando non ci sará un momento di autoriflessione nell' Islam, un periodo di Aufklärung, che potrá anche partire dalle donne musulmane, io rimango molto scettico per quanto riguarda i risultati di un eventuale integrazione. Questa non puó partire da noi (occidentali e non solo) christiani/ebrei/atei, ma é un processo che tocca fare al mondo islamico ed ha giá oltrepassato ogni limite.

Mo., 20.03.2017 - 07:48 Permalink

@Rier
Leider beteiligen sich Frauen eben weniger an öffentliche Diskussionen, die zu Themen die sie nicht selbst betreffen und aus dem eigenen Lebensumfeld stammen. Meistens sind halt nur die paar feministischen Keckserinnen, die nur daher kommen um es irgendwie auf die persönliche Ebene herunterzubrechen und zu einem Frauenthema umzudefinieren.

Es geht hier nicht um Frauen und Männer, es geht darum inwieweit ein Kleidungsstück für eine Haltung steht, sich von der Gesellschaft abzugrenzen, die sie aufgenommen hat. In wieweit Individuen nicht ihre individuellen Freiheiten wahrnehmen und in der Öffentlichkeit als Individum auftreten können/wollen. Inwieweit Menschen nicht fähig sind sich mit anderen auch mal als Bürger zu treffen und sich nur über die Religion zu definieren.
Die Burka ist ein Problem, weil sie Symbol für ein System ist, für einen gesellschaftlichen Gegenentwurf der gegen die offene Gesellschaft, die demokratisch-freiheitliche Zivilgesellschaft und gegen die Gleichheit von allen (Männer und Frauen) ist. Sie will die Werte unserer Gesellschaft nicht anerkennen und dafür ein totalitäres Gesellschaftsmodell mit absoluten Wahrheitsanspruch entgegenstellen. Der Islam ist nicht nur eine Religion, es ist auch eine politische Weltanschauung. Es gab nicht und kann es nicht eine Trennung von Staat und "Kirche" geben, weil im Islam glauben und Staat verwoben sind. Die heiligen Schriften geben eine andere Interpretation nicht her, (außer bei ein Retortengelehrten in westlichen Universitäten auf die keiner hört) und die heiligen Schriften werden von den anhängern diesen Glaubens ernst und fast immer wörtlich genommen. Der Koran und der Profet sind makellos, wenn etwas schlimmes passiert können diese nicht Schuld sein, sondern jene die den Glauben nicht richtig praktizieren bzw. keine richtigen Muslime sind. - Wie soll man mit so einer Grundhaltung einen Platz in einer pluralistischen Gesellschaft finden?
Das ist ein Problem und kann mit einer Entsprechenden demographischen Entwicklung unsere Gesellschaft kippen

Noch einen Gedanken zur Burka und Kopftuch. Heute möchte man ja dass Mädchen Sport betreiben und Selbstverteidigungskurse besuchen um Selbstvertrauen zu bilden. Wenn diese in der Pubertät anfangen Kopftuch und Burka zu tragen entwickeln sie ein verzerrtes Körpergefühl und fühlen sich nackt, wenn sie ohne Kopftuch und Burka herumlaufen. Das muss Ihnen doch auch nicht gefallen?

Do., 23.03.2017 - 00:38 Permalink

Ah ja. Und weil "Frauen sich weniger (...) einbringen (...)" müssen Männer eine Lücke füllen, die niemand geschaffen hat, und - hier - bestimmen, welche Kleidung Frauen zu tragen haben, und welche nicht? Oder wie? Und überhaupt: Warum "diskutieren" Sie denn nicht über die Männer, die sich diese Tracht ausgedacht haben? Und über die, die von ihren Frauen verlangen, dass sie sie tragen? Was könnte manN tun, um diese Männer aus ihrem mittelalterlichen Weltbild in die Neuzeit zu überführen?

Do., 23.03.2017 - 08:30 Permalink

Frau Rier,
eine Demokratie, eine Republik oder eine moderne Gesellschaft funktioniert nur mit einem öffentlichen Diskurs. Früher war es unerwünscht dass Frauen sich daran beteiligen. Heutzutage wäre es von vieler Seiten erwünscht und nicht verhindert. Der Grund dass Frauen aber heute immer noch ausbleiben ist am Besten bei ihnen selbst zu suchen.

Ob sich diese Bekleidung Frauen oder Männer ausgedacht haben ist wenig relevant, weil das liegt Jahrhunderte zurück. Tatsache ist das Kulturen über Jahrhunderte von Männern entwickelt wurden, man kann jetzt die Schuld für alles das Schlecht ist den Männern vorwerfen, aber dann sollte man das Gute auch tun. Hätten Frauen die Aufgabe gehabt unsere Kultur zu entwickeln würden wir immer noch in Strohhütten sitzen. (Camille Paglia)
Was haben Frauen bis jetzt bei der Entwicklung von Theorien beigetragen? Das einzige was von Frauen dominiert wird ist der Feminismus und die Gendertherie und die sind konfus und in sich widersprüchlich und folgen keiner Empirie sondern dem eigenen Wunschdenken.

Es geht hier übrigens um die mittelalterliche Vorstellung von Männer und Frauen, diese umzuändern zu wollen ist mühselig und wenig ergiebig. Was man aber tun kann ist sich zu fragen ob man sich solche Menschen die solche Einstellungen vertreten ins Land holen will und sie hier behalten will, obwohl sie sich in unserer Kultur nicht zurecht finden und Ressentiments gegenüber der Aufnahmegesellschaft entwickeln. Jene die sich hier anpassen sind willkommen, die anderen sind nur ein Schaden oder zumindest eine Belastung für uns.

Do., 23.03.2017 - 12:00 Permalink

@Silvia Rier
Man könnte zumindest verbieten diese Symbole eines frauenverachtenden Menschenbildes in der Öffentlichkeit herzuzeigen. Das zeigt diesen Männern dass ein bestimmtes Verhalten geächtet ist und die Gesetze des Staates über denen ihrer Religion oder Kultur stehen. Und dass Gesetze einzuhalten sind, darüber dürfte es eigentlich keine Diskussion geben.

Do., 23.03.2017 - 21:31 Permalink

@gorgias
Wie Sie selbst sagen ist die Klosterfrauentracht eine Uniform vergleichbar etwa mir der der Pfadfinder oder ähnliches. Eine Uniform kann man anlassbezogen tragen und auch ausziehen. Klosterfrauen tragen ihre Tracht auch nicht immer, sie ziehen sie aus im Urlaub beim Sport usw. Manche Orden sind sogar dazu übergegangen die Ordenstracht überhaupt abzulegen z.B. die Salvatorianerinnen in Obermais. Ich sehe da keinen Bezug zu frauenverachtenden Symbolen, dann müsste dies auch für andere Uniformen gelten (Frauen bei der Polizei). Die Burka symbolisiert hingegen durch die Verhüllung, dass die Trägerin keine Hure ist sondern sich vor den Blicken der Männer schützt indem sie ihre Reize nicht herzeigt sondern versteckt. Deshalb kann eine Burka o. ä. auch nicht in der Öffentlichkeit nach Belieben abgenommen werden. Also schon ein Unterschied zur Ordenstracht.
Aber ja sollte das Verbot von Burkas, Nikab, Kopftüchern usw. nur möglich sein, wenn auch Ordenstrachten verboten werden, dann bin ich dafür. Die Ordensfrauen werden es verschmerzen, weil sie bis da ausgestorben sind oder das Ordenskleid eh nicht mehr tragen.

Fr., 24.03.2017 - 12:52 Permalink

ja frau aster da müsste wohl viel verboten werden, wenn's darum ginge, frauenverachtendes zeug aus der öffentlichkeit zu verbannen. (neulich wurde, denken Sie nur, eine Sendung aus dem Programm genommen, vor lauter frauenverachtend, dass sie war, bei RAI1, also mitten in Europa und sowieso ganz ohne Muslime. Trump müsste dann ja übrigens auch verboten werden. aber was rede ich da. sie als frau wissen bestimmt, was ich meine. ps. sie glauben wirklich, männer würden gescheiter, wenn Frauen ihre Kleidung verboten würde? interessant.

Fr., 24.03.2017 - 07:40 Permalink

@Silvia Rier
Nur weil noch viel zu tun ist , ist das keine Rechtfertigung dafür gar nichts zu tun. Menschen- und in diesem Fall frauenverachtende Symbole wie z.B. die Burka sollten im öffentlichen Raum nicht gezeigt werden dürfen. Vergleichbar etwa mit dem Tragen eines Kleidungsstückes mit Hakenkreuz oder dem römischen Gruß. Solche Symbole einer Gegengesellschaft gehören nicht hergezeigt. Da geht es gar nicht um die Träger selbst sondern um die fatale BOTSCHAFT, die in die Öffentlichkeit gesandt wird. Wie sagte Alice Schwarzer schon vor Jahren: "Das Kopftuch ist die Flagge des politischen Islam".

Fr., 24.03.2017 - 13:01 Permalink

Ich halte mich einfach an Alice Schwarzer, die ihr Leben für Feminismus eingetreten ist und die vor der verschleierten Gewalt warnt, denn nichts rechtfertigt diese Bekleidungsgebote! Man lese dazu die Artikel auf EMMA, dann erübrigen sich diese Weichspülargumente der SüdtirolerInnen.

Fr., 24.03.2017 - 08:10 Permalink