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“Un reddito di base incondizionato”

L’idea di Michele Buonerba (Sgb-Cisl): cogliere l’occasione dell’emergenza Covid-19 per riformare i sussidi provinciali. Il dramma, ad aprile persi 14.000 occupati.
Buonerba, Michele
Foto: Sgb-Cisl

salto.bz: Michele Buonerba, segretario generale della Sgb-Cisl, tra le risposte per questa difficile ripartenza dal Covid-19 la giunta provinciale si sta occupando di un reddito di base per chi è rimasto senza lavoro e tutele. Ma cosa non è sufficiente secondo lei?​

Michele Buonerba: partirei proprio da ciò che intende fare la giunta Kompatscher in questi ultimi giorni Nella riunione di questa settimana (oggi, ndr) dovrebbe arrivare sul tavolo dell’esecutivo la delibera per il reddito di base di tre mesi, una risposta valida tre mesi a circa 5-6.000 persone, secondo i calcoli, che sono tutti coloro che, colpiti dal lockdown, non hanno nessun’altra copertura. Pensiamo a coloro che non hanno potuto iniziare la stagione turistica a marzo-aprile, ai lavoratori dell’agricoltura, agli stagionali dell’edilizia. Persone che ora non hanno nulla e per cui un sostegno monetario è fondamentale. Ma proprio per il fatto che siamo ad un punto di svolta per l’Alto Adige, propongo di cogliere l’occasione della ripartenza dal coronavirus per ripensare e razionalizzare tutto il sistema dei sussidi provinciali, oggi composto da 18 prestazioni a cui si aggiungono quelle statali. Troppe. Meglio introdurre un reddito di base senza vincoli e spiego perché a mio avviso è una riforma virtuosa.

Il reddito di base incondizionato sarà al centro del webinar, il seminario online di sabato prossimo organizzato da Big Merano 2020 (dalle 10 alle 12). Prima però occorre partire dai dati. Gli ultimi numeri forniti dall’Osservatorio lavoro della Provincia sono drammatici: 14.000 occupati in meno ad aprile 2020 rispetto all’anno precedente. In che modo vanno letti?

La perdita è drammatica, va però considerato che non tutti sono lavoratori residenti in Alto Adige, visto l’alto numero di persone impiegate nel turismo e coloro che abitano nel resto d’Italia e all’estero e vengono per lavorare. Il crollo nel settore alberghiero, -11.233 occupati, parla da solo, ma all’80% sono persone residenti fuori. Questo naturalmente non toglie nulla alla difficoltà del quadro e delle storie personali. Possiamo però stimare che l’impatto della crisi sull’occupazione nel territorio altoatesino è di 6-7.000 occupati in meno. Una cifra molto consistente ma a cui il sistema pubblico può e deve dare risposta.

 

 

Tenendo a mente questi numeri e tornando al reddito di base, perché una riforma proprio ora?​

È una cosa che si chiede da tempo e prima o poi va fatta. Partiamo dal contesto del nostro welfare: abbiamo un sacco di provvidenze sociali, circa 18 quelle della Provincia di Bolzano, a cui si sommano gli aiuti statali. Assegni familiari, detrazioni, reddito minimo di inserimento, oltre naturalmente al reddito di cittadinanza nazionale che ne rappresenta un’alternativa. Queste misure tutte di natura monetaria sono selettive. Ogni prestazione ha un suo requisito e per averla occorre sottoporsi ad un iter burocratico. Noi come Sgb-Cisl da tempo abbiamo deciso che è giunta l’ora di fare un’operazione diversa, più forte. Appunto un reddito di base per tutte le persone che non hanno lavoro, senza condizioni.

L’Alto Adige ad aprile 2020 ha perso 14.000 occupati, di cui 6.000 residenti. Questa è l’occasione per riformare il sistema dei sussidi, che ora sono troppi

L’assenza di condizioni non favorisce l’inattività di chi riceve l’aiuto?​

No, io sono convinto che tutti per la maggior parte hanno interesse a rientrare nel mercato del lavoro. Inoltre la proposta porta diversi vantaggi. Da un lato abbatte la burocrazia insita dietro le altre richieste di contributi, che nella proposta rimangono come integrazione del reddito di base. Dall’altra mette con le spalle al muro i “professionisti del sussidio”.

Perché?​

Perché ci sarebbe un’unica condizionalità, il vincolo alla qualificazione professionale che è un altro tema su cui l’Alto Adige deve fare un passo in più. Accanto al reddito di base incondizionato va pensata l’introduzione finalmente seria delle politiche attive del lavoro che non sono mai state pienamente attuate in questa provincia. Malgrado la norma di attuazione con la delega sugli ammortizzatori sociali, che consente una piena autonomia al riguardo, risalga al 2013. 

 

 

Come funziona il reddito di base incondizionato nella vostra proposta?

Una cifra di 6-800 euro, che certamente non fa diventare ricchi, per una platea di scoraggiati che nell’epoca pre-Covid arrivava a 5-6.000 persone, individui che non avevano un lavoro e che non avevano più diritto ai sussidi. Di questi circa 3.000 erano la quota costante di cittadini assistiti.

Un reddito di base senza altri vincoli se non la riqualificazione. È la soluzione più virtuosa anche per la carenza di manodopera: pensiamo alle professioni sanitarie e della cura

Ora i numeri però sono scoppiati. Solo con una platea di 6.000 persone, e abbiamo visto che ora è raddoppiata, la Provincia dovrebbe mettere sul piatto quasi 60 milioni l’anno. Il reddito di base incondizionato è sostenibile nella ripartenza?

Io penso di sì, perché bisogna considerare le conseguenze dell’unificazione. Le risorse adesso sono spalmate in un sistema frammentato, ma la riforma avrebbe l’effetto di far risparmiare sulle altre voci. Il conto va quindi fatto considerando tutte le spese per i 18 capitoli del welfare. La nuova distribuzione porta maggiore efficienza. E poi è una spesa che va fatta. L’Olanda è un modello che possiamo prendere ad esempio. Anche perché è tempo di cambiare il nostro welfare novecentesco e tararlo sulle esigenze del mercato del lavoro e della società del terzo millennio. 

Un’epoca di lavoro meno garantito?

Esatto. Il welfare attuale ha origini che risalgono al Novecento, ma oggi abbiamo un mercato fatto di salari bassi, impieghi precari e discontinui, continue entrate e uscite dal tessuto produttivo e dai servizi. Questo naturalmente non per tutti, ma per una parte consistente della popolazione in età attiva. Ecco perché occorre una risposta moderna e innovativa, che sommi anche la parte delle politiche attive del lavoro. Siamo al paradosso per cui abbiamo persone che non riescono a riqualificarsi e tanti settori con un’enorme carenza di manodopera qualificata. C’è domanda ma poca offerta.

Il nostro welfare nato nel Novecento deve riformarsi in un’epoca di impiego precario. La giunta provinciale fa bene, ma bisogna investire nelle politiche attive del lavoro

Da quali settori partire?​

Dalla cosiddetta white economy, la filiera delle attività di cura alla persona che ha già una visibile carenza e che sarà un settore in espansione visto l’invecchiamento demografico. Penso a infermieri, per non dire i medici ma è un’altro discorso, gli operatori socio-sanitari o Oss. Tantissimi sono stranieri in questo momento nelle case di riposo locali, infatti stiamo importando manodopera dall’estero. Questo è un esempio di dove può avere successo la riqualificazione di coloro che hanno perso un impiego magari nell’industria o in altri comparti.

Tornando alle risposte per la crisi economica la giunta non sta facendo abbastanza?​

Si può migliorare proprio nelle direzioni che come Sgb-Cisl stiamo indicando. È in discussione tra i sindacati e l’esecutivo questo aumento in deroga per tre mesi della Naspi, la disoccupazione. Ma non si parla di politiche attive del lavoro. Dunque, cogliamo l’occasione per una vera riforma del sistema. Mi pare che lo si stia capendo. È una grande sfida e la possiamo vincere.

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Karl Gudauner Sa., 09.05.2020 - 23:38

È incondizionato un reddito di base (BGE o UBI), al quale hanno diritto tutti i cittadini e le cittadine fin dalla nascita. Un reddito di sussistenza legato alla mancanza di un reddito per affrontare la vita quotidiana e/o all'impegno per l'inserimento nel mondo del lavoro come il REI è legato a condizioni. L'ultima variante del REI, il reddito di cittadinanza, è sempre legato a condizioni, ma, avendo il precedente governo giocato astutamente su un'etichettatura farlocca, dalla gente è probabilmente percepito come reddito di base incondizionato. Ciò è dovuto anche alla mancanza, in buona parte del territorio dello stato, di un servizio di collocamento adeguatamente strutturato, di offerte di (ri-)qualificazione professionale, ed, infine, di correspondenza tra offerta e domanda di lavoro, se non di assenza di domanda di lavoro. Il reddito di cittadinanza è un cavallo di battaglia del M5S, per cui la coalizione farà fatica a rimodularlo per rispondere alle esigenze della crisi causata dal corona virus.

Sa., 09.05.2020 - 23:38 Permalink