Palazzo Widmann
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Politik | Avvenne domani

Aggiungi un posto a tavola

Visto il dibattito sul "secondo assessore" va ricordato che c'è stato un tempo in cui gli italiani in Giunta Provinciale erano addirittura quattro.
  • Stavano già fiorendo i meli dalla valle dell’Adige quando, l’11 aprile del 1979, il Consiglio Provinciale di Bolzano arrivò finalmente a nominare la nuova Giunta sulla base dei risultati delle elezioni che si erano svolte quasi cinque mesi prima, il 19 novembre del 1978. Era stato un parto indubbiamente difficile quello necessario a dare alla luce una maggioranza composta dalla SVP, partito di maggioranza assoluta con i suoi 21 seggi e da due alleati italiani: la Democrazia Cristiana, con i suoi quattro eletti e il PSDI con un consigliere. Sui 34 consiglieri che erano andati a comporre l’assemblea (uno almeno di adesso) ben nove appartenevano gruppo italiano. Ai cinque entrati in maggioranza andavano sommati i due rappresentanti del PCI, quello del PSI e il missino.

    Una situazione che inevitabilmente andava a riflettersi sulla composizione dell’esecutivo guidato, come sempre in quel periodo, da Silvius Magnago. A sedersi con lui al lungo tavolo della Giunta erano ben 12 altri assessori, nove effettivi e tre supplenti sulla base di una suddivisione che è poi venuta a cadere col tempo. Ne ho già parlato su queste pagine ma forse il momento non è sbagliato per tornare sul tema

    Il richiamo storico, se ci si ferma a questo punto, ha una valenza relativa se confrontato con la situazione attuale. Una Giunta così affollata e un numero di italiani in consiglio tanto alto proporzionalmente rispetto alla situazione attuale permettono di giudicare sostanzialmente corretti quei quattro posti da assessore.

    Il discorso cambia, però, se, assieme al numero dei posti attribuiti si prendono in considerazione anche le competenze che ad essi si accompagnavano. Per introdurre l’argomento non è probabilmente sbagliato tornare un attimo a rileggere la “Magna Charta” della nostra autonomia ovverosia lo Statuto del 1972. Tra le sue disposizioni quella che impone al di là delle intese politiche che a governare l’Alto Adige sia un esecutivo composto comunque dai rappresentanti dei due gruppi etnici principali e, auspicabilmente, anche da quello del piccolo gruppo ladino. È un meccanismo giuridico-politico assolutamente straordinario e non so francamente quanti riscontri esso abbia in altre situazioni geografiche. Certo è che esso va a battere in breccia su uno dei principi fondamentali su cui si basa la democrazia rappresentativa: quello che a governare sono coloro che, nel gioco elettorale, hanno ricevuto un’investitura e possono contare su una maggioranza di voti all’interno delle assemblee di riferimento.

    A Bolzano invece le cose vanno diversamente. In quella giunta eletta nell’aprile del 1979 la Südtiroler Volkspartei avrebbe potuto tranquillamente governare con i suoi 21 eletti su 34 consiglieri. La scelta politica di Magnago, nel mentre dava luogo all’alleanza etnico linguistica prevista dallo Statuto, fu quella di realizzare un’intesa con due partiti italiani e di attribuire loro, ed è questo il punto cruciale di tutto il ragionamento, delle competenze per nulla inferiori a quelle che spettavano agli assessori del suo partito.

    Qualche esempio: il primo dei due vice presidenti italiani, Giorgio Pasquali, si occupava come aveva fatto in precedenza di tutto il delicato settore della tutela dell’ambiente, curando la realizzazione, avvenuta non senza difficoltà e contrasti, dei primi parchi naturali. Aveva poi la competenza relativa ai trasporti e furono gli anni, quelli della sua permanenza all’assessorato, nei quali fu impostato tutto il sistema di trasporto pubblico sulle strade della provincia. Al secondo vice presidente italiano, Valentino Pasqualin andavano le competenze sul commercio, sullo sport, sull’assistenza e persino sulla tutela della salute mentale allora separata da quella della sanità. Al socialdemocratico Decio Molignoni il settore del bilancio delle finanze, mentre l’assessore supplente Remo Ferretti gestiva le competenze “etniche” su scuola e cultura italiane. Vi erano poi competenze condivise come quelle sul settore cruciale delle concessioni idroelettriche gestito da un comitato composto da Magnago, Pasquali e Benedikter. Un esempio questo di quel fitto intreccio di competenze ripartite che passava allora sotto la denominazione di Mitsprachrecht.

    Abbiamo scelto, quasi a caso, questo esempio riguardante una delle ultime maggioranze dell’era Magnago. Questa distribuzione di competenze si prolunga anche durante le prime legislature della presidenza Durnwalder e poi, di cinque anni in cinque anni, inizia, inarrestabile, l’erosione. Le prime ad essere tolte agli assessori italiani sono le competenze di carattere economico. Quella del commercio ed anche, alla fine, quella dell’industria dopo che gli stessi vertici dell’associazione di categoria (che da noi com’è noto rifugge dal chiamarsi con il proprio nome) chiedono esplicitamente di poter avere come punto di riferimento politico un esponente del partito di lingua tedesca. Il fenomeno non si è certo arrestato nelle due legislature dell’era Kompatscher. Cinque anni fa ad esempio agli assessori italiani è stata tolta anche la competenza sull’edilizia abitativa agevolata. Di fatto si è arrivati ad una situazione nella quale, a parte alcune questioni di non grande peso politico, agli alleati italiani, che pure sono essenziali per raggiungere la maggioranza in consiglio, sono assegnate le competenze riguardanti la scuola e la cultura del loro gruppo. Una sorta di rappresentanza etnica che risponde forse formalmente al dettato statutario, ma che è molto lontana da quella praticata quando, paradossalmente, la Südtiroler Volkspartei di quel pur robusto pacchetto di voti non avrebbe avuto bisogno per governare.

    Dopo di che, concluso, si spera, in un modo o nell’altro il contenzioso sui numeri, occorre vedere se si aprirà quello sulle cose da fare ed anche su chi sarà chiamato a farle.