“Sei mesi di umanità e sfide”

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Per vent’anni Alexander Nitz è stato uno dei coordinatori della Casa della Solidarietà di Bressanone. Attualmente collabora con la Cooperativa di comunità b*coop, che nella città vescovile ha gestito il Ricovero Notturno Invernale da 20 posti letto, ponendo al centro del proprio lavoro dignità, rispetto e l’impegno a non lasciare indietro nessuno.
SALTO: In questi ultimi mesi il dibattito pubblico si è concentrato molto sugli episodi di violenza compiuti da persone senza dimora. Qual è stata la vostra esperienza nel corso dei sei mesi di apertura del Ricovero Notturno Invernale a Bressanone?
Alexander Nitz: In questo periodo ho fatto spesso il confronto con la mia precedente esperienza di lavoro alla Casa della Solidarietà e, soprattutto nei primi tempi del Winternachtquartier, ho riscontrato che i potenziali conflitti in un dormitorio notturno di emergenza, seppur di piccole dimensioni, sono molto più presenti.
Ci sono stati casi in cui avete richiesto l’intervento delle forze dell’ordine?
Sì, è capitato circa dieci volte, soprattutto nei primi mesi di apertura. Una cifra che non avevo mai registrato alla Casa della Solidarietà, dove al massimo capitava una volta all’anno e le persone ospitate erano il triplo.
Secondo Lei quali sono state le cause di questi eventi?
Le ragioni sono sicuramente diverse, ma una delle più importanti è la gestione molto restrittiva delle strutture. Basti pensare che secondo le Linee Guida provinciali gli ospiti dovevano lasciare i centri alle otto di mattina e potevano farvi ritorno alle 19. Noi siamo stati l'eccezione, perché abbiamo potuto garantire la riapertura già nel pomeriggio. In ogni caso, l'orario è un limite che accresce la frustrazione delle persone, che indipendentemente dalle condizioni atmosferiche o dal loro stato di salute devono trascorrere diverse ore o tutto il giorno in strada. Alla Casa della Solidarietà, invece, dove le persone possono entrare e uscire liberamente nel corso di tutta la giornata, nella mia esperienza il livello di tensione è sempre stato generalmente molto basso. Poi ovviamente ci sono altre cause “laterali”.
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Per esempio?
I primi tempi i nostri ospiti hanno avuto difficoltà ad accedere agli uffici del Commissariato per sbrigare le pratiche legate al rinnovo del permesso di soggiorno. Spesso venivano mandate via senza una motivazione coerente e molti hanno accumulato nervosismo e stress, sfociati in alcuni eventi critici all’interno della struttura. È accaduto soprattutto nei primi mesi, periodo nel quale si è verificata la maggior parte degli episodi che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. La collaborazione poi è migliorata e questo fattore di stress fortunatamente è venuto meno.
Quali sono state le strategie messe in campo da b*coop per gestire le situazioni di conflitto?
Va detto che in queste situazioni è essenziale poter contare su personale adeguatamente formato e non solo su semplici “custodi”. A Bressanone, nella gestione degli eventi critici e, soprattutto, a prevenirne altri ha contribuito innanzitutto il lavoro fondamentale della nostra assistente sociale, Martina Pernthaler, che in diverse circostanze è stata in grado di captare le avvisaglie e “anticipare” possibili conflitti, intervenendo con le appropriate tecniche di de-escalation. In secondo luogo, ospitare un numero contenuto di persone – almeno rispetto ai dormitori di Bolzano – ci ha aiutato. Va menzionato, inoltre, il prezioso contributo dei 35 volontari che ci hanno affiancato. La loro presenza e umanità ha reso l’ambiente molto più familiare e accogliente. Nei sei mesi di apertura, inoltre, Martina ha costruito relazioni significative con gli ospiti basate sulla coerenza e la fiducia, accompagnando molti di loro in percorsi di successo in termini di inserimento sociale. Questo ci ha mostrato che le persone hanno risorse e capacità, che se valorizzate trovano modo di esprimersi.
“Nelle situazioni di conflitto è essenziale poter contare su personale adeguatamente formato.”
Tra questi percorsi ce n’è uno che ricorda particolarmente?
Sì, tra tutti mi viene in mente quello di M., un giovane uomo proveniente dal Nordafrica. Quando è arrivato a Bressanone conosceva una decina di parole di italiano. Prima si è iscritto a un corso di alfabetizzazione e ha preso confidenza con la lingua, poi si è concentrato sulla ricerca lavoro ed è riuscito a trovare un’occupazione con regolare contratto. Ha fatto tutto da solo, certo, ma in parte ha contribuito anche sapere che la sera avrebbe avuto un posto dove potersi lavare, cenare e dormire.
Alcuni politici locali sostengono che la presenza di servizi a bassa soglia sia un fattore di attrazione per molte persone senza dimora provenienti da altre province o regioni. Quali sono le sue considerazioni a questo proposito?
Sono anni che sento parlare di pull factor, ma secondo la mia esperienza non è la presenza di servizi ad attirare le persone, quanto piuttosto le possibilità di lavoro. Quando abbiamo aperto a novembre, per esempio, molte delle persone inserite in dormitorio avevano appena terminato la stagione in agricoltura e nel settore turistico. Nel tempo diversi ospiti hanno trovato lavoro ma non un alloggio. Il problema reale è la “questione-casa”, un problema strutturale per la cui risoluzione sarebbe auspicabile il coinvolgimento del mondo delle imprese. È vero, alcuni esempi virtuosi ci sono, ma sono ancora troppo pochi.
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Dal 1° maggio i Ricoveri Notturni Invernali hanno chiuso. Come avete accolto il termine dell’accoglienza?
Gli ultimi giorni sono stati molto pesanti, soprattutto per gli ospiti. Trovo molto negativo che ora siano stati lasciati in strada. Penso anche ai percorsi positivi intrapresi che molto probabilmente andranno persi, con conseguenze negative anche per l’autostima e la dignità delle persone. Tanti di loro, in teoria, potranno ricominciare a “respirare” a partire dal prossimo novembre. Ma in che condizioni ci arriveranno?
Quali sono le prospettive di b*coop in materia di accoglienza?
Guardando al futuro a noi piacerebbe sperimentare un modello diverso di accoglienza. Abbiamo pensato a un progetto pilota, da avviare parallelamente ai grandi dormitori. L’idea è di fornire accoglienza in piccoli numeri – circa 5 persone – in un contesto abitativo “familiare”, garantendo un accompagnamento professionale intensivo. L’idea è di coinvolgere alcune aziende del territorio per un eventuale inserimento lavorativo, in base ai punti di forza e alle competenze delle persone accolte. Al termine del periodo di accoglienza sarebbe interessante fare una verifica e valutare quale dei due modelli – il “nostro” o il dormitorio di emergenza – ha garantito migliori risultati in termini di inserimento sociale. La proposta l’abbiamo fatta, ma non sono sicuro ci siano le risorse economiche e la volontà politica per provare a realizzarla. Noi in ogni caso siamo pronti a rimetterci in gioco.
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Eine sehr wichtige Arbeit,…
Eine sehr wichtige Arbeit, die Alexander Nitz und sein Team da macht.
Leider kümmern sich viele Unternehmen nicht um die Unterbringung der Mitarbeitenden. Da ist ein blinder Fleck. Nur die Arbeitskraft zu verwenden und den Menschen dahinter nicht wertschätzen ist keine gute Einstellung.