Gesellschaft | Il rapporto

L’Italia affaticata

La fotografia del Censis: i giovani sono più poveri delle precedenti generazioni. Crolla la fiducia nei partiti politici. Cresce il populismo.
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Foto: Facebook

L’Italia sta vivendo una “prolungata e infeconda sospensione, dove le manovre pensate in affannata successione non hanno portato i risultati attesi”. Il 50esimo Rapporto del Censis disegna un clima di sfiducia che serpeggia fra la popolazione e riassume così la situazione nel Paese: l’Italia rentier (ovvero “benestante”) non investe nel futuro. Sono oltre 114 miliardi gli euro che nel 2015 gli italiani hanno conservato “sotto il materasso” senza metterlo dunque in circolazione. Una liquidità che oggi equivale all’incirca al “Pil di un Paese intero come l’Ungheria”. Quasi 4 italiani su 10 (il 36%) tengono “regolarmente contante in casa, per emergenze o per sentirsi più sicuro” e se avesse risorse aggiuntive “il 34,2% le terrebbe ferme sui conti correnti bancari o nelle cassette di sicurezza, mentre il 18,4% le userebbe per pagare i debiti”. Difficoltà economiche anche per i giovani che, rispetto a 25 anni fa, hanno un reddito inferiore del 26,5%, mentre la loro ricchezza è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Tornando indietro di un quarto di secolo i giovani risultano sempre con un reddito inferiore rispetto alla media della popolazione, ma solo del 5,9%. Per gli over 65 invece il reddito medio è aumentato del 24,3%.

Nonni e nipoti
Secondo il Censis i giovani vivono un vero e proprio ko economico e in questo periodo storico sono più poveri dei loro nonni. Il 61,4% degli italiani è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni e il 57% ritiene che i figli e i nipoti non potranno vivere meglio di loro. Il 63,7%, inoltre, ha la certezza che l’esito inevitabile del loro futuro sarà una riduzione del tenore di vita.

Restare o non restare nella UE
Sebbene l’Italia non abbia ceduto alle “avances” del populismo neonazionalista, come avvenuto in altri Paesi, tuttavia la fiducia nell’Europa non è totale. L’uscita dall'Unione trova contrario il 67% degli italiani ma favorevole il 22,6% con un 10,4% di indecisi. Più o meno quanto emergeva nel Regno Unito dai sondaggi prima del referendum che poi ha condotto alla Brexit. Ancora maggiore la percentuale di chi è favorevole al ritorno alla lira (28,7%) contro il 61,3% di contrari e un 10% di indecisi. Si sale ulteriormente se si considera chi è favorevole alla rottura del patto di Schengen e alla chiusura delle frontiere italiane (30,6%) che vede contrario il 60,4% e indeciso il 9%.

L’ombra del populismo
L’indagine del Censis rivela che la società si sente vittima di un sistema di casta e che le istituzioni non riescono più a “fare cerniera” tra dinamica politica e dinamica sociale. La politica riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel “reggersi”. Sono destinati così a una congiunta alimentazione del populismo. Per spezzare questa dinamica, segnala il Censis, è tempo per il mondo politico e il corpo sociale di dare con coraggio un nuovo ruolo alle troppo mortificate istituzioni.

L’appeal dei partiti politici
L’89,4% degli italiani non crede più nei politici e il picco è nella fascia compresa tra i 35 e i 64 anni (92%). I partiti politici sono al penultimo posto nella graduatoria dei soggetti in cui gli italiani hanno più fiducia: al di sotto si collocano solo le banche. Nella classifica dei soggetti in cui gli italiani hanno più fiducia il primo posto va alle forze dell'ordine (48%), seguite dalle associazioni di volontariato (42,5%), dalle imprese agricole (19,8%), dalla Chiesa (16,7%). Le istituzioni locali riscuotono la maggiore fiducia dal 9,1% dei cittadini, i sindacati dal 6,6%, i partiti dall'1,6% e le banche dall'1,5%. Ttra i giovani (18-34 anni) a riscuotere maggiore fiducia è il volontariato, mentre dai 35 anni in su le forze dell'ordine sono al primo posto. Nei partiti e nei sindacati, è la fascia di età intermedia (35-64 anni) a nutrire meno fiducia.