Wirtschaft | Digitalizzazione

Industria 4.0

Il sistema produttivo si avvia verso una nuova fase. La digitalizzazione si sta evolvendo rapidamente in quasi tutti i settori. Industria 4.0 è sulla bocca di tutti.
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Foto: Fabio Petrini

I futuri scenari e i tempi previsti per la sua realizzazione sono attualmente difficili da prevedere. Ovviamente non riguardano solo le imprese e il modo di produrre, ma in egual maniera anche il mondo del lavoro e il sindacato. Va anche detto, che industria 4.0 è - allo stato attuale - più una visione che una realtà, ma vista la rapidità dell’evoluzione tecnologica è solo una questione di tempo. Proprio per l’impossibilità di prevedere il punto d’approccio di questa rivoluzione tecnologica anche gli esperti sono disorientati. Sulle possibilità tecniche non ci sono visoni molto discordanti nel medio e lungo periodo, altro aspetto è l’evoluzione del lavoro. C’è chi parla della fine del lavoro e chi al contrario pensa ad opportunità nuove per i lavoratori. Si tratta di discussioni e paure che tornano a galla ogni volta che la tecnologia cambia. Keynes per esempio prevedeva nel 1928 che tra cento anni, cioè nell’2018, potevano bastare 3 ore di lavoro al giorno. Se guardiamo l’evoluzione tecnologica nell’arco dei decenni e le diverse fasi d’innovazione tecnologica possiamo verificare che hanno sempre prevalso le opportunità rispetto ai fattori negativi. Molti lavori faticosi e ripetitivi e tante produzioni pericolose sono oggi automatizzati, senza aver distrutto l’occupazione.

Poi non è immaginabile che ci sarà l’ora X dove cambierà tutto. Industria 4.0 è un processo che si evolverà nel tempo e coinvolgerà all’inizio alcune fasi produttive per cui è improbabile che determinate professioni possano scomparire all’improvviso. Semmai saranno alcuni pezzi di quest’ultime a essere inizialmente automatizzate. E’inoltre in discussione se saranno le professioni più basse a soffrirne maggiormente o quelle medie, dando per certo che quelle a contenuto alto si svilupperanno ulteriormente. Per molti studiosi saranno proprio i lavori a contenuto professionale medio a soffrirne di più, mentre quelle legate a fattori relazionali e che sono spesso collocate a basso livello salariale saranno addirittura in crescita. Va anche detto che non tutte le imprese nel breve periodo saranno interessate a queste nuove tecnologie. Le imprese piccole e medie con scarso contenuto tecnologico e quelle con produzioni di massa, già attualmente  flessibili, probabilmente non cambieranno velocemente. Il settore produttivo rappresenta infine il 20% o poco più della forza lavoro e anche questo inciderà positivamente sul mercato del lavoro.

Il sindacato non può però fermarsi. La tecnologia non è neutra e va governata se non vogliamo lasciare mano libera alle imprese. Spetta a noi chiedere anche un’innovazione sociale al posto di una logica esclusivamente orientata al massimo profitto. Se non ci attrezziamo, corriamo il rischio che le innovazioni tecnologiche corrano più veloci di quelle politiche e sociali, cosa purtroppo già in atto. Servono, infatti, leggi contro i cartelli economici e una riflessione sui brevetti, stabilendo regole nuove su cosa è di interesse comune e cosa va lasciato privato. Vanno poi garantite non solo le infrastrutture pubbliche, come una rete informatica potente, ma anche la sicurezza dei dati sia per le aziende, che per il lavoratore. I braccialetti di Amazon sono un primo segnale evidente di come controllare il lavoratore con la scusa dell’efficienza durante l’orario di lavoro, se non addirittura anche oltre. Anche in questo senso va aggiornato il diritto del lavoro, partendo da una netta distinzione tra lavoro e tempo libero, cosa tutt’altra secondaria nel mondo digitalizzato. Rimane infine il problema della distribuzione della ricchezza prodotta e la lotta alle diseguaglianze destinate a crescere senza una strategia sindacale globale. Questa implica salari e stipendi in linea con la futura produttività e orari di lavoro rimodellati per garantire l’occupazione alle persone. Non per ultimo in futuro non bisogna accantonare la discussione sul reddito minimo garantito. Fin da subito dobbiamo incidere sul futuro attraverso la scuola e la formazione dei lavoratori, puntando soprattutto su un’istruzione di base, ma anche sullo sviluppo mirato dei talenti, che stanno dentro ognuno di noi.