Noi. Oggi! Domani! Europa!
Forse nel proprio intimo erano in molti ad attendere la domanda “Volete il doppio passaporto?” quando all’inizio dello spettacolo Wir. Heute! Morgen! Europa! (Noi. Oggi! Domani! Europa!) per la regia di Alexander Kratzer (autore e uomo di teatro che aveva già firmato due spettacoli precedenti sulla storia contemporanea, quello sull’opzione nel 2014 e quello sugli anni delle bombe – Bombenjahre – l’anno scorso), il numeroso pubblico in sala grande del Teatro comunale di Bolzano si è sentito chiedere di tenere a portata di mano il cellulare, essendoci anche una parte interattiva. Le prime domande erano piuttosto generali e riguardavano il sentirsi parte di una minoranza o meno, oppure se si è favorevoli o meno alla scuola plurilingue o se si conoscono più di due lingue: tutte domande dove per altro il “sì” è stato in netto vantaggio rispetto al “no”. Che l’84 % dell’audience della prima sera abbia declinato con grande fermezza l’offerta del doppio passaporto di cui tanto si parla nuovamente, da quando il cancelliere austriaco Sebastian Kurz l’ha rimesso sul piatto, ha sorpreso persino i due conduttori della serata – oltre a spingere (quasi) tutto il pubblico a un grande applauso spontaneo! Ma procediamo con ordine.
Lo spettacolo Wir. Heute… è dedicato a minoranze e autonomie nel contesto europeo, come dice il sottotitolo, per cui si sono succeduti sul palco ben dieci ospiti giunti dall’intera Europa, dalla Finlandia alla Spagna, dal Belgio alla Romania. Unicamente i rappresentanti della Corsica sono apparsi soltanto in video nel corso di alcuni brani di intervista a causa di un imprevisto. Tra tutti, citiamo Toni Casalonga, il primo a parlarci dallo schermo spiegando che per lui, uomo ormai anziano, l’identità è qualcosa che l’altro ti mette addosso, è come la pelle che al contempo ti protegge dalla pioggia e ti fa respirare l’aria, in una continua osmosi aperta. Protezione - è ciò a cui si è appellata anche Boróka Parászka, giornalista appartenente alla minoranza szekler in Romania: la protezione da parte del suo Stato e soprattutto la protezione dell’Europa. L’Europa. Il tema della serata è anche l’Unione europea, di come essa coltiva e (non) protegge le lingue e le culture delle diverse minoranze esistenti al suo interno e di come “suggerisce” a colpi di leggi – sempre se lo fa – ai vari stati membri di riconoscerle e tutelarle. Di diritti negati ci parla Hülya Emin della minoranza turco-musulmana in Grecia, mentre alla domanda sul doppio passaporto, la già citata signora Parászka ha prontamente risposto di comprendere chi colleziona farfalle, ma che lei di sicuro non colleziona passaporti. Chissà se Arno Kompatscher, presidente della provincia, e Florian Mussner, assessore dei beni culturali, musei e mobilità, oltre a istruzione, formazione e cultura ladina, presenti a teatro, terranno conto delle indicazioni dal basso portandole nei piani alti della politica a favore di futuri risultati concreti?
È un momento di grande teatro quell’attimo in cui la maschera di Gerda voltata verso il pubblico esprime il suo essere interdetta, imbarazzata, rendendosi conto della sua dipendenza da colei che la muove, filo per filo, parola per parola…
L’impianto scenico di Wir. Heute… ricorda molto quello di certi format televisivi, con l’orchestra in mezzo, due scale ai lati con piattaforma centrale rialzata dove in vari punti appaiono gli ospiti che via via vengono intervistati dai presentatori, alcuni collegamenti con relatori esterni (qui preregistrati) e i display con i risultati dei sondaggi. Se non fosse per le due presenze davvero molto teatrali, ossia la signora Gerda, la presentatrice (assieme a Markus Warasin e Johan Häggman), una maschera che indossava un abito di colore blu-azzurro – “molto europeo”, come lei stessa sottolinerà – con una grande bocca animata in modo davvero magistrale dall’attrice marionettista viennese Manuela Linshalm, interamente vestita di nero, e Robert Menasse, maschera di tipo maschile in abito nero – nel suo caso unicamente una giacca, sempre animata dalla Linshalm che qui però cambia tono per avvicinarsi a un timbro vocale più basso, che legge al podio nella veste di “messaggero europeo” alcuni stralci da un ipotetico discorso celebrativo in cui condanna l’ “Europa delle nazioni” che aveva condotto quasi del tutto naturalmente al “nazionalismo”. Menasse parla a favore di un “progetto europeo per la pace”, abdicando al concetto portato avanti dalla generazione che ha fondato l’Europa tenendo conto delle esperienze passate delle varie guerre. A favore di un futuro che tenga conto della memoria storica e di visioni per un divenire.
Ed è qui, nel far ragionare il pubblico su questioni molto semplici e al contempo molto personali, che lo spettacolo sposa l’idea originaria del teatro, ossia la sua vocazione base, sia nel senso brechtiano che vuole che lo spettatore rifletta su ciò che viene rappresentato, sia nel senso di Stanislavskij, che mira all’educazione tout court dell’essere umano – sul piano corporeo, emotivo-sentimentale e intellettuale - per farne persona a tutto tondo. Un esempio? Quando, una volta terminato l’incontro con l’ospite della Catalogna, si affronta il tema dell’autodeterminazione – chiaramente si allude a quella socio-politico-culturale dell’Alto Adige paventata (non solo?) da una certa destra conservatrice – è la signora Gerda a far comprendere col suo atteggiamento autoriflessivo, senza dire una parola, quanto in realtà si rischia nel voler diventare “autodeterminati”, di fatto poi davvero privi di autonomia e di indipendenza, come lei… Un paradosso iperbolico cui nessuno dà seguito, ma che al pari di un fulmine era entrato, forse, nelle menti dei presenti che al quesito a riguardo rispondono a netta maggioranza per il contrario. È un momento di grande teatro quell’attimo in cui la maschera di Gerda voltata verso il pubblico esprime il suo essere interdetta, imbarazzata, rendendosi conto della sua dipendenza da colei che la muove, filo per filo, parola per parola… Ci saranno altri momenti di questo tipo, quando la signora Gerda è in scena ma non parla e nonostante le sue fattezze di un pezzo di stoffa e una maschera in cartapesta si impone con una gigantesca presenza scenica incassando anche un momento di divertita commozione quando - realisticamente parlando - afferma che a lei “piace viaggiare” benché non lo faccia “con” la valigia ma “nella” valigia!
Infatti, l’ultima domanda rivolta al pubblico è se ci si sente europei, e la risposta è al 99%: sì!
Certo la parte finale con Don Romano Michelotti del Friuli Venezia Giulia, altra regione ad autonomia speciale in Italia, assieme al rapper Mauro Tubetti in cui si parla del dialetto friulano come lingua del cuore e della fede, riconduce il discorso verso una chiusura culturale, lamentandosi Don Romano che la chiesa non vuole accettare la bibbia tradotta in friulano per celebrare le messe in dialetto, d’altro canto anche questo fa parte del mondo pluriculturale europeo composto da trecento minoranze. Leggiamo nell’opuscolo edito per l’occasione che nell’Unione europea ci sono ventitré lingue ufficiali, oltre sessanta lingue regionali o parlate da minoranze parlate da circa quaranta milioni di abitanti. Ufficialmente esistono novanta lingue in Europa, trentasette sono lingue nazionali, cinquantatré non hanno una loro nazione patria… Infatti, l’ultima domanda rivolta al pubblico è se ci si sente europei, e la risposta è al 99%: sì! “Molto al di sopra della media europea”, commenta nel congedarsi Markus Warasin, sapendo bene di cosa parla, essendo membro del gabinetto del presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani.
Die Doppelpassfrage ist hier
Die Doppelpassfrage ist hier vom Regisseur Kratzer entweder aus Unwissenheit oder aus Bosheit vollkommen falsch dargestellt worden. Es handelt sich nicht um das Angebot einer ihm offensichtlich verhassten österreichischen Regierung, sondern um eine zehn Jahre alte Forderung der damals noch die Mehrheit im Land besitzenden SVP.