“Questi sono crimini di guerra”
Quando si indica la luna lo stolto guarda il dito. E quando si punta ai massacri compiuti dall’esercito israeliano la tentazione di preferire la contemplazione dei razzi di risposta lanciati dal movimento palestinese di resistenza di Hamas non accenna a tramontare. Razzi che, in quei rari casi in cui non vengono intercettati dall’intelligence di cui si serve il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu, senza ombra di dubbio possono colpire e talvolta uccidere. Sono infatti dieci le vittime riportate finora in quelli che il mainstream ci invita a chiamare scontri tra le due fazioni.
Spostandoci a Gaza, quel fazzoletto di terra di circa 360 chilometri quadrati in cui, come in una prigione a cielo aperto, vivono bloccati e senza possibilità di fuga quasi due milioni di persone, il numero e il tipo di vittime registrate negli ultimi giorni ci potrebbe indurre a mutare il modo in cui, troppo spesso, tendiamo a definire lo sciame di avvenimenti che da decenni si sta abbattendo sulla Palestina.
Secondo le cifre aggiornate a oggi, 19 maggio sono stati uccisi a causa dei bombardamenti messi in atto dai raid israeliani 212 gazawi, di cui 61 bambini e 35 donne. Oltre 1500 sono i feriti, più di 40 mila gli sfollati. 450.000 civili sono allo stremo, le ONG riferiscono che manca cibo, acqua pulita e servizi igienici. Molti pozzi d’acqua e stazioni di pompaggio sono stati danneggiati dai bombardamenti israeliani dai bombardamenti che, oltre a danneggiare la rete idrica, hanno messo fuori uso la centrale elettrica che alimenta gran parte degli edifici lungo tutto il resto della Striscia, rimasti da giorni al buio.
Sono giorni concitati in cui la crepa che delinea i confini della nostra società si è ormai fatta frattura. Le istituzioni occidentali e i partiti di qualsiasi ordinamento politico in maniera pressoché compatta non hanno esitato a schierarsi a fianco dello stato israeliano, sollecitati in particolar modo dalla narrazione messa in atto dai principali media di comunicazione, servizio pubblico compreso. L’altra parte di storia la stanno raccontando soprattutto i media indipendenti, grazie anche ai social network capaci di metterci in connessione direttamente con chi, quei bombardamenti, li sta subendo e documentando, assieme a una parte non indifferente di società civile che in questi giorni sta affollando le piazze di tutto il mondo a fianco del popolo palestinese, che non respira dal 1948, come si legge sui tanti cartelli e striscioni sorretti dai manifestanti intenti a denunciare la rinnovata aggressione da parte di Israele.
A farci da guida in questa intricata matassa di violenza e disinformazione è Cecilia Dalla Negra, giornalista indipendente che da anni racconta la Palestina e i movimenti che la animano.
Perché torniamo a parlare di Palestina
Per far capire cosa sta succedendo a Gaza in questo momento, il racconto di Dalla Negra comincia dalla città di Gerusalemme qualche settimana fa, dove vivono circa 330 mila palestinesi. È il mese sacro del Ramadan. La sera, dopo una giornata di digiuno, si è soliti uscire, anche per allontanarsi dalle piccole, maltenute e sovraffollate abitazioni. La porta di Damasco, detta Bab al-Amud, rappresenta uno dei punti di congiunzione tra la Città Vecchia e i quartieri palestinesi, nonché uno dei pochi luoghi di aggregazione che gli abitanti attraversano. L’accesso viene però interdetto dalle forze israeliane, motivi di sicurezza, spiegano, e non è nemmeno la prima volta. Ma a fomentare la rabbia, che pulsa soprattutto sotto la pelle dei più giovani, sarebbe stata la marcia che un gruppo di ebrei ortodossi e ultranazionalisti avrebbe organizzato, sfilando al grido di “morte agli arabi” nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est.
In uno di questi, Sheik Jarrah, lo scorso due maggio diverse famiglie avrebbero ricevuto l’ordine di abbandonare le proprie case in favore di alcuni coloni israeliani. “Non chiamateli sfratti - puntualizza Dalla Negra -, perché questo termine implica che ci sia un altro proprietario, che fa pagare l’affitto e procede in seguito a un’insolvenza. Questo non è assolutamente il caso. Gerusalemme Est non è Israele, gli abitanti che sono stati cacciati violentemente dalle proprie case ne sono i legittimi proprietari. Stiamo assistendo all’ennesima espulsione di intere famiglie da un quartiere ritenuto strategico, in linea con il processo di dearabizzazione portato avanti dal disegno sionista. Israele sta occupando illegalmente quei territori”.
Per raccontare questo conflitto senza ridurlo a mero derby tra mondo arabo ed ebraico è importante adottare la lente dei diritti umani
Oltre a questo, la notte tra il il 7 e l’8 maggio, l’ultimo venerdì di Ramadan, la polizia ha fatto irruzione sulla Spianata delle Moschee e ad al-Aqsa sparando proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro i palestinesi, lanciando poi granate assordanti contro i medici che tentavano di soccorrere i feriti, circa duecento. “In una situazione come questa - continua Dalla Negra - è normale che si verifichino episodi conflittuali. È stato in questo contesto che da Gaza sono partiti i lanci di alcuni razzi, ma quello che non è assolutamente normale è la reazione sproporzionata messa in campo sin da subito dalle forze israeliane. Sui media si sente parlare di scontri, addirittura di guerra civile. Quando Israele annuncia di aver neutralizzato un obiettivo terroristico nella realtà dei fatti ha fatto crollare un palazzo popolato da civili, massacrando bambini e le loro famiglie. Questa è un’aggressione, questi sono crimini di guerra”.
“La tragedia di essere vittime delle vittime”
Sono passati diversi anni da quando Moni Ovadia in una famosa intervista spiegava che uno dei motivi per il quale Israele riusciva a portare avanti il proprio operato, anche quando assumeva tratti criminali, era il porsi sempre e comunque come la vittima.
“Non solo ha ragione - riprende Dalla Negra - ma ricama i concetti di un altro grande scrittore, Edward Said, che parlava proprio dell'immane tragedia per i palestinesi di essere vittime di quelle che furono vittime a loro volta. Come se i palestinesi c'entrassero qualcosa con la Shoah. Come se il processo di colonizzazione sionista non fosse cominicato già dal 1800. C’è un problema di profonda ignoranza storica ma anche di interessi economici e commerciali con il resto del mondo occidentale non indifferenti. Per raccontare questo conflitto senza ridurlo a mero derby tra mondo arabo ed ebraico - aggiunge la giornalista - è importante adottare la lente dei diritti umani. Esiste un diritto internazionale, che si è già pronunciato più volte sulla condotta criminale di Israele: applichiamolo”.
L’insostenibile scorrettezza dell’informazione
La Palestina brucia sotto gli aerei dell’esercito israeliano ma anche sotto le menzogne di chi la sta raccontando. “Un giornalismo serio fa ricerca di verità e scende da cavallo”, scriveva l’autrice di una lettera aperta pubblicata sul quotidiano Il Manifesto e indirizzata a direttori e corrispondenti dei media italiani per denunciare le manipolazioni e le gravi omissioni che si insidiavano nel racconto di quanto stava accadendo a Gaza e nei Territori Occupati sin dai primi istanti. A rendere ancora più difficile l’accesso a una corretta informazione sulla Palestina ci pensa direttamente il governo di Israele, bombardando prima il palazzo dei media a Gaza, che ospitava la sede di Al Jazeera e Associated Press, e successivamente bloccando le richieste di accredito dei giornalisti stranieri.
“Mi occupo di Palestina da più di 15 anni, sono abituata a un tipo di narrazione poco trasparente e decisamente filo israeliana ma oggi come oggi siamo arrivati a un punto di non ritorno - denuncia ancora la giornalista -. Qui non si tratta più di cattiva informazione, c’è una volontà scientifica e ben precisa nel voler fare disinformazione: come è possibile per un media appartenente al servizio pubblico affidarsi quasi esclusivamente alle fonti dell’esercito israeliano? A Gaza non ci sono giornalisti internazionali ma fortunatamente - conclude - i social network consentono di ottenere materiale di prima mano direttamente dai locali che stanno vivendo quest’inferno e che riescono così a denunciare così le condizioni drammatiche in cui sono costretti”.
Mah, a mio parere,
Mah, a mio parere, giornalista tanto indipendente non sembra.
In reply to Mah, a mio parere, by Oskar Egger
Forse indipendente nel senso
Forse indipendente nel senso che non si limita a pubblicare le notizie "ufficiali", ovvero quella parte di verità che Israele vuole che il resto del mondo sappia. Per fortuna ci sono ancora giornalisti investigativi che vanno più a fondo e pubblicano anche l'altra parte della verità, quella imbarazzante, quella raccapricciante, come "212 gazawi morti, di cui 61 bambini e 35 donne. Oltre 1500 sono i feriti, più di 40 mila gli sfollati. 450.000 civili sono allo stremo, le ONG riferiscono che manca cibo, acqua pulita e servizi igienici." Quando leggo queste cose mi vergogno di appartenere alla specie dei sapiens, unica specie al mondo capace di queste barbarie!
In reply to Forse indipendente nel senso by Christian I
... und auch das ist ein Teil
... und auch das ist ein Teil der Wahrheit (wikipedia):
„Am 29. April ordnete der zuletzt im Jahre 2005 für eine vierjährige Amtszeit gewählte palästinensische Präsident Mahmud Abbas an, die für den 22. Mai angesetzten Wahlen zum Palästinensischen Legislativrat erneut zu verschieben. Diese Entscheidung sorgte bei der mit Abbas’ Fatah-Partei zerstrittenen Hamas, die den Gazastreifen beherrscht, für großen Unmut. Nach Ansicht politischer Beobachter trug die Absage der Wahl zur anschließenden Eskalation der Gewalt bei, da sie der Hamas, und deren Schutzmacht Iran, die Möglichkeit zum Ausbau ihres Einflusses auf politischem Weg versperrt habe“.
Inner-Palästinensischer Machtkampf auf dem Rücken und unter Instrumentalisierung der eigenen Bevölkerung.
In dieser Sache gibt es keinen, der frei von Schuld ist.
In reply to ... und auch das ist ein Teil by Peter Gasser
Von Zeit zu Zeit müssen die
Von Zeit zu Zeit müssen die Vorratslager auf den neuesten Stand gebracht werden.
Und besser, als unbenutzt zu entsorgen, wirft man das Gerümpel eben zum Nachbarn rüber.
Nun kann wieder aufgefüllt werden.
Von Unabhängigkeit ist in
Von Unabhängigkeit ist in diesem Artikel wenig zu finden. Israel hat das Recht sich zu verteidigen, muss sich verteidigen um zu überleben. Die Raketen aus dem Gazastreifen haben in Israel auch Tote gefordert, aber weitaus mehr im Gazastreifen aufgrund der sicher zu erwartenden Reaktion Israels. Nachdem das Feuerwerk aus dem Gazastreifen beendet ist und Israel alle vorgenommenen Ziele ausgeschalteter hat kommt der obligate Waffenstillstand. Politisch wird sich nichts ändern, die Zivilbevölkerung ist aber wieder einmal das Opfer. Die Hamas wird sich wieder mit Munition eindecken, und der Wahnsinn wird wieder von vorne beginnen. Palästinas Demokratie wird von der Hamas unterwandert, kein gutes Zeichen für eine friedliche Zukunft.