Pasolini e la cultura del limite
Pier Paolo Pasolini difendendo la cultura contadina contro l'ideale borghese e l'edonismo consumista degli anni settanta “divagava dalla realtà”, con un “argomentare tanto elitario quanto irreale”. E' questo il giudizio tranchant che Nicola Zoller ha offerto qualche giorno fa sulle pagine di una rivista trentina e poi su quelle dell'Alto Adige. Spiegando, a ragione, come il mondo contadino fino alla prima metà del novecento fosse duro e doloroso. Sono stati un bene dunque l'arrivo dell'industrializzazione, il trasferimento in città dei contadini divenuti operai, l'accesso ai beni di consumo, il welfare universalistico, la nuova cultura di massa. Per Zoller “Pasolini vive in un altro mondo […]; prova quasi rancore e disprezzo per le nuove, timidamente generalizzate, soddisfazioni della vita”.
Ma siamo sicuri che l'intellettuale friulano avesse lo sguardo rivolto all'indietro, al passato? E non invece in avanti, profeticamente in avanti? Pasolini coglie in presa diretta lo stravolgimento sociale vissuto dall'Italia con il boom degli anni sessanta, e vi legge in largo anticipo la degenerazione successiva. Probabilmente con toni accesi, a volte estremi o paradossali come può fare un poeta. Ma anticipatori, non certo irrealisti.
In quegli stessi anni il Club di Roma pubblica il suo primo rapporto su “I limiti dello sviluppo”. Il linguaggio è tecnico e realista, per quanto fossero sbagliati alcuni calcoli. Ciò che ci resta oggi di quel rapporto però non sono le date di un possibile esaurimento del combustibile fossile – appunto errate – ma il messaggio più ampio che lo sviluppo come andava dispiegandosi metteva a rischio l'esistenza stessa del pianeta. E che bisognava recuperare il concetto di limite.
La cultura contadina esaltata da Pasolini quello era, il profondo e quasi sacro senso del limite davanti alla presunta onnipotenza umana. L'idea di un tempo ciclico, da rispettare, contro la furia progressista di una crescita indefinita, che ha creato disastri culturali prima ancora che ambientali tanto nell'allora mondo capitalista quanto in quello comunista. Perché i due pensieri alla fine erano accomunati dalla fiducia cieca nelle “magnifiche sorti e progressive”. Una cecità che ha portato alle crisi planetarie interconnesse – demografica, sociale, finanziaria, militare e da ultimo climatica – del tempo contemporaneo.
Ha ragione Zoller a ricordare che la terra sta in basso, e che dunque il richiamo pasoliniano alla cultura contadina deve fare i conti con la sua durezza. Ma proprio tornare a cogliere la durezza e la precarietà del pianeta che ci ospita è necessario per recuperare il senso del limite e, forse, permetterci di sopravvivere. Alexander Langer, altra voce profetica poco ascoltata, rovescia il motto olimpico del “più forte, più veloce, più alto” nel suo lentius, profundius, suavius. Uno stimolo ad uscire dal tunnel mentale del progresso infinito, per fare i conti con la finitezza, la lentezza, il limite. Questa continuità sottile fra alcune idee di Pasolini e di Langer va oltre la semplice nostalgia del passato, per richiamare semmai l'urgenza di nuovi futuri. Piuttosto che irriderle, specie in questo periodo di crisi climatica, certe idee sarebbe meglio ascoltarle...