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L'etnografia linguistica al di qua delle Alpi

Dal 13 al 15 giugno si è tenuto il workshop Language Documentation 6. Ce ne parla Silvia Dal Negro, docente e organizzatrice del seminario.
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Si possono studiare cose molto esotiche anche senza attraversare il confine, “per questo io dico sempre che si può fare etnografia linguistica anche vicino casa”, scherza Silvia Dal Negro, docente di linguistica all’Unibz nonché organizzatrice del workshop Language Documentation, ormai alla sesta edizione e tenutosi quest’anno dal 13 al 15 giugno scorso. Un seminario, quello organizzato dal Centro di Competenza Lingue dell’ateneo insieme all’associazione Ethnorêma, dove l’’offerta di strumenti metodologici per chi fa ricerca linguistica sul campo non è costituita esclusivamente da aspetti teorici ma si cerca di legarvi anche cose molto pratiche, in particolare l’utilizzo di nuove tecnologie o software specifici, “ad esempio per filmare quando si è sul campo”, spiega Dal Negro. 

“Questa è stata forse l’edizione con l’impronta meno tecnologia, e il nostro tema era “Research Paths in Language Documentation”. Io e Moreno Vergari, dell’associazione Ethnorema, abbiamo pensato quindi di invitare due relatori che, sotto due profili diversi, mostrassero ai partecipanti come è possibile descrivere la lingua attraverso la comunità, capendo quindi i significati legati alle lingue”. Così, nell’ateneo bolzanino sono arrivati Naomi Nagy, dell’Università di Toronto, e Mauro Tosco, dell’Università di Torino. “La professoressa Nagy ci ha illustrato come si presentano due grossi progetti - racconta Dal Negro - uno dei quali riguarda le lingue di origine degli immigrati a Toronto, la città dove vive e lavora. In particolare lei lavora su lingue conosciute in situazioni particolari, come ad esempio il dialetto calabrese parlato a Toronto appunto. Il professor Tosco, invece, che è un africanista, ci ha fatto vedere i problemi che si possono porre quando si documenta una lingua di cui non si sa nulla, ovvero tutti gli errori che si rischia di commettere sul campo quando si parte da zero. Lui, in questo senso, non ha illustrato un singolo progetto ma ha fatto un po’ un riassunto di tutte le questioni che si pongono in contesti come l’Africa, dove lui ha lavorato e tuttora lavora tantissimo, nei quali il rischio è di avere dei dati che non si riescono a interpretare sia per problemi strettamente linguistici ma anche, per esempio, per la mancanza di conoscenza dei contesti specifici. Un esempio molto interessante che ci è stato illustrato dal professor Tosco riguarda lo spazio: è un concetto che varia da cultura a cultura, per molti lo spazio e il posizionamento degli oggetti in esso è relativo, per altre culture è assoluto. Perciò quando qualcuno indica dove si trova un oggetto ci possono essere delle variazioni e qui sorge il problema: se tu non sai individuare il sistema culturale che c’è nella lingua che stai studiando, quei dati non li riuscirai ad interpretare”. 

I due relatori, insomma, hanno portato per mano i partecipanti in un progetto dall’inizio alla fine. “Abbiamo poi invitato due altri relatori, Simone Ciccolone della eCampus e Graziano Savà dell’università “L’Orientale” di Napoli, che hanno invece approfondito l’utilizzo di un software che qui a Bolzano usiamo molto e per il quale siamo punto di riferimento un po’ per tutta l’Italia, e cioè ELAN. Ogni anno cerchiamo di dedicare qualche ora a questo perché è una cosa che ci viene molto richiesta e che sappiamo interessare tutti i nostri partecipanti”. 

Proprio riguardo ai partecipanti, la professoressa Dal Negro ne traccia una sorta di identikit: “La partecipazione è aperta a tutti, solitamente abbiamo un gruppo di studenti o nostri collaboratori dell’unibz, poi però ci sono anche tante persone che vengono da fuori, per lo più dottorandi. Quest’anno infatti abbiamo avuto persone provenienti da diverse università italiane. In generale posso dire che si tratta quasi sempre di dottorandi o ricercatori che fanno ricerca sul campo o che comunque si occupano di lingue e linguistica. Poi devo dire che vengono anche tanti colleghi docenti. Inoltre, abbiamo previsto una piccola selezione per alcuni attraverso dei poster, più che altro per l’assegnazione di una piccola borsa di studio. Quest’anno ne abbiamo selezionati 4. In generale vedo che ogni anno si instaura un bellissimo rapporto tra i partecipanti e tra loro e noi organizzatori, questo probabilmente anche perché cerchiamo di selezionare soprattutto gente che svolge ricerca sul campo e quindi il seminario diventa un po’ l’occasione per incontrare colleghi che svolgono attività affini”. 

E ancora: “Per la locandina di quest’anno abbiamo scelto un’immagine dell’altopiano del Renon. Questo perché l’idea alla base è che una ricerca etnolinguistica la si può svolgere sia qui tra le Alpi che su un altopiano in Etiopia. Quando sei sul campo non importa dove tu sia esattamente, le situazioni che ti si possono porre sono sempre molto simili”.