“Fake news, fenomeno trasversale”
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Da tempo ormai si sente parlare di hate speech e fake news. Sembra, infatti, che i social network abbiano fatto da apripista per entrambi i fenomeni, diventando enormi moltiplicatori di campagne d’odio e notizie senza fondamento. Nonostante l’arrivo dei social sia stato determinante e abbia funzionato da cassa di risonanza, hate speech e fake news sono ben più antichi di twitter, tik-tok o facebook, considerati spesso come i soli responsabili del depauperamento del dibattito. E se l’aspetto più indagato rimane quello dei rapporti tra persone, meno si guarda alle relazioni tra istituzioni e cittadini, sebbene siano state da sempre oggetto di campagne denigratorie e annunci sensazionali quasi mai verificati. A voler fare luce sul fenomeno è stata l’Unione Europea che, con una ricerca riguardante l’Italia e altri 7 paesi, tra cui Germania, Ungheria, Slovacchia e Austria, ha deciso di misurare la diffusione di hate speech e fake news nelle amministrazioni locali. In Alto Adige ad occuparsi della ricerca è stato l’Istituto per il management pubblico di EURAC Research: a raccontarci lo studio è la ricercatrice Veronica Moscon.
SALTO: Com’è nato il progetto?
Veronica Moscon: Il progetto è nato su iniziativa del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa, con l’obiettivo di monitorare le problematiche delle fake news e dell’hate speech nelle varie amministrazioni. Noi ci siamo occupati di tradurre, condividere e diffondere il questionario in Trentino-Alto Adige, per poi analizzarne anche i risultati.
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Come avete deciso di procedere?
Con un questionario online: le domande sono state sottoposte ad impiegati e politici delle molte amministrazioni, anche nei paesini più piccoli, in entrambe le province. Sono stati coinvolti tutti i 166 comuni del Trentino e tutti i 116 dell’Alto Adige, in una serie di quesiti che riguardavano non solo l’aspetto esterno della relazione con i cittadini, ma anche i rapporti interni, tra colleghi e gerarchie.
Il questionario era, però, diviso in due parti?
La sezione concernente l’hate speech ha permesso di riscontrare una diffusione importante non tanto nei social, come ci si immagina, ma anche a livello personale, che tende a colpire in maniera più forte donne e politici, rispetto all’amministrazione in senso più generale. Nel caso delle fake news, invece, il fenomeno è più trasversale e tocca alla stessa maniera i generi e i vari partiti.
Le donne sono comunque più sensibili all’argomento e sono in grado di individuare con maggiore facilità segnali, comportamenti e discorsi d’odio
Come nei social, le donne sembrano essere più soggette ad hate speech?
Questo è quello che abbiamo potuto osservare, ma abbiamo anche riscontrato che le donne sono comunque più sensibili all’argomento e sono in grado di individuare con maggiore facilità segnali, comportamenti e discorsi d’odio, riuscendo ad identificare maggiormente il problema.
Il questionario si è dimostrato, quindi, un buono strumento per cercare di comprendere la portata dei due fenomeni?
Dopo aver raccolto i dati, abbiamo deciso di diffonderli in maniera trasparente, prima a livello locale, per alimentare la discussione e poi a livello europeo, per integrare e confrontare i dati del Trentino Alto Adige con quelli degli altri 7 paesi.
Il progetto si pone nella prospettiva più ampia del contrasto a fake news e hate speech?
La spinta dell’UE è un passo avanti verso una visione d’insieme. In Alto Adige e in Trentino ci sono diverse iniziative a livello provinciale e comunale, ma sono spesso messe in atto in maniera separata, con il rischio concreto che si diffondano solamente tra piccole platee. Un buon antidoto sarebbe una maggiore coordinazione, a partire da quella tra Trento e Bolzano, per accrescere la partecipazione.
Le fake news tendono a diffondersi con più forza proprio quando c’è minore trasparenza e minore fiducia nelle istituzioni
Un modo per rinforzare la vicinanza tra istituzioni e cittadini?
Interpretando i dati della ricerca abbiamo riscontrato che le fake news tendono a diffondersi con più forza proprio quando c’è minore trasparenza e minore fiducia nelle istituzioni. Un intervento strutturale, che sappia coinvolgere non solo le pubbliche amministrazioni ma anche i cittadini non può che tradursi in effetti benefici su tutti noi, rafforzando il dialogo democratico in maniera trasversale.