Il cielo sopra Silandto
Foto: SALTO
Gesellschaft | Femminicidio

Non abbiamo saputo difenderti

La condanna per il femminicidio di Celine Frei Matzohl chiude un processo doloroso, ma ci rivolge domande urgenti: quali segnali non abbiamo ascoltato e quale rete di protezione manca ancora per fermare la violenza contro le donne?
  • La fine del processo per il femminicidio di Celine Frei Matzohl ci consegna un colpevole, condannato all’ergastolo, e il racconto della vicenda che ha portato alla morte della giovane donna di Silandro. Come spesso accade nei casi di femminicidio, il processo ci ha consegnato il resoconto di tanti campanelli d’allarme non ascoltati. Come raramente accade, abbiamo ora la possibilità di rivisitare quei campanelli per chiederci: cosa abbiamo imparato come società da quello che ci è stato consegnato dall’aula del tribunale – a noi, forze dell’ordine, a noi, giudici e avvocati e procuratori, a noi, centri contro la violenza, a noi, giornalisti ed educatori? 

    Cosa abbiamo ad esempio imparato dal fatto che, dopo la denuncia di Celine per aggressione con una minaccia di morte, non è scattato il codice rosso? Il periodo dopo una denuncia per violenza è quello più pericoloso per una donna – lo sanno le forze dell’ordine, lo sanno tutte e tutti coloro che si occupano di questo tema. Quale rete di supporto e di sostegno si sarebbe dovuta e potuta attivare in questo periodo così difficile? E non parlo della rete della mamma e delle amiche, che hanno fatto tutto quello che potevano, ma di una rete professionale che, in una comunità piccola come quella di Silandro, avrebbe forse offerto un riparo da quella violenza inaudita. Forse.

    Come sempre, non sapremo mai cosa sarebbe successo lavorando con i se. E un ergastolo non restituisce una vita. Riconosce una colpa, e lo fa dando un segnale importante che dice: è stato un delitto efferato e premeditato, per questo ci vuole il massimo della pena. E questo è fondamentale. Ma senza un lavoro di apprendimento dopo questo ennesimo odioso femminicidio continueremo a sentirci impotenti. 

    Christine Clignon, nel suo podcast su SALTO, Free, e in quello appena pubblicato insieme ad Anita Rossi, Ci vogliamo vive, sta tentando di ripercorrere questi passi per dare degli strumenti a tutte e tutti noi. È un lavoro prezioso, che le donne che si occupano professionalmente di violenza fanno da tempo e che mi auguro che tutte le persone e gli organismi che vogliono davvero contrastare la violenza si impegnino a fare. 

    Non riesco a immaginare quale forza abbia sostenuto la mamma di Celine, che ha assistito alle udienze del processo con immensa dignità. Al funerale aveva detto alla figlia: “Non ho saputo proteggerti”. È un rimpianto che deve diventare collettivo e che dobbiamo trasformare in forza di cambiamento. 

    Ricordando Celine e il suo sorriso, che porteremo nei nostri cuori per sempre.