“Senza l’intesa è una buona riformetta”
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SALTO: Professor Palermo, sembra che i rapporti all'interno della Giunta si siano un po' raffreddati, soprattutto a causa della riforma dello statuto che, a giudicare dalle parole di Urzì, sarà depotenziata. Secondo lei, come si sta procedendo su questo fronte?
Francesco Palermo: Non lo so perché è il regno della segretezza. Potrebbe anche essere la riforma migliore al mondo, ma viene trattata come se fosse un segreto militare, e in un sistema pluralistico del ventunesimo secolo, questo atteggiamento è inaccettabile. L’unico testo disponibile era quello che, per grazia, la giunta ha presentato al Consiglio. Successivamente, è stato modificato, come si è appreso dai giornali, ma non esiste un nuovo testo ufficiale accessibile. Si sa che ha lavorato un gruppo tecnico, di cui non erano noti i componenti, poi un gruppo politico. Quindi, non ho informazioni a riguardo; suppongo che qualcosa verrà fuori perché, se non si arrivasse a nulla, le conseguenze politiche sarebbero troppo gravi. Ma cosa emergerà? Questo lo dovremmo chiedere ai "sacerdoti" delle negoziazioni segrete, che non si degnano di spiegare cosa sta realmente accadendo.
“Dal punto di vista politico non sono mai state fatte, né si faranno, modifiche unilaterali”.
La questione gira attorno alla famosa blindatura dell'autonomia, su cui sembra che Roma e Fratelli vogliano fare un passo indietro…
Che l'intesa venga raggiunta o meno, dal punto di vista pratico non cambia nulla. Sul piano simbolico, invece, sì, perché l'intesa rappresenta una parificazione tra il livello provinciale e quello statale, cosa che personalmente vedo molto favorevolmente. Ma più sul piano estetico, perché a livello pratico non cambia molto.
Cosa intende?
Dal punto di vista politico non sono mai state fatte, né si faranno, modifiche unilaterali. Ma soprattutto, dal punto di vista strettamente giuridico, la sovranità del Parlamento non è limitabile. Anche se oggi il Parlamento approvasse una legge costituzionale che richieda l'intesa, nulla impedirebbe al Parlamento di domani, con la stessa maggioranza, di modificarla. Quindi, in termini giuridici, resta teoricamente superabile. È un gesto simbolico, sì, perché rappresenta un impegno politico e un riconoscimento dell'autonomia, e questo non è trascurabile dal punto di vista, come si direbbe oggi, del “sentiment”. Ma dal punto di vista giuridico non cambia nulla. Quindi, potrebbe anche essere che diventi l'agnello sacrificale…
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In che modo?
Alla fine, ciò che conta davvero per i proponenti è ottenere competenze più specifiche e superare la giurisprudenza costituzionale, che è il vero fulcro della proposta.
“La pillola sarebbe più facile da ingoiare anche per la maggioranza a Roma”
Secondo lei il cambio di programma sulla riforma, che prevede un disegno di legge costituzionale distinto per ciascuna regione, è una sconfitta sul testo di cui abbiamo tanto discusso?
Per le altre regioni speciali molto probabilmente sì. Difficilmente otterranno qualcosa, forse nemmeno un simbolico adeguamento alla riforma costituzionale del 2001. E questo anche perché non hanno mai giocato un ruolo attivo nel processo. Per le province autonome di Bolzano e Trento potrebbe invece anche essere un buon segno. Perché la riforma è nata e stata negoziata solo qui, e perché si tratta di una autonomia speciale anche rispetto alle altre speciali. La pillola sarebbe più facile da ingoiare anche per la maggioranza a Roma: si dà qualcosa "a quelli lassù" ma nel complesso non si aumenta l'autonomia speciale, e così contenti tutti. Ma non ci metterei la mano sul fuoco, è ancora tutto da vedere.
Tornando al piano giuridico, se passasse tutto tranne quello sarebbe una buona riforma o no?
Si tratterebbe di una buona riformetta, perché sono aggiustamenti di competenze. Talvolta utili – penso ai contratti pubblici o alla disciplina del personale – talvolta simbolici, come nel caso dell’ambiente, che resterà comunque materia trasversale. Ma comunque nulla che tocchi l’essenza dell’autonomia. Se fossi la Provincia me la farei andare bene anche senza l'intesa, perché tanto l’obiettivo vero è la delimitazione delle competenze. Allo stesso modo, se fossi il governo, accetterei anche l'intesa, perché, al di là dell'aspetto simbolico, in sostanza non cambierebbe nulla. Posso immaginare che per la maggioranza di governo non sia facile far accettare una cosa del genere ai propri parlamentari, ma nella pratica non ci sarebbero grandi differenze.
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Se passasse nella sua interezza, cosa cambierebbe per l’Alto Adige?
Come cittadini di questa Provincia non vedremmo un cambiamento immediato nella nostra vita quotidiana, se questa riforma con la ridefinizione delle competenze venisse approvata. L'unico vero aspetto potenzialmente problematico è la proposta di impedire il controllo della Corte costituzionale, in caso di conflitto, tramite norme di attuazione. C’è un piccolo passaggio nella proposta – almeno in quella iniziale, chissà se c’è ancora – che prevede che, solo per la nostra Regione, le norme di attuazione possano “definire il rapporto tra la potestà legislativa statale e quella regionale e provinciale”, cioè possano sostituirsi alla Corte costituzionale nel definire se una competenza spetta allo Stato o alla Provincia. Questo, davvero, non si può fare, sarebbe qualcosa di molto grave. Non so a che punto siamo su questo aspetto, ma immagino che non verrà incluso. Quindi, alla fine, si tratterà verosimilmente solo di una definizione più precisa delle competenze per superare la giurisprudenza. Non sarebbe una riforma epocale, anche se potrebbe essere comunque positiva; però, ripeto, non cambierebbe nulla di significativo per i cittadini, solo per alcuni uffici provinciali. Non c'è nulla di male in questo, ma non si tratta della svolta epocale di cui si è parlato. È chiaro che, se fossi al posto di Kompatscher e ci fosse l'intesa, la presenterei come il successo del secolo. Eviterei però di legare il destino politico suo e della maggioranza alla presenza dell’intesa, perché davvero non ne varrebbe la pena.
In Commissione dei Sei è stata approvata la proposta di attuare deroghe alla proporzionale e al patentino per i contratti a termine nel pubblico impiego. Si sono anche raggiunti accordi su nuovi percorsi abilitanti per gli insegnanti. Alessandro Urzì esprime soddisfazione per l’alto grado di produttività. Da ex membro della Commissione, secondo lei Urzì dice bene?
Sì, questa Commissione procede quasi al ritmo di quella che ho presieduto io, che detiene il record per il numero di norme di attuazione: 22 in quattro anni. Ovviamente questo non ha a che fare con i componenti della Commissione, ma piuttosto con il contesto politico. Le norme di attuazione non si creano dal nulla, dipendono dal clima di collaborazione tra la Provincia e il Governo: se i rapporti sono buoni, le cose avanzano, altrimenti si blocca tutto. Ci sono stati periodi, come quello di Berlusconi tra il 2006 e il 2011, durante i quali non è stata approvata neanche una norma di attuazione in cinque anni, a causa di rapporti tesi. Il numero di norme di attuazione è uno degli indicatori della qualità dei rapporti tra governo e Provincia. Dal punto di vista sostanziale, credo ci sia un aspetto interessante, ovvero la presenza di una nuova destra autonomista, molto attiva sul tema dell'autonomia. Detto ciò, ci vuole tempo…
“C'è un aspetto interessante, ovvero la presenza di una nuova destra autonomista”.
Cosa intende?
In realtà, è stata approvata solo una norma. Le altre sono state semplicemente condivise, nel senso che la Commissione ha trovato un accordo di massima sui testi, che poi vengono inviati ai ministeri. Quindi potrebbe volerci molto tempo. È un percorso lungo, e la Commissione ha un ruolo limitato: rappresenta solo una fase della negoziazione tra la Provincia e il governo. Le iniziative, comunque, partono sempre dalla Provincia. Un esempio è la norma sul terzo mandato dei sindaci: è sostanzialmente inutile, perché, anche se la Commissione l'ha elaborata, non succederà nulla nei tempi necessari.
Come valuta la deroga alla proporzionale nei contratti a termine?
È un aspetto molto interessante e direi che questo è proprio lo scopo delle norme di attuazione. C'è una regola di principio, quella della proporzionale, che è inserita nello statuto ed è stata ampiamente sviluppata attraverso le norme di attuazione. Attualmente c'è un problema specifico legato soprattutto ai contratti a termine e al personale statale. Queste due questioni sono state affrontate con le norme di attuazione, che è l'unica fonte possibile, non si poteva agire né con una legge provinciale né con una legge statale, e così via. Si tratta di un classico esempio in cui c'è un problema specifico e si utilizza lo strumento normativo corretto per risolverlo.
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