"Si vince e si perde tutte insieme"
Il livello dell’atletica italiana si è alzato. A dirlo è Petra Nardelli, velocista altoatesina classe ’96, che nel 2021 ha corso la staffetta 4x400 femminile alle Olimpiadi di Tokyo. Tanti gli appuntamenti cerchiati in agenda: i mondiali di Budapest, gli Europei di Roma, i Giochi Olimpici di Parigi e i mondiali di staffetta nelle Bahamas. “Al contrario degli anni passati, ora è più difficile qualificarsi perché i tempi delle avversarie si sono abbassati. Nel 2021 ero riuscita a qualificarmi con un tempo addirittura sopra il mio personale – racconta Nardelli - ma adesso, nonostante qualche settimana fa abbia corso in 53” 12, stabilendo il mio nuovo record sui 400 (prima era di 53” 19 ndr), è decisamente più complicato. Anche arrivare agli assoluti non è stato semplice: da quest’anno è concesso solo a 16 atlete. Sono contenta del risultato”. Parallelamente alla vita da velocista della nazionale, Petra Nardelli porta avanti un’altra sua passione: da settembre dell’anno scorso lavora come dottoressa a Innsbruck.
Nell’atletica italiana percepisco molto rispetto tra le persone; a mio parere non c’è invidia tra atleti.
Salto.bz: Un nuovo record personale e un sesto piazzamento. Gli allenamenti sembrano portare i propri frutti; quante ora ti alleni?
Petra Nardelli: Direi di sì. Ogni giorno mi alleno dalle due alle tre ore, qualche volta corro anche in montagna, facendo delle brevi salite, perché aiuta ad accumulare acido lattico. Devo precisare che a Molfetta le condizioni non erano ottimali, in batteria c’era molto caldo e dunque abbiamo fatto tutte dei tempi alti. In finale, di conseguenza, non eravamo freschissime.
Perché dici che il livello dell’atletica italiana si è alzato?
Qualificarsi ai mondiali è diventato più complesso. Probabilmente il mio miglior tempo non basterà, visto che bisogna stare sui 51"/52". Potrei sperare di fare un buon punteggio nelle gare che corro durante l’anno, salendo di posizione nel ranking e quindi confidare in questo meccanismo per qualificarmi, ma non sarà semplice. Però credo ci sia un bel clima. Anche se c’è competitività, nell’atletica italiana percepisco molto rispetto tra le persone; a mio parere non c’è invidia tra atleti.
E per quanto riguarda la staffetta?
Credo ci sia più probabilità. Al mondiale siamo arrivate quinte, quindi significa che gli allenamenti vanno nella giusta direzione. Rispetto a Tokyo, dove abbiamo concluso al tredicesimo posto, abbiamo migliorato il momento del passaggio del testimone, grazie anche alle riprese con la videocamera. In quell'attimo si può vincere o perdere tutto. Anche per questo la staffetta è uno sport di squadra: necessita di cooperazione e di allenamenti collettivi, oltre che individuali. Insomma, si vince e si perde tutte insieme: quello che fai determinerà il risultato delle altre compagne, e viceversa.
Come ti sei avvicinata all’atletica?
Ci sono arrivata per caso. A 12 anni partecipai a una corsa campestre e casualmente mi notò Hans Pircher, che è tutt’oggi il mio tecnico. Mi chiamò ad allenarmi e iniziai a correre. Al tempo, d’inverno facevo sci agonistico, quindi al campo di atletica iniziavo ad andare in primavera.
Poco fa ti sei anche laureata in medicina. È stato faticoso conciliare sport e studi universitari?
Mi piace portare avanti queste due carriere. Devo ammettere che i primi anni di università è stato difficile seguire le lezioni, dare gli esami, frequentare i tirocini e, allo stesso tempo, continuare ad allenarmi. Poi le cose hanno iniziato a incastrarsi e a livello mentale sono migliorata molto. La qualificazioni alle Olimpiadi di Tokyo è stata una grande gioia che mi ha aiutata anche ad affrontare l’università.
Come valuti la situazione al campo CONI di Bolzano? Alcune società chiedono più spazi perché al campo si allenano troppe persone contemporaneamente…
A Bolzano vengo solo il weekend, e tra venerdì e domenica non ci sono molte persone che si allenano. Però il campo è sicuramente molto più frequentato rispetto a Innsbruck, ma personalmente non lo vedo come un fatto negativo: mi dà l’opportunità di allenarmi con altri atleti, magari più forti, e migliorare insieme a loro.