Scuola bilingue e dilettantismo politico
Il dibattito sulla scuola bilingue ha il carattere dell’inesauribilità. Viaggia a traino degli umori e delle convenienze politiche ma anche delle persone che suggeriscono nuovi approcci al passo con l’evoluzione naturale della società, contestando gli intoccabili simulacri. Fra queste il costituzionalista nonché ex senatore della Repubblica Francesco Palermo, che su sollecitazione dell’ex ispettore dell’intendenza scolastica tedesca per la seconda lingua Marco Mariani e della presidente del Forum democratico Barbara Repetto, aveva depositato a Palazzo Madama, nel febbraio 2017, una proposta con la quale si chiedeva l’integrazione dello Statuto di autonomia introducendo un secondo comma nell’articolo 19.
L’obiettivo era (ed è) l’istituzione di classi bilingue in tutte le scuole di ogni ordine e grado con il vincolo di almeno 15 iscrizioni. “La strada è spianata - fa notare il professor Mariani - la proposta è già pronta, se qualche esponente politico altoatesino volesse farla propria non deve fare altro che sottoscriverla e può ripresentarla sia alla Camera che al Senato”. Bontà loro.
salto.bz: Professor Mariani, sono trascorsi quasi due anni da quando è stata proposta la modifica all’articolo 19 dello Statuto di Autonomia, ma nulla si è mosso da allora. Da dove si riparte?
Marco Mariani: Dalla nostra proposta. Proposta che nella conferenza stampa di venerdì 14 dicembre abbiamo nuovamente sottoposto all’attenzione degli organi di informazione. È la stessa che avevamo presentato quasi due anni fa e che non ha avuto seguito sia perché è stata presentata in Senato nell’ultimo scorcio della precedente legislatura, e per questo motivo non ha potuto essere materialmente presa in considerazione, e sia perché non c’è stata la sufficiente adesione e il necessario sostegno da parte delle forze politiche sudtirolesi rappresentate in Parlamento. I dati di esperienza e di realtà ci dicono che ancora oggi, come allora, non è comunque facile poter contare su un ampio consenso da parte della politica locale. Eppure sono convinto che se di un tema non si parla significa che questo tema non esiste, perciò era prioritario allora e a nostro avviso lo è ancor oggi, risollevarlo e ridiscuterne.
La Lega altoatesina però ha detto che la scuola bilingue non è un obiettivo, allineandosi alla conclamata visione della Svp. Se il Carroccio dovesse entrare in giunta calerà il sipario sulla vostra iniziativa?
Durante la campagna elettorale per le provinciali non sono mancati i riferimenti di alcuni partiti politici anche alla scuola bilingue. I Verdi in primo luogo che, per loro vocazione naturale, ne hanno sempre fatto una loro bandiera, ma si sono espressi favorevolmente anche la Lega e gli esponenti del Team Köllensperger e tutti avevano dichiarato, senza troppi tentennamenti, che per loro la questione era fondamentale e irrinunciabile. Che si trattasse di mere promesse elettorali era chiaro, ma resta il fatto che il consenso sociale intorno all’ipotesi di istituire la scuola bilingue resta alto. Il fatto che qualche formazione politica non ne parli già più è sintomo di dilettantismo e di opportunismo.
Magie del “promessificio” elettorale.
Le promesse elettorali e il loro mancato mantenimento sono sempre esistiti, ne sono consapevole. In particolare, credo che non sia il caso di farsi troppe illusioni su ciò che un nuovo partito, in predicato di entrare nell’area di governo, possa realizzare autonomamente o addirittura in dissenso con il più potente partner di giunta. Penso che questa formazione politica abbia saputo illudere bene gli elettori utilizzando anche la sirena della scuola bilingue per raccogliere il consenso intorno a sé, mostrandosi per speculum et in spiritu ottima maestra di lusinghe, ma sono altrettanto convinto che lo spregiudicato calcolo politico, già dimostrato in situazioni anche molto più delicate e tragiche, le avrà già suggerito di allinearsi opportunisticamente alle richieste del partito di maggioranza abbandonando, nel solo volgere di pochi giorni, l’interesse per una scuola alternativa. Devo anche dire, però, che forse anziché riferirci alle sole forze politiche italiane per ottenere il sostegno che cerchiamo, e dato che la Svp non sembra avere interesse a concederlo, dovremmo cercare di trovare sponda presso il partito interetnico dei Verdi, che da sempre hanno sostenuto l’idea di un modello di scuola bilingue, e ai loro referenti in sede nazionale. Si potrebbe poi anche fare il tentativo di interloquire con il movimento politico di Paul Köllensperger. Lo straordinario successo elettorale ottenuto nell’ultima consultazione elettorale lascia supporre che ci sia quantomeno un’inclinazione verso un’evoluzione innovativa all’interno della politica locale del gruppo di lingua tedesca. Staremo a vedere in che direzione e soprattutto staremo a vedere se questo nuovo team politico saprà interpretare adeguatamente la richiesta di una scuola bilingue che sale a gran voce anche dal mondo economico e dalle famiglie di lingua tedesca del capoluogo.
Penso che la Lega abbia saputo illudere bene gli elettori utilizzando anche la sirena della scuola bilingue per raccogliere il consenso intorno a sé
Ma con la Svp in cabina di regia quella della scuola bilingue non le pare un’ipotesi inverosimile?
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, io credo che anche nella Volkspartei sia in atto un dibattito sul tema. Da ispettore responsabile per la seconda-lingua presso l’Intendenza scolastica per la scuola tedesca, sono stato l’estensore materiale di quella delibera che nel 2013 ha aperto la strada all’insegnamento con modalità didattiche CLIL. Ebbene, anche in quel caso si pensò che ci sarebbe stata una levata di scudi da parte della Svp per impedirlo. Poi invece nella Parteileitung si innescò una vivace e approfondita discussione e alla fine è stato dato il via libera.
Largo all’ottimismo, dunque?
Mettiamola così: io presumo che sia vantaggioso e doveroso da parte della Volkspartei prendere in esame la questione. Premetto di essere un convinto autonomista e credo che la Svp abbia rappresentato un baluardo straordinario per la libertà e per il sostegno dei diritti della popolazione sudtirolese, dopo le angherie subite nel ventennio del regime fascista e anche nei primi anni della Repubblica. Credo anche che lo Statuto, frutto delle trattative dell’epoca con il governo di Roma, sia congegnato bene, così come è congegnato bene l’articolo 19 che poggia su principi e soluzioni tecniche certamente efficaci. Con quell’articolo è stata ufficializzata l’istituzione della scuola monolingue in lingua tedesca, riconoscendo in tal modo il diritto alla parificazione della cultura e della lingua della popolazione sudtirolese. Fu un passo eccezionale.
E lo Statuto applicato al presente?
La legge fondamentale su cui si fonda l’autonomia della Provincia di Bolzano compie 46 anni e si avvia trionfalmente alla celebrazione del suo mezzo secolo di vita. Ha svolto una precisa funzione storica ovvero quella di restituire dignità e valore all’identità del cittadino sudtirolese, libero di usare finalmente la sua lingua in via ufficiale in tutte le varie situazioni quotidiane. Un’analisi più attenta della situazione ci mostra però chiaramente che l’articolo 19 è in parte divenuto il paradigma virtuale, storicamente superato dai fatti, di una situazione sociale e scolastica che ha subito evoluzioni e trasformazioni considerevoli. Ciononostante noi non chiediamo la modifica di quanto già contenuto nell’articolo 19, ma l’integrazione di questo articolo con una norma che preveda anche un nuovo e alternativo modello di scuola e che contenga in sé un adeguamento alla realtà effettiva della società attuale che non è più costituita da due gruppi linguistici ma anche da una presenza massiccia di persone che non appartengono a queste due categorie oppure che appartengono a entrambe, e mi riferisco in tal caso ai mistilingue. L’esigenza di soddisfare anche questa parte della popolazione non dovrebbe essere ignorata. La vera sfida, in sostanza, è di accogliere finalmente una nuova interpretazione del concetto di tutela in grado di contemperare sia i diritti di una soggettività collettiva, cioè della minoranza linguistica e culturale, che quelli delle soggettività individuali ovvero della persona. E c’è anche un altro aspetto da considerare.
Sarebbe vantaggioso e doveroso da parte della Volkspartei prendere in esame la questione
Cioè?
La scuola tedesca attuale, soprattutto nel capoluogo e nei comuni maggiori, risulta di fatto diversa da quella che forse i legislatori dello Statuto avevano di fronte quando hanno stilato lo strumento giuridico per la tutela della minoranza sudtirolese. La società si è naturalmente evoluta, e le richieste di oggi sono altre rispetto a quelle di 50 anni fa. Soprattutto nei centri urbani la scuola tedesca ha perso il suo fattore di autenticità perché è divenuta punto di riferimento per l’iscrizione di moltissimi alunni che non sono di madrelingua tedesca. Questa scuola è diventata di fatto una scuola mista e conserva solo in parte le caratteristiche di una scuola deputata alla tutela dei diritti linguistici di una minoranza.
Penso che con l’andare del tempo questo dato di realtà diventerà soverchiante rispetto alla società a cui ormai solo virtualmente si ispirano i principi dell’articolo 19. I rappresentanti della Svp e di Team Köllensperger, le due formazioni che insieme raccolgono quasi l’intero consenso del gruppo tedesco, dovranno convenire che se si vuole ricostruire una scuola davvero identitaria del gruppo sudtirolese sarà necessario ampliare il ventaglio delle opzioni possibili del sistema scolastico della nostra provincia, in modo che chi vuole imparare l’altra lingua non affolli le scuole dell’altro gruppo e chi vuole essere formato e istruito in due lingue lo possa fare.
Tutto condivisibile sul piano teorico…
Mi rendo conto che è difficile incidere in termini tanto innovativi sullo status quo, perché vengono coinvolte sensibilità politiche e culturali profonde che sono alla base di un contenzioso storico non ancora esaurito. Questioni così delicate, che toccano capisaldi ritenuti intangibili, hanno bisogno di tempo per affermarsi. Il punto è cominciare a trattare l’articolo 19 non più come un oggetto di culto, immodificabile, ma come uno strumento sensibile, in grado di accogliere anche nuove soluzioni idonee a fornire adeguata tutela ai mutamenti della realtà. È certamente vero che i principi che contiene sono inequivocabilmente “sacri” ma allo stesso tempo questa sacralità ammette anche la compresenza di alternative di sistema.
Come si spiega il fatto che in un Alto Adige a forte vocazione europea, che rivendica regolarmente il suo ruolo di ponte naturale fra il Nord e il Sud d’Europa, oggi una scuola bilingue, riservata solo a chi la chiede, possa rappresentare una minaccia?
Ciò che è stabilito nell’art. 19 è talmente radicato nella cultura locale che non corre alcun pericolo. In passato si paventava sempre il rischio che un’eventuale interpretazione estensiva dell’articolo potesse portare a vanificarne il potere. Ma la realtà non è questa, e un esempio lampante è rappresentato da quella reinterpretazione data a una delle norme contenute nell’articolo 19 secondo cui la seconda lingua deve essere appresa dalla seconda o dalla terza elementare. Secondo l’interpretazione dominante, durata per decenni, si è sostenuto che la prima elementare fosse quindi in questo senso “off limits”, ma era evidente, anche attraverso l’analisi del semplice dato letterale, che non c’era alcun divieto all’anticipazione dell’apprendimento. La questione è poi caduta nel 2004 e oggi si insegna la seconda lingua anche nella prima classe elementare, con lo Statuto che è rimasto invariato.
Il punto è cominciare a trattare l’articolo 19 non più come un oggetto di culto, immodificabile, ma come uno strumento sensibile, in grado di accogliere anche nuove soluzioni idonee a fornire adeguata tutela ai mutamenti della realtà
Torniamo sul ruolo della scuola.
Le scuole hanno fatto tutto il possibile, anche più di ciò che spettava loro, con buona pace di chi afferma il contrario. La scuola ha proposto progetti, sperimentato, innovato. Non c’è strategia didattica che le scuole non abbiano adottato per favorire l’apprendimento della L2. Il problema è che la scarsa competenza della seconda lingua, indifferentemente se sia l’italiano o il tedesco, non è imputabile a una didattica carente o a un insufficiente impegno da parte delle istituzioni scolastiche, ma a una diffusa indisponibilità emotiva - che impedisce un’autentica motivazione all’apprendimento – indotta dal clima politico. Ho già avuto modo di sostenerlo in più occasioni. I fattori di disturbo all’apprendimento della L2, originati dal clima politico e sociale, risultano costantemente descritti dagli studi scientifici che prendono in esame le aree in cui vivono popolazioni di lingua diversa. Il commento sociolinguistico all’ultima rilevazione scientifica dell’EURAC (Kolipsi II del 2017), per riferirci ad uno studio che riguarda proprio la nostra provincia, lo dichiara espressamente. Per favorire l’apprendimento di una lingua-seconda bisogna abbattere i muri psicologici esistenti fra l’individuo e il mondo dell’altro. E i muri si abbattono quando dall’alto arrivano segnali di distensione e quando c’è una sincera e reale apertura politica alla risoluzione di un problema.
A proposito di motivazione basterebbe guardare al successo del modello ladino.
Certamente. I ladini non hanno perso la loro identità e hanno solo guadagnato in capacità comunicativa. Il modello quindi funziona e funzionerebbe per tutti.
I dati emersi dalla rilevazione Kolipsi II, poi, non devono far riflettere solo il gruppo italiano perché la diminuzione della competenza linguistica che si è registrata nelle scuole tedesche è anch’essa molto significativa, e direi molto preoccupante, rispetto alla rilevazione di dieci anni prima. Da parte delle famiglie italiane, soprattutto a Bolzano e nei Comuni maggiori, la richiesta di una formazione bilingue, e conseguentemente di una scuola bilingue, è forte. Per la compagine tedesca che vive nelle valli, in quelle zone in cui la presenza italiana è ridotta quasi al minimo o addirittura assente, l’esigenza di comunicare con l’altro gruppo non è molto sentita e forse neppure esiste. In quel contesto è anche più debole la domanda di bilinguismo, mentre la situazione cambia radicalmente nelle aree in cui l’incontro c’è e infatti i concittadini di lingua tedesca che vivono nei centri urbani chiedono da tempo un cambio di passo. Ci sarebbe poi un altro buon motivo per perorare la nostra causa, direi un’esigenza di coerenza.
Per favorire l’apprendimento di una lingua-seconda bisogna abbattere i muri psicologici esistenti fra l’individuo e il mondo dell’altro. E i muri si abbattono quando dall’alto arrivano segnali di distensione e quando c’è una sincera e reale apertura politica alla risoluzione di un problema
Quale?
Il bilinguismo è obbligatorio per accedere agli impieghi pubblici. Perché allora non si fornisce anche un’adeguata scuola bilingue? L’esperienza ha evidenziato che l’attuale modello di insegnamento della L2 nell’ambito di un sistema scolastico monolingue, pur potenziato e ispirato alle più avanzate modalità didattiche, non consente di raggiungere il grado di competenza necessario ad una effettiva bilinguità. Che si aspetta per prenderne atto e per battere una strada alternativa?
La scuola ha dunque già sparato tutte le sue cartucce per favorire l’apprendimento della seconda lingua, ma ritiene che il sistema altoatesino faccia abbastanza per promuovere occasioni di incontro fuori dal contesto scolastico?
Questo è un tema delicato, perché investe la libera determinazione delle singole persone e delle formazioni associative con cui ogni cittadino si confronta. L’incontro in contesti spontanei e naturali non può essere indotto artificialmente o coattivamente. Prendiamo l’esempio di salto.bz, una testata bilingue in cui le due lingue sono equiparate anche nella pratica quotidiana e che ogni giorno propone articoli in italiano e in tedesco. La scelta del bilinguismo di questa testata di informazione è stata sicuramente determinata da una spontanea e libera manifestazione di volontà guidata da una convinzione ideologica in cui il bilinguismo rappresenta un fattore non prescindibile. Non è detto che per tutti una simile scelta sia di per sé positiva o facile da attuare. Se si desidera che una simile convinzione ideologica possa ispirare sempre più le forme di aggregazione sociale e le compagini associative che agiscono nella nostra società, e per quanto riguarda i giovani studenti nel cosiddetto mondo dell’extrascuola, è necessario che si forniscano esempi istituzionali in cui la formazione avviene sulla base di una effettiva equiparazione formale e sostanziale dell’uso delle due lingue. Questa istituzione-modello non può che essere la “scuola bilingue”, una scuola con carattere ordinamentale che risponda finalmente al diritto di chi desidera un’istruzione in due lingue.