Gli altoatesini hanno un problema con il tedesco. I sudtirolesi hanno un problema con l'italiano. Questi due problemi, che a ben guardare potrebbero essere visti come lo “stesso” problema, però non coincidono. Non sono neppure l'uno il rovescio dell'altro. Raramente, infatti, accade di vedere un altoatesino e un sudtirolese che ne parlino come davanti ad un loro problema “comune”. Al contrario, ognuno pensa di fare da sé, e finisce con l'irritarsi diventando irritante. Per uscire da tale impasse occorrerebbero esempi positivi, e quindi vi offro il mio. Vorrei farvi capire perché i miei figli – che parlano benissimo sia il tedesco, sia l'italiano, sia il dialetto – hanno potuto raggiungere questo straordinario risultato. Non metterò limiti alla mia presunzione e aggiungo: si tratta della ricetta vincente, l'unica che funzioni senza eccezioni. Ce ne sono sicuramente altre, non lo nego. Ma credo di poter dire che, allora, si tratta di ricette tanto più efficaci quanto più si avvicinano alla mia. Dunque, per avere figli perfettamente bilingui fate così. Sceglietevi un compagno o una compagna che sia dell'altra madrelingua, amatelo (o amatela) e fateci un figlio (o una figlia). Ognuno di voi parli con amore a questo figlio (o a questa figlia) nella propria lingua. Lo faccia fino al punto da identificare se stesso con la lingua parlata. Ovviamente sarebbe preferibile che il padre capisse bene la lingua della madre e viceversa. Impegnatevi comunque a colmare eventuali lacune. A questo punto le scuole da scegliere non rivestono un'importanza così drammatica. I miei hanno frequentato la scuola materna in lingua italiana e poi sono andati, dalle elementari in poi, a quella tedesca. Il fatto che in famiglia (e con gli amici, nel tempo libero, ovunque ci trovassimo) parlassimo più lingue ha generato un ambiente naturalmente plurilingue. Per i miei figli la “normalità” è sempre stata questa. “Anormale”, invece, il caso contrario, cioè situazioni nelle quali i parlanti conoscevano una lingua soltanto (a casa dei nonni materni e dei nonni paterni, per dire). Lo ammetto, si tratta di una condizione molto privilegiata e come ricetta universale non vale nulla. Allora? Chi ci deve pensare? La scuola? Sì, ma non basta. Ci dovete pensare sempre voi, qui e ora, senza perdere tempo a leggere ricette miracolose (come la mia). Innamoratevi dell'altra lingua e trasmettete questo amore ai vostri figli. Fate loro sentire che una lingua diversa da quella parlata a casa è un modo per vivere meglio e più intensamente la realtà circostante. Abbiate coraggio: bucate la bolla monolinguistica in cui vivete. Non pensate subito all'utilità (quella viene dopo, viene comunque). Festeggiate anche ogni piccolo progresso, usatelo come sgabello per salire più in alto. E soprattutto: non date mai nessun risultato – sia positivo che negativo – per definitivo o scontato. Una lingua non si impara mai una volta per tutte. La competenza si accresce solo con l'uso, con la pratica, e questa deve essere sviluppata ogni giorno. Ah, un'ultima cosa. Non date troppo retta alle statistiche e agli studi periodicamente pubblicati sull'argomento. Non parlano la lingua dell'amore.