Di lingue e dialetti... Gorizia 2025
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Lingue, popoli e culture
Si discute di lingue e dialetti, stesso tema inopportunamente emerso in consigli provinciali e interrogazioni di vario genere. Sui quotidiani del Friuli Venezia Giulia fortunatamente non si riportano esternazioni di politici locali, bensì di studiosi dell'argomento: "Che si parli di bilinguismo, a Gorizia, è noto anche se, storicamente, bisognerebbe forse discutere di quadrilinguismo, inserendo anche il tedesco, storicamente presente, e il friulano. Proprio a riguardo del friulano, così come per il dialetto goriziano, si sta occupando la ricercatrice Elisa Fratianni di Gorizia, creando un questionario che ha reso disponibile per coloro che, in città, utilizzano sia il friulano che il dialetto goriziano per poterne comprendere particolarità, uso in ambito familiare e diffusione. Il questionario rientra nell’ambito di studi di una ricerca biennale che ha per titolo “Interculturalità come dimensione costitutiva di una società multiculturale, plurilinguistica e plurietnica”, presso l' Università di Udine. E infatti, a breve la popolazione riceverà il questionario: uno studio che forse occorrerebbe imitare anche qui.
I territori di confine sono, inevitabilmente, plurilingui. Ma le lingue sono vive - se non lo sono, inutile insistere a riesumarle- nascono, si sviluppano, cambiano di continuo, si evolvono. E quindi, di cosa parliamo, dove e quando, è sempre opportuno puntualizzarlo. A proposito, mi si permetta una volta di citare la prefazione del mio "Freddo in Noi. Racconti a Nord Est", Edizioni Clandestine. Questa la parola complicata: lingua. Dialetto. Oppure anche: identità.- I nazionalismi, come tutti i pensieri autoritari, la concepiscono solo al singolare, il plurale è esecrabile.
Al più, sono accettabili “le identità” come somma di diverse individualità, ma mai viene considerata lecita una individualità dotata di più identità. Perlomeno sul piano linguistico, o di appartenenza alla tradizione. Si può essere sia italiani che tedeschi? E sloveni e italiani? E se non ci si sente nemmeno l’una o l’altra cosa, ma qualcosa di differente? Le “dichiarazioni di appartenenza”, specie se istituzionali, celano sempre un’anima nascosta, anche indigesta...: in forma innocua, almeno all’ apparenza, mirano a fissare dei confini questa volta attorno non solo ai territori, ma anche alle persone, ai singoli, che sono chiamati a riconoscersi in una o in una diversa casella precostituita, e istituita secondo precise volontà di controllo e definizione. Che sia religiosa, o linguistica, o sociale, la sostanza non cambia: per chi è nato in un contesto plurale, come molti, diventa una falsa scelta. Eppure, basterebbe spostare di poco il punto focale dell’attenzione per capire con facilità che sempre le identità sono plurali: e nemmeno un distillato di essenza di italianità, cresciuto nel seno di una famiglia rigidamente monolingue e frutto di una completa rigidità culturale, potrà mai pretendere di stare al netto solo dentro una casella. Siamo infatti di volta in volta figli, amici, amanti, nemici, ostili, desideranti; e mangiamo cibi spesso ignoti e ascoltiamo parole diverse, suoni nuovi, e vediamo volti dai caratteri diversi, sempre, e ne siamo attratti e ne siamo respinti: ma ne risultiamo, sempre, cambiati, rispetto a prima. Il volto mutevole, plurale, della realtà che ci circonda, ci riguarda intimamente: e ci guarda, ci restituisce lo sguardo. Come soggetti che camminano nel mondo, siamo destinati a modificarci, di volta in volta: l’apprendimento, che spesso è fatto di cose molto semplici, dirette, anche fisiche, corporee, altro non è che questo continuo adattamento al mutamento, che la realtà, attorno a noi, produce su di noi. Se impariamo ad andare in bicicletta, diventiamo ciclisti, anche se prima non lo eravamo affatto. Oppure, come scrive un critico contemporaneo, si può leggere anche da un’altra angolazione, del tutto complementare, e effettuare «una originale meditazione –antiromantica – sull’identità, la quale non consiste tanto in una impalpabile interiorità ma negli oggetti materiali, nelle “adorate cose” che possediamo (e che possono anche tradirci, abbandonarci!). Noi stessi diventeremo cose» (cit. A. Felis)-«Gorizia con il suo plurilinguismo e la sua storia è una cittadina che sul tema può dare molto. Mi sono interessata in modo particolare al dialetto goriziano e alla lingua friulana non solo per la loro importanza storica-culturale che rappresentano per la città ma anche e soprattutto per comprenderne l’utilizzo, il significato e l’evoluzione sotto il profilo sociolinguistico», precisa la ricercatrice.
Ma che bella Gorizia, città di popoli e di culture: elegante e riservata. Sarà presto l’anno dell’importantissimo evento “Go! 2025 Nova Gorica Gorizia Capitale europea della cultura 2025". In questo - troppo consumistico, e blindato- Natale speriamo che ci aiuti, anche questo, a non diventare, effettivamente, delle cose. Buone Feste!
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