Gesellschaft | Schule | Gastbeitrag

Abracadabra, bacchette magiche a scuola

Gli insegnanti di sostegno assegnati agli alunni in condizioni di disabilità non arrivano a coprire le ore previste dalla legge nazionale. Jessica Tabarelli racconta la sua battaglia per le scarse risorse - come insegnante e come genitore.
Zauberstab, Abakadabra
Foto:  Angeles Balaguer, Pixabay
  • Un altro anno scolastico sta per finire e lo sguardo si sposta già verso il prossimo, con le intendenze scolastiche che stanno già stabilendo quanti insegnanti di sostegno saranno assegnati agli alunni e alle alunne con diagnosi, e per quante ore. Si tratta di un meccanismo complesso e molto poco trasparente, simile ad una grande lotteria, ma da cui si esce quasi sempre perdenti o comunque al ribasso rispetto all’anno prima. Ci si può considerare “fortunati”, infatti, nella nostra ricca Provincia, se ai propri figli verranno confermate le ore di sostegno dell'anno precedente, che comunque, numeri alla mano, non arrivano mai a coprire le ore previste dalla legge nazionale e l’orario intero di frequenza agli alunni in condizioni di disabilità.

    Non potremo dire che “ce la saremo cavata anche quest'anno”, avendo staccato il solito biglietto di accesso alle scuole. Infatti, quando si parla di diritto allo studio e all’inclusione, la fortuna non dovrebbe centrare nulla e ancora meno il “gratta e vinci” dell'insegnante di sostegno, che abbia finalmente ottenuto un orario conforme alla normativa nazionale, che assicura, cioè, una didattica inclusiva e la qualità dell'istruzione degli alunni/e con disabilità, oltre all'assegnazione del collaboratore all’inclusione, il cui orario, almeno nella grande maggioranza dei casi, non assicura comunque la frequenza dell'intero orario scolastico. 

     

    Inizia la battaglia per conquistare le poche risorse a disposizione: perderla significa non poter garantire il diritto allo studio e la qualità della didattica.

     

    L'istruzione è, per definizione, un diritto: o è di tutti o non lo è, e qui diventa un privilegio per chi è fortunato. Le stesse preoccupazioni che segnano il mio viso le leggo ogni giorno su quelli dei miei colleghi, del preside della mia scuola, degli altri genitori. Inizia anche per loro la battaglia per conquistarsi le poche risorse a disposizione e perderla significa non poter garantire il diritto allo studio e la qualità della didattica ai propri alunni/e per il prossimo anno scolastico e, ai propri figli, un percorso di sviluppo evolutivo che, per normativa nazionale, dovrebbe integrarsi necessariamente con quello terapeutico e l’ambito sociale.

    Ma è una battaglia a cui tutti partecipiamo ad armi impari: genitori, insegnanti e dirigenti scolastici;  per vincerla ci vorrebbe una bella bacchetta magica che imprima coscienza, buon senso e spirito di innovazione, in una cultura invece ancora ferma a guardare la disabilità come a qualcosa esclusivamente da accudire, mentre per evolvere serve includere bambini e bambine con un monte ore di sostegno adeguato, con l’orario necessario, e con collaboratori all’integrazione che coprono il restante tempo scuola.

  • La legge nazionale

    Nel resto d’Italia le cose vanno decisamente meglio, poiché, pur con tutte le difficoltà in cui versa la scuola, lì vige la legge nazionale, che prevede il rapporto di un insegnante di sostegno per due-tre alunni/e con disabilità: un numero che sta ad indicare che ad ogni insegnante di sostegno saranno assegnati due o, al massimo, tre alunni/e con diagnosi. In Provincia di Bolzano, invece, la vecchia legge provinciale del 2000, detta 1 a 100, prevede ancora il rapporto di un insegnante di sostegno ogni 100 alunni dell’istituto scolastico con o senza disabilità. Non è mai stata adeguata alle linee guida nazionali e non tiene conto del notevole aumento del numero delle diagnosi e della crescente eterogeneità delle classi, che spiega anche il motivo dei continui aggiornamenti nazionali per far fronte alle nuove esigenze educative della scuola. Anche ai successivi aggiornamenti la Provincia di Bolzano è rimasta del tutto indifferente.

    La conseguenza diretta è che in Alto Adige-Südtirol il rapporto fra alunni/e con diagnosi 104 con disabilità grave e insegnante di sostegno sale vertiginosamente, arrivando anche a cinque-sei alunni per insegnante specializzato, quindi almeno il doppio della media nazionale, e il triplo di quanto prevederebbe la normativa. Alla luce di questa situazione, il diritto a una didattica inclusiva, di qualità, evoluta e anche efficace per l’inclusione delle persone con disabilità, viene dunque violato in Alto Adige.

     

    La vecchia legge provinciale del 2000 prevede ancora il rapporto di un insegnante di sostegno ogni 100 alunni con o senza disabilità.

     

    Se a ciò si sommano le altre diagnosi ex legge 170, e cioè le DSA (difficoltà specifiche dell'apprendimento, come la dislessia o la disgrafia, ad esempio), con le nuove diagnosi sempre più numerose di  ADHD, Deficit dell'attenzione con (o senza) iperattività,  DOP (Disturbo oppositivo provocatorio) e DOC (disturbo ossessivo-compulsivo), più gli/le alunni/e con background migratorio, si comprende immediatamente quanto inefficaci ed insufficienti siano le risorse stanziate per la scuola altoatesina dalla Provincia Autonoma di Bolzano.

    Per giustificare il mancato adeguamento alla normativa nazionale, l’amministrazione spesso cita la mancanza di personale specializzato. Ma la Provincia non si è mai efficacemente attivata per risolvere questo problema e, da troppi anni, sottopone le scuole, gli insegnanti di materia e di sostegno, i collaboratori e gli stessi genitori a condizioni inique e all’arte di arrangiarsi. I conti, purtroppo, sono presto fatti: il prossimo anno scolastico a fronte di sette alunni con diagnosi 104 in uscita dall'obbligo scolastico, ne entreranno ben 93 nella solo scuola di lingua italiana. Di conseguenza, in mancanza dell'adeguamento, saranno pochi i bambini con diagnosi 104 a poter beneficiare di una copertura completa per frequentare la scuola sull’intero orario scolastico. E saranno ancora meno quelli che, pur potendo frequentare, avranno diritto ad un insegnamento di qualità adeguata, all'individualizzazione e all'inclusione previsti per legge secondo bisogno. In questa situazione, "inclusione" rimane solo una bella parola vuota di significato, di cui i nostri amministratori si fanno vanto ai convegni e/o eventi, alle celebrazioni istituzionali a fine o inizio anno scolastico.

  • Un costo sociale altissimo

    Mi auguro che il prossimo anno il mio bambino sia fra “i fortunati” ad avere la copertura prevista dalla legge nazionale, perché questo gli ha permesso di fare progressi incredibili: imparare, socializzare e divertirsi a scuola, come tutti i bambini della sua età e come dovrebbe essere per ogni bambino. A noi è andata bene, ma agli altri? Gli altri sono rimasti privi della scolarizzazione adeguata, del necessario sviluppo dei bisogni evolutivi, a casa, cosa che impedisce a questi bambini di gettare le basi per un’adeguata socializzazione, compito e dovere della scuola secondo la legge 104.

    A causa della mancanza di risorse, infatti, in non pochi casi i loro genitori, a malincuore, hanno dovuto firmare la riduzione dell'orario scolastico: una misura discriminatoria a tutti gli effetti, ma che le scuole, lasciate senza risorse, sono costrette a proporre alle famiglie, dato che non possono sopperire alla mancanza di personale adeguato. E questa però sarebbe una soluzione praticabile in situazioni emergenziali, laddove invece è divenuta una prassi praticata da alcuni istituti scolastici, in notevole difficoltà proprio a causa di chi dovrebbe dare loro tutti gli strumenti necessari, cioè la famosa bacchetta magica, per realizzare l'inclusione.

     

    Alcuni genitori devono, a malincuore, firmare la riduzione dell'orario: una misura discriminatoria a tutti gli effetti.

     

    Tutto ciò porta con sé la consapevolezza di un costo sociale altissimo, perché i bimbi e i ragazzi con disabilità non adeguatamente seguiti perderanno così le abilità e le competenze sociali  acquisite con fatica e sacrificio, e i loro genitori (nella grandissima maggioranza dei casi le loro mamme) dovranno rinunciare ad andare a lavorare, o ridurre sensibilmente il loro orario di lavoro per prendersi cura dei figli, e, soprattutto, verrà meno uno dei principi cardine su cui si fonda la scuola italiana: quello dell'inclusione. Tutto questo getta un’ombra pesante sulle scelte di politica scolastica nella nostra provincia, che da oltre 20 anni continua a praticare la stessa strada dissestata in campo educativo.  

    Ad oggi, nel 2025, mi chiedo disperatamente perché perduri questa lacuna, dato che, anche se pochi se ne ricordano, la legge italiana sull'inclusione è una delle più avanzate al mondo e noi ne siamo a tutti gli effetti gli inventori: insieme alla cucina, alla moda e al design, l'inclusione è infatti una specialità tutta italiana, che ha fatto scuola nel mondo.

  • Jessica Tabarelli vive ogni giorno sulla sua pelle le tante difficoltà di bambini, bambine, ragazzi e ragazze con disabilità, sia in veste di genitore che di insegnante. Ha raccontato a SALTO la sua esperienza per farci entrare in questo mondo fragile, ma anche pieno di umanità.