La verità è che io mi ci vedevo, per questo rosico. Mi ci vedevo su un'amaca tipo quella dove resterà per sempre sdraiato il meravigliosissimo Jep Gambardella, vestito di chiaro, nel sole eterno e morente, al tramonto insomma. Mi ci vedevo mentre aspettavo i primi ospiti del cocktail per parlare loro, lì davanti alla grande bellezza di Roma, della grande bellezza di Salorno, Oltrisarco e Laives. Quel posto doveva essere mio. Ho tutte le qualifiche, tutte le virtù. Sono un autonomista convinto – ho addirittura un dissennato passato da indipendentista –, conosco bene la storia locale, potrei discettare per un'ora sul tema “le insidie della toponomastica”, mi emoziono quando entro in una Stube odorosa di cirmolo, e passo volentieri le serate a sintonizzarmi sul concerto di nuvole e luci che transitano sul Rosengarten. Amo e apprezzo la cucina, se una cosa è giusta non dico “qui ci sta bene come il prezzemolo”, bensì “come l'erba cipollina”. Alla parola “vino” scatto come un cane di Pavlov caricato a molla e penso Lagrein, o Blauburgunder, e di questo sarei abile cantore, capace di evidenziarne i sentori balsamici di cuoio e di affumicato (“affumicato come lo Speck?”, squittirebbe allora la Baronessa tal dei tali vien dal mare facendo ondeggiare il suo Martini, e io – lesto come la poiana, anzi l'astore sbranagalline che attraversa il cielo tra Tschötsch e Nave – “sicuro, sicher, come il nostro meraviglioso Speck contadino della Val d'Ultimo”). E poi, non scordiamocene, io ho il patentino di bilinguismo A! Lo presi quasi subito, appena arrivato, ormai vent'anni fa. Per spavalderia, io che in realtà immigravo nel Sudtirolo durnwalderiano non dalla mia città marinara, dalla mia regione walsche, ma aus crante Heimat teteska, perché avevo passato un anno ad Heidelberg, affrontai quel temutissimo esame decidendo che avrei imposto il tema a quei malcapitati commissari, e quindi – dopo i primi ovvi preliminari – quando già alle loro severe labbra si affacciava la quietanza liberatoria del “wie haben Sie Deutsch SOOO GUT gelernt?” – cominciai a sciorinare le mie conoscenze di filosofia e proposi di spiegare loro il senso profondo del detto gadameriano “Sein, das verstanden werden kann, ist Sprache” (mi dissero subito “Es ist nicht notwendig”, e passai brillantemente). Bei tempi, grandi speranze. Invece eccomi qui, a rosicare. Perché io non sono riuscito neppure a saperlo, che questo posto ci fosse. Lo hanno tenuto nascosto, del resto era già promesso a una raccomandatissima, un'amica degli amici, una che non ha letto un rigo di Claus Gatterer, che ignora chi sia Norbert Kaser, che probabilmente nemmeno riesce a mangiare un pezzettino di Graukas perché “puzza di stalla”. A una così, l'hanno dato il posto. Una che ha detto: “Adesso imparerò qualche parola di tedesco”. Sì, come no. E allora cominci da questa: Scheiße.