Sul web gli zombie nazifascisti augurano la morte in forno al senatore Liliana Segre; qui da noi un manipolo di lemuri attribuisce al medico monolingue il decesso di un paziente: il cadavere e il biglietto attaccato al piede.
In quegli stessi giorni, a Milano, la gente si è divertita un sacco.
A Sinnermania ormai conclamata, il palazzetto era strapieno. Striscioni in italiano, in inglese, in tedesco. Uno di questi dice: “Terlano e Jannik =l a SINNERgia perfetta”.
In campo il ragazzino tritura gli avversari. Botte di rovescio sulla linea, seconde di servizio lunghissime, legnate di dritto devastanti. In finale asfalta il numero 18 del mondo, l'australiano Alex de Minaur. Sinner è appena entrato tra i primi 100. Si rilassa quando deve ma è un killer lì dove il punto conta.
Si veste sempre uguale, calzoncini viola e maglietta blu. Sembra uscito da un cartone animato degli anni Ottanta
“Guarda...io sono uno con poche parole...”, dice al cronista che a match concluso gli spinge il microfono sotto il naso (fateci attenzione: inizia ogni sua frase con “guarda”). Si interrompe, sorride, la gente applaude.
Si veste sempre uguale, calzoncini viola e maglietta blu. Ha un elegante nasino all'insù, capelli color carota, un sorriso birichino. Fa passi lunghissimi. Sembra uscito da un cartone animato degli anni Ottanta.
Ricorda Alberto Tomba, quando parla: due frasi messe in fila a stento. Ma il bolognese per il resto era un guascone. Gesti plateali, presenza strabordante, spacconate in strada, figo nel vestito.
Di Jannik dicono invece che sia schietto, semplice, schivo. Ricorda piuttosto Gustav Thoeni. Laconico e concreto. Come lui, ha un nome facile da pronunciare, anche per italiani e inglesi (mia nonna, veneta, Thoeni lo chiamava Toni). Come lui nello sci, Sinner nel tennis punta a diventare il numero uno. Sempre nello sci, un numero uno della velocità ce l'avremmo già: Dominik Paris. Ma il tennis, ormai, è molto più globale. Roma e Bolzano, New York e Londra.
L'allenatore di Sinner si chiama Piatti. Durante la partita prende una cuffia e gli parla.
“Non così, così non va Jannik”
“Lo so, lo so cosa vuoi da me. Ma oggi non ci riesco. Non sento la palla. Devo provarci di testa.”
“Ordinato, mi raccomando, ordinato.”
Compito eseguito, torneo vinto e 326.000 euro in tasca.
Di Jannik dicono invece che sia schietto, semplice, schivo. Ricorda piuttosto Gustav Thoeni. Laconico e concreto
La settimana dopo è a Ortisei. Nevica, il palazzetto è strapieno. Vince, rivince. Da Sesto sono arrivati in tanti. Tutti con il berrettino azzurrogrigio del fan club. A Partita finita firma autografi e scatta selfie. Io sono con il cronista dell'Alto Adige. Ci avviciniamo a bordo campo per chiedergli due parole.
“No, stasera, no”, dice Jannik.
E' già una stella e per i prossimi anni ci sarà da divertirsi.