Risposta profetica del fisico L.Rossi
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Egregio Direttore,
col passar dei giorni, la disputa su quale sia il metodo migliore per recuperare i debiti scolastici (quello nazionale con esami a settembre o quello provinciale con verifiche ad oltranza, ma niente bocciatura) non accenna ad affievolirsi e probabilmente tale resterà anche dopo che l’assessora all’Istruzione avrà estratto il suo dal cappello a cilindro.
Se, come leggo, fra le obiezioni più ricorrenti mosse all’esame settembrino dai suoi detrattori c’è che “disturba” le vacanze estive al rimandato (e famiglia) e che incrementa significativamente il numero dei bocciati (può un esame non produrre conseguenze?), chiunque può facilmente comprendere che ogni disposizione al dialogo, per buona che sia, finisce per annichilirsi già alle prime battute.
Anche l’insistenza con cui, a puntello della loro posizione, sostengono la validità delle prove Invalsi è mal riposta: l’aneddotica sulle incongruenze di quei test, riportata dal compianto professore Giorgio Israel epistemologo di fama europea, è sterminata: «La loro pretesa di misurare le “competenze” acquisite – scrive in Scuola Democratica, n. 2 del giugno 2011 – è destituita di qualsiasi serio fondamento».
In questi ultimi giorni la disputa si è arricchita di un altro fronte, la necessità di governare l’aumento crescente dei casi d’ansia che prende i giovani prima di una verifica o di interrogazione (c’è già chi sta pensando di attivare nel suo Istituto un’apposita “stanza di emergenza”). Se chi l’ha aperto intendeva favorire i nemici dell’esame, ha fatto un autogoal clamoroso: non c’è prova più eclatante di questa per attestare la validità della tesi opposta.
Due interventi, di cui penso non si sia colto appieno il senso, sono venuti dal mondo universitario, quello del docente emerito di sociologia presso l’Università di Trento, professore Antonio Schizzerotto e quello del rettore della Bocconi professore Francesco Billari. Da fratelli maggiori quali essi sono, hanno trattato l’argomento con una certa distaccata sufficienza: ai fini dell’apprendimento, da ogni esame, non solo da quello settembrino, ben poco vantaggio ritraggono i giovani; ripetere l’anno è inutile, lo dimostrano i dati statistici: lo studente bocciato, quasi mai recupera l’anno successivo il gap di mancata conoscenza. Sembra che per loro la stagione degli esami debba iniziare solo all’università o forse nemmeno allora, chissà?
A pensare male si farà anche peccato, ma da un po’ di tempo non riesco a togliermi dalla mente la risposta (profetica?) che, nel lontano 1998, l’ancor poco noto insegnante di fisica all’Università Tor Vergata, professore Lucio Rossi diede alla domanda da lui posta come sottotitolo al suo libro più famoso “Segmenti e bastoncini” (ed. U.E.F.): «Dove sta andando la scuola?»: «“La grande maggioranza degli studenti finirà semplicemente con l’assumere l’uno o l’altro degli infiniti ruoli di mediazione tra produzione e consumo nati per alimentare il mercato distribuendo in rivoli minimi parte della ricchezza che sgorga da poche sorgenti lontane e inaccessibili. Le capacità e le competenze richieste per tali ruoli sono minime e diminuiscono di anno in anno. Le continue ondate di innovazione tecnologica, che immettono nel mercato prodotti sempre nuovi, richiedono in compenso masse di consumatori “evoluti”, attenti cioè alle novità, capaci di mutare continuamente le abitudini di consumo, abbastanza “colti” per recepire rapidamente i messaggi pubblicitari e leggere manuali di istruzione … La nuova scuola deve preparare soprattutto consumatori … dovrà insegnare a leggere una bolletta e un estratto conto, a compilare la dichiarazione dei redditi e a rispondere ai questionari delle inchieste di mercato, ma non dovrà richiedere sforzi intellettuali considerati faticosi, superflui e forse pericolosi».