Se i temi fossero stati
Se i temi fossero stati questi e posti in modo esplicito il tutto, a mio avviso, avrebbe avuto un senso. Invece con discussioni "open" tutto viene disperso o subisce distrazione.
In fondo, a guardar bene, i comitati istituiti di recente per affiancare il consiglio provinciale nel processo di revisione dello statuto di autonomia, altro non sono che l'ennesimo tavolo (o tavolino?) dei tanti apparecchiati e poi lasciati così, con bicchieri, piatti e posate a prender la polvere negli ultimi decenni (se qualcuno vuole rinfrescarsi la memoria ne ho fatto un elenco qui). Nella speranza che stavolta al tentativo arrida miglior fortuna, torniamo ad osservare da vicino questo importante processo politico.
Nel primo degli articoli di questa serie ho cercato di spiegare come l'attuale processo di revisione possa essere benissimo vissuto anche al di fuori dell'imbuto istituzionale creato, tra molti contrasti, dal consiglio provinciale e, nel secondo contributo della serie ho voluto indicare nel tema della scuola uno dei fattori chiave da affrontare nella prospettiva di un'autonomia diversa, più matura ed evoluta, di quella varata mezzo secolo fa. Ora il discorso può essere completato e chiuso con alcuni altri esempi di questioni aperte ormai da decenni e che varrebbe la pena di affrontare.
"Proporz" e elettorato. Lo statuto del 1972 contiene una serie di norme che potremmo definire "di riparazione e precauzione", concepite per venire incontro alle più urgenti richieste di tutela della minoranza linguistica sudtirolese che, negli anni del dopoguerra, si sentiva minacciata nella sua essenza dalla presenza sempre più marcata del gruppo italiano. Tale è, soprattutto, la norma sulla proporzionale etnica, voluta per impedire che il gruppo italiano continuasse a detenere il monopolio del pubblico impiego in tutte le sue articolazioni e che con l'attribuzione di particolari provvidenze, soprattutto nell'ambito dell'edilizia sociale, si ponessero le basi per alterare definitivamente i rapporti numerici tra le comunità. Il meccanismo, applicato con particolare rigidità a partire dalla metà degli anni 70, ha rapidamente raggiunto lo scopo per il quale era concepito e questo ha già permesso da tempo di attenuarne gli effetti. Nel campo dell'edilizia si è giunti a contemperare il criterio etnico con quello del bisogno, mentre per quanto riguarda il pubblico impiego sono stati a volte utilizzati criteri di maggiore elasticità per non veder compromessa l'efficienza di alcuni servizi. Ora però, nel quadro di una revisione statutaria, il problema si pone in termini generali. E ancora opportuno mantenere in vita la proporzionale, così come prevista dall'articolo 89 dello statuto, oppure abolirla restituendo al criterio del merito la totale preminenza nelle assunzioni pubbliche? Come noto dopo averla furiosamente criticata come una norma ingiusta e liberticida, sono stati proprio certi ambienti lingua italiana, in tempi recenti, a chiedere di mantenere in atto la proporzionale come garanzia per il gruppo italiano di una riserva di posti che, in un sistema ormai totalmente controllato politicamente e amministrativamente dal gruppo di lingua tedesca, potrebbe essere messa in dubbio. La questione, come si vede, è delicata ma non per questo merita di essere lasciata cadere. Una bella spinta all'apertura della discussione potrebbe essere data dai sindacati del pubblico impiego, se non troppo impegnati nelle trattative contrattuali. Da ricordare che, tra mantenimento e abolizione, potrebbero essere individuate anche forme intermedie con la possibilità di interventi correttivi se gli squilibri, in un ordinamento del lavoro totalmente libero, divenissero troppo marcati.
Altra questione legata ad una norma di tutela è quella che riguarda il divieto di votare per le consultazioni amministrative per chi non abbia almeno quattro anni di residenza in provincia di Bolzano. Fu adottata per impedire che, con la mobilitazione di legioni di militari, poliziotti, ferrovieri e altri pubblici dipendenti, spostati per qualche anno in Alto Adige, Roma potesse alterare la consistenza politica delle amministrazioni altoatesine. Anche questo pericolo, come chiunque può ben vedere, appartiene ormai ad un passato remoto. Qui non resta che prendere atto della mutata situazione e cancellare la norma, approfittandone magari per far piazza pulita di tutte quelle limitazioni al diritto di elettorato attivo e passivo che ancora permangono nell'ordinamento locale. È del tutto ridicolo, invece, proporre di ridurre i quattro anni ad uno solo. O le ragioni che condussero al varo della norma esistono ancora e allora la si lasci immutata, oppure, com'è assolutamente chiaro, di esse non vi è più traccia era allora anche questo relitto del passato va soppresso.
Il caso Bolzano. Tra i vari temi che l'ipotesi di una revisione dello statuto propone all'attenzione generale vi è anche quello del ruolo della città capoluogo. Negli ultimi decenni, vuoi per ragioni di politica etnica vuoi per l'irrefrenabile bulimia di una Provincia che tende ad assommare in sé tutti i poteri e tutte le competenze, sia dall'alto che dal basso, l'autonomia della città capoluogo è stata fortemente compressa. Due soli esempi bastano per illustrare la situazione: Bolzano ha visto ridurre progressivamente la propria autonomia finanziaria, da parte di una Provincia che ha privilegiato, per fini smaccatamente politico-elettorali, i piccoli comuni periferici, non tenendo conto del fatto che una città che raccoglie un quinto degli abitanti di tutta la provincia ha bisogni e funzioni da esercitare totalmente diversi da quelli di un piccolo municipio di montagna. Sempre più spesso poi il trasferimento dei fondi non avviene in via generale, lasciando all'amministrazione bolzanina l'autonomia di decidere dove e come essi vadano spesi, ma sulla base degli interventi specifici, decisi in provincia e quindi sottratti alla libera scelta degli amministratori locali. Emblematico il caso del vecchio Museo bolzanino, il cui progetto di restauro è fermo per mancanza di fondi nelle casse comunali. La Provincia si fa avanti ma, invece di aumentare gli stanziamenti, propone semplicemente al Comune di regalarle l'immobile. Altro terreno minato è quello della pianificazione urbanistica. Ormai la Provincia può intervenire a suo piacimento, grazie ad alcune leggi appositamente approvate e sostanzialmente basate su un criterio, quello dell'interesse sovraccomunale che di fatto può essere applicato in quasi tutte le situazioni. Il caso del mostro-funivia di San Genesio è solo l'ultimo in ordine di tempo. Sarebbe interessante quindi se il nuovo consiglio comunale, qualora riuscisse a restare in carica e ad alzare al tempo stesso lo sguardo verso temi di più generale importanza, potesse affrontare e discutere, magari in una sessione speciale, le proprie richieste da avanzare, a nome di tutta la città e di tutti i gruppi che in essa convivono, a chi veramente in futuro dovrà riscrivere lo statuto.
La scuola, la proporzionale, il diritto elettorale attivo e passivo, nel ruolo speciale di Bolzano all'interno della realtà altoatesina. Sono solo quattro temi. Altri evidentemente possono essere posti sul tavolo della discussione. L'importante è che un'occasione unica venga colta, che l'invito a partecipare alla riscrittura della nostra "costituzione" non venga lasciato cadere.
Se i temi fossero stati questi e posti in modo esplicito il tutto, a mio avviso, avrebbe avuto un senso. Invece con discussioni "open" tutto viene disperso o subisce distrazione.