Dalla Spagna a Bolzano come volontaria
Il Servizio Volontario Europeo, che oggi è stato sostituito dal nuovo programma Corpo Europeo di Solidarietà (CES), è un progetto co-finanziato dall'Unione Europea che offre ai giovani l’opportunità di scoprire un paese diverso dal proprio attraverso un periodo di volontariato internazionale con le realtà attive sul territorio. In questa puntata di Start Europe Up, Marta Barja, nata a Pamplona nel 1992 e laureata in Servizio sociale, ci racconta la sua esperienza a Bolzano, dove, tra il 2019 e il 2020, ha lavorato con La Strada - Der Weg nei servizi offerti dall'associazione, avvicinandosi anche a COOLtour, progetto già raccontato in questa rubrica dal nostro Gabriel Marciano.
salto.bz: Perché hai deciso di fare il Servizio volontario europeo?
Marta Barja: Mi sembrava una bella opportunità di fare volontario al di fuori del mio paese, dato che prima dello SVE lo avevo sempre fatto in Spagna. Si tratta di un’esperienza che può durare fino a un anno e che viene organizzata in base alle tue esigenze, e questo ti permette di fare tanto: conoscere la cultura del paese in cui vai, impararne la lingua, stringere rapporti con persone di altre nazionalità. Mi sembrava un progetto completo e molto stimolante, e perciò ho deciso di provare.
Cos'hai fatto quando sei arrivata a Bolzano?
Ho trascorso i primi mesi lavorando con i bambini: non sapevo parlare l’italiano e stare a contatto coi bambini poteva essere un buon modo per fare pratica. Ho conosciuto così i servizi della Strada dedicati ai più piccoli, come il Charlie Brown e Villa delle Rose, trascorrendo un po’ di tempo in ciascuno di questi per i primi due mesi. Poi mi sono spostata al Progetto Alba, attivo contro la tratta e lo sfruttamento delle persone. Qui ho lavorato un po' in ufficio, dando supporto per le faccende burocratiche a chi ne avesse bisogno, e un po' sul campo insieme alle persone coinvolte. Grazie a una mia raccolta dati abbiamo potuto realizzare una serie di grafici che abbiamo presentato in occasione della Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani. In quel periodo avevo le serate libere, e così ho pensato di fare volontariato anche a COOLtour. Mi piaceva molto ciò che facevano, le attività culturali che organizzavano, i concerti… e ho deciso di offrirmi per dare una mano quando ne avevano bisogno. Ricordo, per esempio, quando siamo andati al festival di Internazionale a Ferrara, dove abbiamo frequentato un laboratorio di fumetto raccontando sui social la nostra esperienza.
Che altre attività hai seguito a COOLtour?
Sono state tantissime. Abbiamo partecipato alla festa dei fiori in piazza del Duomo, dove abbiamo realizzato dei disegni; a diversi concerti, dando anche una mano in fase organizzativa; ad alcune mostre fotografiche delle ragazze e dei ragazzi di COOLtour; a Estatissima... Tra gli altri, ricordo soprattutto il progetto “Scampia on the road”: siamo stati dieci giorni a Napoli, a Scampia, con un’associazione che lavora nel quartiere, e abbiamo collaborato con ex detenuti e bambini, scoprendo le loro storie e raccogliendo informazioni sui loro bisogni e obiettivi. Poi abbiamo scritto un libro. Allora non parlavo ancora molto bene l’italiano, perciò mi sono occupata soprattutto delle fotografie. Più avanti siamo stati in Polonia, col Progetto Cracovia, dove abbiamo potuto visitare i campi di concentramento e la città. Con il materiale che abbiamo raccolto abbiamo proposto, al nostro rientro, alcune iniziative divulgative in occasione del Giorno della Memoria. Ma sono davvero tante le attività di COOLtour a cui ho partecipato, sia come spettatrice che come parte del team.
Cosa ti è rimasto di questa esperienza?
Ho donato il mio tempo agli altri, e questo mi ha fatta sentire molto bene. Tutto ciò che avevo studiato e imparato in Spagna, prima di partire, l’ho portato con me e ho potuto metterlo in gioco in Italia. Ho conosciuto tante persone di tanti paesi diversi: l’interculturalità è stata una parte fondamentale della mia esperienza. Non avevo mai lavorato con così tante persone di nazionalità diverse. Nel Progetto Alba, per esempio, la maggior parte delle ragazze coinvolte proveniva dalla Nigeria. Questo mi ha aiutata a empatizzare di più, a comprendere più a fondo le esigenze degli altri. Tutto questo mi è stato senz'altro utile anche una volta tornata in Spagna, ma non solo: adesso infatti sono di nuovo in Italia, a Bergamo, perché ho iniziato il Servizio Civile Universale, un progetto che mi porterà in Zambia non appena avrò il visto. L’esperienza del Servizio Volontario Europeo mi ha senz’altro aperto la mente.
Cosa significa, per te, sentirsi europei?
Per me, sentirmi europea significa sentirmi cittadina del mondo. Non esiste solo la Spagna, nonostante sia nata e cresciuta qui. C’è un mondo fuori. Prima del mio anno in Italia non era così: ero nata qui, avevo studiato qui, lavorato qui. Adesso, invece, i miei orizzonti sono cambiati. Ti faccio un esempio: quello che succede in Italia non è più una notizia lontana, che non mi riguarda, com’era prima. Adesso è come se fosse casa mia. Ed è per questo che ho deciso di fare anche il Servizio Civile Universale: per allargare sempre di più la percezione di quello che è davvero casa.