Per un'UE più efficace e democratica
“Zeitenwende” è la parola d’ordine nel mondo tedesco per il periodo iniziato con l’invasione russa nell’Ucraina. Ci sono momenti nella storia, in cui, sotto la pressione degli eventi, si aprono nuove grandi opportunità. Oggi, 19 anni dopo la fine della prima convenzione UE del 2003 su un’eventuale costituzione europea, il progetto (e la necessità) di dare all’Unione europea una costituzione è tornata sull’ordine del giorno. È questo il risultato della Conferenza sul futuro dell’Europa, conclusa il 9 maggio scorso, composta da centinaia di cittadini europei scelti a caso.
Nei suggerimenti usciti da questa Convenzione civica (Panel 2 – Democrazia europea – Valori e diritti, stato di diritto, sicurezza), si trovano tante proposte per trasformare l’UE in una repubblica federale e per dotarla di una nuova architettura interna. Concludendo i lavori, il presidente Macron si è pronunciato a favore di una nuova convenzione costituzionale europea, come peraltro anche Ursula von der Leyen. Spetterebbe al Parlamento europeo convocare una tale convenzione (“assemblea costituente” in termini classici), sulla falsariga della prima versione svolta nel 2003-2003, poi fallita.
Il momento è proficuo. L’attuale crisi multipla sembra produrre effetti collaterali positivi, più unità negli intenti fondamentali, almeno nella gran parte degli stati membri dell’UE. Soprattutto nei paesi membri dell’Europa dell’Est la guerra contro l’Ucraina ha riaffermato il bisogno di una UE forte e capace di agire. Per esempio facendo finalmente cadere un vincolo che per troppo tempo ha frenato e bloccato l’UE, attualmente stra-abusata da parte dell’Ungheria: il principio dell’unanimità. Questo diritto al veto di un unico stato membro deve cadere.
Per far sì e per introdurre altre regole fondamentali serve una Convenzione con forte legittimazione democratica. Un consesso da eleggere direttamente dalla popolazione, giacché all’interno dell’UE si tratta anche di rafforzare la società civile e i cittadini. Dopo, la nuova bozza di costituzione europea andrebbe sottoposta alla votazione referendaria in ogni singolo paese membro. Per approvarla, oltre la maggioranza assoluta sul piano comunitario, dovranno esprimersi a favore anche almeno due terzi dei paesi membri. A questo punto la Costituzione europea entrerebbe in vigore in tutti quegli stati membri in cui è stata accettata a maggioranza. Gli altri stati – tipo Ungheria – dovrebbero decidere con un altro referendum se vogliono aderire ad una UE dotata di nuova costituzione oppure entrare in un rapporto diverso con l’UE, per esempio lo Spazio economico europeo. Sarebbe il momento di liberarsi di tali “paesi guastafeste”. Ma oggi, dopo il BREXIT e la guerra in Ucraina, è probabile che non si siano pasi contrari alla rifondazione di un’UE unita e forte.
La nuova Costituzione dovrebbe innanzitutto rafforzare i diritti e la posizione del PE. Poi, la nuova UE riformata potrà affermarsi solo se dotata di una struttura federale con un forte ruolo delle regioni. Una democrazia multinazionale – ce ne sono già, basta guardare all’India e al Sudafrica – e anche capace di decidere e di agire. Sul piano istituzionale andrebbe rimosso il ruolo dominante del Consiglio europeo, cioè dei governi nazionali. Potrebbe essere sostituito da un senato direttamente eletto. In proporzione alla popolazione del rispettivo stato membro ci sarebbero da 4 a 12 senatori, riflettendo il pluralismo politico presente nei singoli stati membri. Oggi nel Consiglio europeo di regola prevalgono gli interessi dei governi nazionali, sempre tesi a profilarsi nei confronti dei propri media e del proprio elettorato “a casa”. Per contro, un senato direttamente eletto non rappresenterebbe più le maggioranze governative e potrebbe offrire più spazio alle posizioni alle forze politiche in una prospettiva europea e non più nazionale.
Auspicabile anche l’istituzione di una terza camera, la “Camera delle Regioni”, in cui un membro rappresenterebbe ognuna delle circa 300 regioni europee, come esposto in “Più democrazia per l’Europa” nel 2010. Questa terza camera, a differenza del Comitato delle regioni oggi esistente ma quasi privo di poteri, andrebbe dotato di alcuni poteri rilevanti in ogni caso in cui fossero toccati gli interessi delle regioni. È anche pensabile che su alcune questioni politiche di fondo ci sia solo una parte degli stati membri pronti per una politica comunitaria unitaria. In questo caso alle decisioni parteciperebbero solo i senatori e i deputati degli stati membri coinvolti.
Per quanto riguarda il ruolo del Presidente della Commissione europea sarebbe da evitare la scelta dell’elezione diretta, che avrebbe l’effetto di personalizzare troppo le decisioni politiche. Un governo espressione della maggioranza semplice del Parlamento europeo non farebbe altro che polarizzare eccessivamente il mondo politico europeo. Un buon modello di riferimento potrebbe invece essere la Svizzera con il suo governo di concordanza, in cui sono rappresentati tutti i partiti maggiori. A questo scopo il PE potrebbe eleggere tutti i membri della Commissione, incluso il suo presidente, con maggioranza qualificata di due terzi. Il numero dei commissari non sarebbe più legato al numero dei paesi membri, a dipenderebbe da dicasteri funzionali.
Non per ultimo andrebbe rafforzata anche la partecipazione diretta dei cittadini. Come illustrato anche nel Dossier POLITiS 15/2018 l’elettorato europeo andrebbe intitolato di diritti referendari più robusti, soprattutto di un’effettiva iniziativa popolare europea con successivo referendum europeo. I cittadini europei in quanto tali vanno dotati sia di più diritti di iniziativa e proposta sia di diritti di controllo. L’UE ama definirsi “un faro di democrazia nel mondo”. In questo senso la credibilità della nuova UE sarà legata anche al modo in cui saranno coinvolti i cittadini ad ogni livello politico, da quello comunale a quello comunitario.