Commento a "La scuola non è solo studio"
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Egr. professore Bruno Mongioì,
le confesso di aver meditato a lungo la sua del 30 gennaio: “La scuola non è più solo studio e nozioni”. I fatti che racconta sono talmente straordinari che di primo acchito ho pensato o ad una parodia satirica finalizzata a scuotere le coscienze al cambiamento o a una specie di Pesce d’Aprile (anticipato) all’unico scopo di burlarsi dei tediosi àuspici (cui orgogliosamente faccio parte) di quel cambiamento.
Ma una più attenta analisi del lessico a cui si conforma sia la loro narrazione sia il commento che li correda, mi ha infine persuaso che quei fatti – pur con i dovuti sconti – dovevano pur essere accaduti. Persuasione che, se per un verso mi ha fatto esultare: “Si è compiuta una vera rivoluzione!” – ho pensato; per l’altro mi ha alquanto sconfortato: “Com’è possibile – mi son detto – che mentre i suoi colleghi stanno protestano contro una ‘scuola troppo facile’ (per ripristinare gli esami di riparazione), lei opti per una ancora più remissiva”? Perché, vede, ci sta che la scuola non sia solo “studio”, ma non può nemmeno essere solo “emozioni”: “laboratori di teatro, analisi storica di film, ausculti di sopravvissuti ai lager o di chi rischia la vita per aiutare gli abitanti dell’Eritrea”.
Se quella sua collega, per tornare ai fatti in questione, ha pensato bene, durante una “giornata delle porte aperte” di approcciarsi ai tredicenni in visita con modalità più consone di quelle mercatali oggi in uso (blandizie interessata a catturare clienti con proposte di studio accattivanti offerte in bella mostra su dépliant pubblicitari – Pof.) si deve solo elogiarla, non certo – come lei desidererebbe – cacciarla in pensione. Se si è permessa di interrogare i tredicenni presenti, anche con cipiglio burbero, lo ha fatto come saggio degli efficaci metodi apprenditivi della casa di cui li vedeva totalmente digiuni.
Quanto poi alla lezioncina (“questa è una scuola seria … qui si deve studiare almeno 4 o 5 ore al giorno … la scuola deve essere sempre al primo posto”) propinata ai genitori (separati dai propri pargoli fin dall’ingresso in Istituto: immagino per sottolineare ruoli e responsabilità specifiche), da lei ritenuta controproducente (“con che voglia i tredicenni venuti a vedere si iscriveranno in quel liceo?”), le garantisco che avrà invece effetti benefici (i genitori sono i primi ad aver a schivo l’andazzo della presente stagione).
A lei, quelle descritte, appaiono “scene agghiaccianti”, per me lo sono le sue idee pedagogiche. Quella del “mero sapere nozionistico” ad esempio, reiterata fin dal lontano ’68 all’unico scopo di risparmiar fatica nello studio quotidiano. E quella che i giovani “hanno bisogno di essere ascoltati nel loro essere adolescenti in un mondo che va a pezzi …”. Caro professore, se il mondo è in pezzi è proprio perché in questo ultimo mezzo secolo si è data più importanza alle “emozioni” che alla matematica.
Distinti saluti.
Mario Refatti