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Bisoli come Tony Pulis

Il mister dell'Fc Südtirol ricorda quello dello Stoke City proletario e catenacciaro, protagonista in Premier qualche anno fa. Speriamo resti e non arrivino le "lattine"
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Foto: (c) FC Südtirol

C’è un momento, su tutti, che rimane negli occhi. S’era al San Nicola di Bari, pomposamente chiamato l’astronave di Renzo Piano, uno degli stadi di Italia ’90 che certifica l’incuria, al confine con la mascalzonaggine, che da decenni segna il rapporto tra questo scombiccherato Paese e il calcio, pur sempre – lo disse Pasolini, chi lo potrebbe smentire? – l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. 

S’era a Bari, ritorno dei play off di serie B per accedere alla finale e di lì, per una compagine, la serie A. Di tutta quella partita conserviamo quell’ immagine, netta. Pierpaolo Bisoli, l’allenatore del

Südtirol Bolzano – giacchè l’appartenenza calcistica è fatta di città, non di regioni, storicamente – è a bordo campo, forse anche un po’ dentro il campo: gli capita, talvolta. Siamo sullo 0 a 0, il Bari preme e il comandante Bisoli può solo usare le mani per farsi capire. Ci sono 51 mila baresi sugli spalti (e cinquanta altoatesini sudtirolesi, meraviglia della matematica del tifo) e il frastuono copre ogni voce, ogni indicazione. L’allenatore alza l'indice di una mano e poi di quell’altra, li unisce, sempre più vicini, fino a non lasciare praticamente spazio tra un dito e l’altro. Ripete il gesto quattro volte, per dire ai suoi che la resistenza deve continuare così: vicini, stretti. Come accadeva in certi film western di serie B (coincidenze…) quando le giacche azzurre resistevano, nel fortino assediato, agli indiani brutti sporchi e cattivi (solo poi avremmo appreso che le cose non stavano proprio così…). O come nei fumetti dei Lupi dell’Ontario del comandante Mark, in numero nettamente inferiore agli invasori inglesi, eppure coesi e determinati alla vittoria finale.

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Tony Pulis Il tecnico dello Stoke city ricorda per mentalità Bisoli (Wikipedia)

 

Ecco, in quel momento, in quel gesto, in quelle mani che dicevano ai suoi: stringetevi, non fate passare neanche uno spillo, costi quel che costi, abbiamo avuto la certezza che il calcio di Bisoli ha radici nobili, antiche. Deve fare di necessità virtù, deve amalgamare quel che c’è e pazienza se lo spettacolo non è quello offerto dal fighettismo tiki taka o dai moduli alfanumerici che dopo un po’ stordiscono e stancano. Non stupisce che la sua riconferma sia in discussione. D’altronde, questo è il calcio dove chi vince uno scudetto scintillante se ne va. E la fatica e la tensione che Bisoli e il Südtirol Bolzano hanno accumulato in questo campionato di B giustifica qualsiasi epilogo. Resterà comunque agli annali questo 2022-23, in una terra dove se dici che il calcio muove l’immaginario collettivo e genera passioni debordanti sei credibile come chi professa l’antifascismo nei Fratelli d’Italia. È nelle cose che lo spicchio dei tifosi in trasferta, al Druso, abbia prodotto decibel soverchianti rispetto al pubblico di casa. Ma che importa? Importa che quel Bisoli ci abbia ricordato Tony Pulis, il mister dello Stoke City proletario, cattivo e catenacciaro, per anni protagonista in Premier League, a cercar gol sulle rimesse laterali di un ex giavellottista. Una squadra che difendeva con nove uomini in area, dileggiata dai commentatori, su tutti Paolo Di Canio. E qualche commento, non proprio benevolo, sul “calcio rustico” di Bisoli e dei suoi, è arrivato dai salotti televisivi italici (gli stessi che avallano la schifezza dell’intervista al volo ad un giocatore al termine del primo tempo: un insulto al buon gusto e all’intelligenza). Fa niente. È stato bello stare in quel fortino assediato, a spezzare gioco, a tentare sortite improvvise, a pianificare una partita d’attacco negli ultimi dieci minuti. Forse Bisoli se ne andrà e voglia il cielo che non arrivino quelli delle lattine a mettere le mani sul Südtirol Bolzano. Ci resterà caro quel signore in tuta (altro che scarpe firmate e pettinature laccate) che conosce l’arte di disporre i catenacci sul terreno di gioco. Guidato dall’imperitura teoria del maestro di tutti loro, i catenacciari che trasformano le aree in trincee, giocando all’unica guerra che ci piace: quella fatta con i palloni. Il maestro Nereo Rocco borbotta ancora, masticando lingua veneta e sorseggiando qualche buon bicchiere di vino: “Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono".