
L’architetto della nuova Bolzano
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Nel gennaio del 1929 prende corpo il progetto di una Bolzano da centomila abitanti. Si calcoli che all’epoca la città, ancora ristretta nei limiti del vecchio abitato di epoca asburgica, contava poco più di trentamila abitanti. Bisognava costruire e, in primo luogo, avere un piano regolatore che indicasse direzione e caratteristiche di quell’enorme espansione. Il punto di partenza era fissato dall’arco marmoreo del Monumento alla Vittoria da poco inaugurato, ma tutto il resto era da immaginare e da fare. Al bando di concorso lanciato dal Comune rispondono illustri studi di architetti che, con carta e matita, immaginano, disegnano e presentano i loro progetti.
Poi arriva lui.
Marcello Piacentini fa valere il suo grado nel mondo dell’architettura e dell’urbanistica italiana, il suo rapporto privilegiato con Benito Mussolini. Spazza via dal tavolo tutti i progetti ed anzi da qualcuno ricava idee e suggestioni. Il nuovo piano regolatore della nuova Bolzano lo disegna lui. I due larghi viali che si incrociano nell’attuale Piazza Mazzini, gli edifici monumentali con la triade delle sedi dei poteri e delle autorità (giustizia, fascismo e religione) che si confrontano sorgendo in aperta campagna lungo quello che oggi è Corso Italia – allora pensato come la porta d’ingresso nella città fascista per chi arrivava dai quartieri popolari o dalle fabbriche della Zona.
Questo era allora il potere di Piacentini e questo fu sicuramente il suo contributo maggiore alla nascita e allo sviluppo di quel secondo centro urbano che, al di qua del fiume, doveva contrapporsi a quello più antico.
La storia è raccontata, molto bene tra l’altro, in un volume appena approdato sugli scaffali delle librerie. Si intitola Marcello Piacentini a Bolzano ed è il frutto della rielaborazione della tesi di laurea di un giovane studioso altoatesino, Aaron Ceolan, che vi ha dedicato tempo e passione, approfittando tra l’altro del suo attuale incarico presso l’Archivio Storico di Bolzano per corredare lo scritto con un apparato iconografico di tutto rispetto.
Il libro serve, tra l’altro, a ricordarci alcuni fatti che inquadrano meglio il ruolo di Piacentini nello sviluppo e nella trasformazione del capoluogo altoatesino negli anni ’30. L’osservatore distratto tende a pensare, ad esempio, che all’architetto vadano attribuite un po’ tutte le costruzioni d’epoca fascista. In realtà Piacentini progetta solo due edifici in quel periodo: il Monumento alla Vittoria, di cui si è già detto, e il Palazzo Alti Comandi di Piazza IV Novembre. Quest’ultimo edificio – fa notare Ceolan – è un esempio della caratteristica fondamentale del lavoro di Piacentini: non avere una propria linea stilistica definita, ma muoversi in modo fluido tra varie suggestioni, come quella del razionalismo, che stava prendendo corpo in quegli anni in tutta Europa, o quelle dell’architettura neoclassica e addirittura rinascimentale. Il Palazzo dei Comandi militari, con la sua facciata del tutto particolare, richiama un altro edificio progettato da Piacentini: la sede della Casa Madre dei Mutilati, che sorge a Roma nello spazio tra Castel Sant’Angelo e il Palazzo di Giustizia. Le due torri che fiancheggiano l’entrata echeggiano però in maniera esplicita quelle collocate sul frontone del Palazzo dei Duchi di Urbino.
Se dunque la firma di Piacentini si limita a questi due edifici, occorre ricordare – come fa Ceolan nel suo volume – che la città “nuova” nasce dal lavoro di tutta una serie di professionisti di alto livello, alcuni dei quali autoctoni, attratti dalla grandiosità dell’opera e dalla volontà del Regime di profondere in questa realizzazione mezzi inimmaginabili altrove.
Il libro è una guida preziosa per ripercorrere quelle scelte e quegli avvenimenti. Quanto a Piacentini, il suo ruolo di grande architetto del fascismo permane durante tutto il ventennio, ma la sua carriera, soprattutto in ambito universitario, si prolunga ben oltre lo sconquasso bellico e la caduta del Regime. Ritorna anche a Bolzano con un piccolo progetto, quello del 1960 per la Chiesa di San Giuseppe ai Piani.
Architekt Piacentini hat im…
Architekt Piacentini hat im reichlich perversen Sinn seiner Auftrag-Geber, mit der Gemeinde-Verwaltung seinen Auftrag besser gelöst, wie die nach-Kriegs-Regierungen der Stadt Bozen, die nur Hilf-los zugesehen haben, "wie sich die unsinnige Industrie-Zone bis auf schäbige Reste auflöst + die SPEKULANTEN als GOLD-GRÄBER reiche Beute machen konnten!"
In der letzten Zeit haben die schlafenden Verwalter von Bozen, "dem HAGER & BENCO das Ruder überlassen, die neben dem Dom ihre KREBS-artige ENERGIE-fressende-Wucherung hin-klatschen konnten ...!?"
Das "Aufhausen vom BENCO, hat die KLO-BRILLE mit dem ÖTZI auf dem Virgl verhindert, die der HAGER mit einem -n i c h t - a u f g e h a u s t e n- BENCO, der Landes-Regierung ganz sicher auf/ab-geschwatzt hätte!"
Sgomberando subito il campo…
Sgomberando subito il campo da questioni politiche ma parlando solo di architettura, è giusto dire che a Bolzano operarono non solo i migliori architetti ma anche vennero utilizzati i migliori materiali e tecniche costruttive per l'epoca. A Bolzano è stato investito davvero tantissimo in ogni senso. Furono opere stilisticamente fluide, che coinvolgevano maestranze locali, pensate in un'ottica di sistema, ovvero correlate nello spazio le une alle altre. Oggi ci si lamenta del traffico, ma importanti erano anche i cortili, gli spazi antistanti, il verde, come si vede nei progetti originari. Un'immensa perdita la distribuzione delle decorazioni, sia esterne che negli interni, autentiche opere d'arte, oltre che gli arredi, la mobilia, in elementi di design lavorati artigianalmente. Bolzano ha perso l'opportunità di essere considerata un gioiello di arte razionalista, e sarebbe bastato non distruggere quanto ancora oggi è in perfette condizioni, perché fosse un'importante attrattiva anche turistica. Le opere storico artistiche di Bolzano sono poco conosciute alla popolazione stessa, è un peccato.
Das stimmt natürlich nicht…
Das stimmt natürlich nicht. Die in der faschistischen Ära errichteten Bauten sind, unabhängig von der Architektur, die natürlich die Unterdrückung der einheimischen Bevölkerung ausdrücken musste, von extrem schlechter Qualität. Aber für Bewunderer des Regimes können die damaligen Bauten natürlich nur Spitzenprodukte sein.