Niente ambulanza, a processo tre operatori del 118

Si aprirà il prossimo 7 aprile 2014 il processo che vedrà imputati tre operatori del 118, un infermiere e due operatori del centralino, accusati di “rifiuto d’atti d’ufficio”. Il giudice per le indagini preliminari Silvia Monaco, infatti, ha accolto ieri mattina (5 febbraio) la richiesta di rinvio a giudizio presentata dal sostituto procuratore Igor Secco, titolare dell’inchiesta, per gli indagati che, secondo l’accusa, avrebbero rifiutato il soccorso ad una donna gravemente malata.
I fatti risalgono al gennaio 2013: un pomeriggio, al centralino del 118, arrivano diverse telefonate insistenti di un uomo che chiede aiuto per la sua compagna: lei, 54 anni, è gravemente malata e, quel giorno, le sue condizioni appaiono particolarmente preoccupanti. La donna, tuttavia, è “nota” agli operatori: nei giorni e nelle settimane precedenti, infatti, avrebbe chiamato moltissime volte e, in ogni occasione in cui era stata inviata un’ambulanza, le condizioni non si erano mai rivelate così gravi come prospettate per telefono. Secondo l’accusa, è probabile sia questo il motivo per cui gli operatori del centralino, quel giorno, abbiano “sottovalutato” la richiesta di aiuto arrivata più volte da parte del compagno della donna.
Quando finalmente l’ambulanza arrivò, portandola in ospedale, passarono poche ore e la donna morì. All’inizio dell’inchiesta si era ipotizzato che la donna fosse deceduta a causa del mancato intervento tempestivo dei soccorsi: in realtà, grazie all’esame autoptico eseguito dal dottor Eduard Egartner, è emerso che le condizioni di salute della cinquantenne fossero talmente gravi a causa della malattia che non si è potuto parlare di una diretta correlazione tra il mancato invio dell’ambulanza e la morte della donna.
Come emerso durante le indagini, pare che la donna avesse avanzato moltissime richieste di intervento negli ultimi due mesi: interventi che, come già detto, si erano sempre rivelati poco “utili”, in quanto la situazione non appariva cosi grave come trapelava dalla chiamate. La difesa degli imputati è affidata all’avvocato Mauro De Pascalis, secondo cui “non c’è alcuna responsabilità da parte dei suoi assistiti”.
“Da come sono emersi i fatti - spiega il legale - i miei assistiti sono esclusi da ogni responsabilità perché non c’è stato alcun atto, in quel frangente, che non sia stato fatto: leggendo gli atti, non vi è stato alcun ritardo nel prestare soccorso. Nel momento in cui c’è stata la reale percezione di quello che stava accadendo, gli uomini del 118 sono partiti nell’immediatezza. E’ vero, ci sono state più chiamate quel giorno al centralino da parte del compagno della signora, ma solo perché in un primo momento non vi era stata alcuna descrizione di patologia grave: la signora parlava. Nel momento in cui sono scattati i riconoscimenti di reale pericolo, cioè la perdita di conoscenza, l’operatore ha fatto ciò che prevede il suo bagaglio di conoscenza e i soccorsi si sono allertati immediatamente”.
Ma c’è anche un altro aspetto da tenere presente, come sottolinea De Pascalis. “In gran parte dei 118 italiani, l’operatore non ha spirito critico: rivolge al paziente delle domande prestabilite e, in base alle risposte, parte un meccanismo di riconoscimento del problema. Questo meccanismo non esiste in provincia di Bolzano: tutto è lasciato in mano alla capacità interpretativa dell’operatore. In questo caso, i meccanismi che loro utilizzano sono queli legati ai parametri vitali: nelle prime telefonate non c’è alcun richiamo ad un elemento che incida sulla vita della persona”.
Secondo la Procura, che ha ascoltato le telefonate giunte quel giorno agli operatori, questi ultimi avrebbero avuto difficoltà a sentire la richiesta che veniva fatta. “Si tratta solo di un operatore che non sentiva bene e, di conseguenza, ha passato la telefonata ad un collega - conclude De Pascalis - I miei assistiti non hanno responsabilità perché hanno operato secondo il loro mandato”.