La fine del PD
Renzi ha ucciso il PD, onore a Renzi. Lo sforzo titanico per estirpare anche i residui più resistenti di socialdemocrazia rimasti nel partito nato nel 2007 dalla fusione dei DS di Piero Fassino e la Margherita di Francesco Rutelli, ha infine prodotto i suoi frutti.
La manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (già tentata da Berlusconi nel 2002 e sventata dalla mobilitazione generale di tutta la Sinistra), la cancellazione dell’IMU anche per le classi più abbienti, l’introduzione dei voucher come forma di pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio (che non hanno intaccato le dimensioni del lavoro nero ampliando invece quelle del lavoro non contrattualizzato) così come l’approvazione del Jobs Act, che ha aumentato la precarizzazione dei contratti di lavoro in perfetta continuità con le politiche neoliberiste dei governi europei e statunitensi più reazionari degli ultimi decenni, hanno inferto il colpo di grazia anche alle istanze più moderatamente keynesiane ancora presenti nel PD.
Chi non si rassegna alla scomparsa della Sinistra italiana, sgomberi le macerie e si riprenda la scena
Inoltre, la riforma costituzionale prodotta da Renzi Boschi e Verdini, premi Nobel per il testo di legge più demenziale dai tempi di Nerone, nonché l’approvazione di una legge elettorale incostituzionale dopo l’altra (il Rosatellum attualmente in vigore è un inno appassionato alla dietilamide dell’acido lisergico), hanno gettato tale discredito sul segretario nazionale del maggiore partito di governo dell’ultima legislatura che Pippo Baudo al confronto sembra Bismarck. Per non parlare del Patto del Nazareno, siglato nella sede del PD con un pregiudicato interdetto dai pubblici uffici ma si sa che le affinità elettive non si piegano a simili sottigliezze.
Quando alle europee del 2014 il PD superò il 40 %, Renzi spernacchiò la minoranza interna come un bullo di periferia che sul campetto dell’oratorio segna un gol di culo. Quando poi promise di ritirarsi a vita privata qualora avesse perso il referendum del 4 dicembre 2016, per poi scoprire il 5 dicembre che gli italiani gli avevano risposto con la pernacchia più assordante della storia repubblicana, si rimangiò la parola data con la velocità di un berlusconiano di fronte a un posto di blocco di finanzieri. Seguito a ruota dall’ineffabile Boschi, impresentabile nella sua Toscana (lì la conoscono) e incoronata a Bolzano come nuova regina degli Ottomila.
Il risultato di queste elezioni sancisce una disfatta epocale. Chi non si rassegna alla scomparsa della Sinistra italiana, sgomberi le macerie e si riprenda la scena.